Il cardinale Marc Ouellet lo dice a chiare lettere. «Il lungo digiuno eucaristico ha fatto perdere l’abitudine della Messa domenicale». Più che un campanello d’allarme, è una constatazione quella che fa il prefetto della Congregazione per i vescovi durante l’Assemblea plenaria del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (Ccee) iniziata ieri. L’incontro doveva tenersi a Praga, ma il picco dei contagi causati dal Covid nella Repubblica Ceca non ha permesso ai pastori del continente di raggiungere la capitale. L’appuntamento non è stato annullato e si svolge fino a oggi in videoconferenza. Il tema resta lo stesso: “La Chiesa in Europa dopo la pandemia. Prospettive per il creato e per le comunità”.
Ecco perché Oullet, nel suo intervento di apertura, affronta la questione della ridotta partecipazione alle liturgie festive dopo il blocco delle celebrazioni “a porte aperte” imposto dal coronavirus. «Urge una nuova evangelizzazione – afferma il porporato – per far scoprire ai cristiani che l’Eucaristia non è solo l’alimento spirituale per il nostro cammino, ma la nostra testimonianza gioiosa dell’incontro col Risorto che ci dà lo Spirito di vita e di coraggio nella prova».
L’argomento è accennato anche nel messaggio che papa Francesco indirizza al Consiglio in occasione della plenaria, quando ricorda che «molte attività pastorali sono ancora in attesa di assestamento ». E spiega: «L’esperienza della pandemia ci ha segnato tutti nell’intimo, perché ha intaccato in modo drammatico uno dei requisiti strutturali dell’esistenza, quello della relazionalità tra persone e nella società, sconvolgendo così abitudini e rapporti che hanno modificato anche le condizioni di vita sociale ed economica. La stessa vita ecclesiale è stata coinvolta in modo significativo, costringendo a rimodulare la pratica religiosa». Nel testo il Pontefice elogia i «non pochi sacerdoti e religiosi» che hanno trovato «coraggiose vie di servizio pastorale, testimoniando paterna e tenera prossimità al popolo» di fronte alla «morte di tante persone», ai «drammi delle famiglie colte di sorpresa da un dolore grande e minaccioso », ai «drammi dei ragazzi e dei giovani chiusi in casa», ai «riti religiosi e percorsi di formazione cristiana sospesi». Ma avverte anche che con l’«esplosione di nuove povertà è necessario che questa fantasia della carità prosegua, manifestando sempre più attenta e generosa vicinanza ai più deboli». Da qui l’invito a «rileggere spiritualmente ciò che abbiamo vissuto» assumendo «l’atteggiamento dello scriba che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche». Un nuovo “grido” di speranza di fronte alle inquietudini legate all’emergenza sanitaria; più solidarietà; maggiore attenzione agli ultimi; la riscoperta del Vangelo come lievito del sogno europeo: sono le sfide che attendono la comunità ecclesiale nel post Covid.
Il presidente del Ccee, il cardinale Angelo Bagnasco, definisce il virus un «flagello invisibile» nella sua introduzione ai lavori. Ricorda le «molte vittime dell’epidemia » e «quanti hanno vissuto l’estremo passaggio senza la presenza dei loro cari ». Ringrazia il «popolo sconfinato» formato da medici, forze dell’ordine, gestori dei servizi essenziali, volontari, sacerdoti, consacrate che «hanno fatto sentire con la preghiera, la parola, lo sguardo, il gesto che una società veramente umana non abbandona nessuno». Invita a continuare «a pregare e a portare ogni forma di presenza possibile». Poi chiede che l’Europa «sia una famiglia solidale, sussidiaria, rispettosa dei diversi popoli » guardando al Vangelo che è «contributo inesauribile per edificare una civitas terrena che non sia ripiegata e implodente, ma aperta oltre sa stessa, con i piedi sulla terra e lo sguardo nel cielo». Per questo, sottolinea Bagnasco, le Chiese esortano «tutti – singoli, comunità, nazioni – a non rinchiudersi in se stessi alla ricerca illusoria di difesa, ma che cerchino di rafforzare le relazioni personali e i rapporti internazionali». Quindi il monito: pensare che «la religione sia una questione puramente privata da confinare ai margini della convivenza sarebbe un errore intellettuale oppure una forma triste di laicismo senza laicità».
Dal prefetto della Congregazione per i vescovi giunge lo sprone a «rimboccarci le maniche per inventare un futuro migliore con realismo, umiltà, fiducia e soprattutto consapevoli di dover testimoniare la speranza per tutti a causa del Risorto presente in mezzo a noi». Certo, osserva Ouellet, «il nostro annunzio suscita speranza nella misura in cui è preceduto e accompagnato dai nostri gesti di compassione, di creatività e di solidarietà». E tiene a far sapere: «Il superamento della pandemia in Europa sarà il risultato della collaborazione di tutti, ma una parte rilevante dipenderà dalla speranza attiva dei cristiani». Perché, conclude citando il Papa, occorre «andare avanti insieme».