Il 13 gennaio ricorrono i 130 anni dalla nascita di don Primo Mazzolari, ricordato come il “parroco d’Italia”, «maestro indiscusso» nel panorama cattolico del Novecento italiano. L’attualità dell’insegnamento del sacerdote lombardo, la cui voce profetica è stata più volte richiamata dal Pontefice — che sulla tomba del parroco di Bozzolo si è fermato in preghiera in occasione del pellegrinaggio del 20 giugno 2017 — è sottolineata dal postulatore della causa di beatificazione e canonizzazione, don Bruno Bignami, che nel pomeriggio di sabato 11 gennaio a Cremona, sarà uno degli oratori dell’incontro intitolato «La cura del creato da Mazzolari a Papa Francesco».
Si dice che il vino buono, invecchiando, migliora! Una cosa analoga capita con il messaggio di don Primo Mazzolari. Nel 2020 ricorrono i 130 anni dalla sua nascita, avvenuta il 13 gennaio 1890 a Boschetto, nella campagna cremonese. Ogni anno che passa, la sua attualità non sembra perdere smalto. Anzi, davanti ai problemi che l’umanità si trova ad affrontare, negli scritti del parroco di Bozzolo c’è una miniera di riflessioni che guadagnano valore giorno dopo giorno. I drammatici eventi del Medio oriente che stanno segnando l’inizio del nuovo decennio destano preoccupazione. Si continua a usare la forza quasi come unico strumento per la soluzione dei conflitti e, invece, ci si accorge di quanto questo sia illusorio. Scriveva sul quindicinale «Adesso» negli anni Cinquanta: «Per la Pace, più che parteggiare, direi che bisogna “agonizzare”, poiché essa è un bene uno e indivisibile come la Carità. E se uno la vuole per sé, deve domandarla per tutti: per gli stessi che non la vogliono, anche per coloro che ne sono indegni». Frasi che inchiodano. Se si desidera vivere in pace, bisogna avere il coraggio di chiederla per tutti, anche per chi non la merita. E invece domina incontrastata la regola dei due pesi e due misure: si vuole mantenere la pace in casa propria facendo la guerra in casa d’altri. Quanta ipocrisia si gioca anche ai giorni nostri!
Ma si sa, sulla pace Mazzolari è maestro indiscusso nel panorama cattolico novecentesco italiano. Ci sono argomenti, invece, poco affrontati e conosciuti che possono illuminarci oggi. Uno di questi è il rapporto con la terra. Certo, non è nella top ten dei temi mazzolariani, ma quando si leggono pagine di Cara Terra o alcuni discorsi per la giornata del ringraziamento o qualche novella non si può restare indifferenti di fronte alla sua sensibilità sociale. Il mondo contadino gli appartiene come provenienza e come esperienza.
La denominazione di origine controllata contadina è spesso stata la sua lettera di presentazione per ottenere ascolto presso il popolo rurale che sa pesare a distanza la credibilità di un uomo. Quel mondo lo sente nel sangue, tanto da ricordare con affetto momenti dell’infanzia: la sera al fienile dove la famiglia si trova al tepore degli animali, la casa aperta agli ospiti di passaggio («una volta ne ho contati quindici», confessa) o che hanno bisogno di dormire in un luogo riparato, la generosità del padre che non dice di no a nessuno e l’accoglienza della madre che ha sempre una fetta di polenta per tutti, la visita con la zia alla stalla per vedere i vitellini appena nati, quando si rinnova il prodigio della vita. Mazzolari ha imparato dalla vita contadina lo sguardo contemplativo, da credente, e ciò gli ha permesso di lasciarsi convertire dai tempi e dalle logiche della natura. Scriveva: «Campo è solo la terra che si lascia amare, che si abbandona alle nostre braccia e che ci dà il pane in cambio del sudore, e anche un po’ di pace per compensarci dell’affanno con cui seguiamo le alterne vicende dei tempi e delle stagioni. Il campo è il luogo dove penso di potermi incontrare con Dio, e che Dio riveste di erbe, di fiori e di spighe».
La campagna «parla» ai contadini, ma per il parroco di Bozzolo, attraverso la terra è Dio che rivolge un messaggio all’uomo. La voce di Dio nella creazione chiede un ascolto obbediente. Senza questa fiducia, l’uomo rischia di pensarsi dominatore incontrastato, come un despota; non sa recepire i limiti presenti nella creazione e si scopre arrogante. Nel tempo dei cambiamenti climatici e di una comunità cristiana intenta a recepire gli insegnamenti di Laudato si’, c’è molto da seminare e altrettanto da raccogliere leggendo don Mazzolari. La saggezza cristiana del mondo contadino suggerisce uno stile di vita sobrio e umile. Certo, quel contesto sociale non esiste più.
Rimane però un insegnamento. C’è sempre il pericolo che la terra si allontani da chi se ne può prendere cura. Con la conseguenza dell’inquinamento e del degrado. C’è anche il rischio che l’ingiustizia finisca per prevalere. Terra e contadino possono finire calpestati. C’è già qualcosa dell’ecologia integrale di Papa Francesco in questo sguardo etico che don Primo ha trasmesso: come ignorare questa scuola di spiritualità?
di Bruno Bignami