Se vogliamo approfondire la tematica del Discorso della Montagna e del Padre Nostro, se confrontiamo fra loro i due testi e li mettiamo in reciproche relazione vediamo che la base comune che sostiene il tutto e da’ loro un senso è la fiducia in Dio Padre annunciata, insegnata, pregata da Gesù.
Solo chi fa propria la parola di Gesù: “tutto è possibile a chi crede” è pronto ad accogliere le richieste che Gesù presenta nel discorso della montagna e a realizzarle. Il Padre Nostro verrà recitato nello spirito di Gesù soltanto da colui che con Gesù eleva il suo sguardo al Padre e gli rivolge la parola con la fiducia di un bambino, la stessa fiducia di Gesù.
Chi non è in grado di venire a capo alle esigenze poste dal discorso della montagna deve rifugiarsi in questa preghiera e chi la proclama deve sempre ricordarsi di ciò che Gesù esige da lui in questo discorso.
Tutti e due insieme sono un invito e un appello a diventare discepoli di Gesù e a realizzare con lui il fortissimo programma che trova la sua espressione nel Vangelo: incoraggiamento e promesse, richieste inviti all’azione vi sono ugualmente contenuti. E tutto poggia su ciò che Gesù ha annunciato agli uomini del suo tempo “il Regno di Dio è vicino, convertitevi e credete al Vangelo”. Tutto sta in piedi o cade con la fede in questo messaggio è con la fiducia in Dio Padre che lo fa annunciare da Gesù.
Nel nostro tempo dopo molti atti di predicazione del Vangelo, dopo molte esperienze già fatte dai cristiani: esperienze spesso deprimente deluderti si pone un’ultima domanda alla quale non possiamo sottrarci. Dopo tanti insuccessi di cristiani e di popoli e di governi che si chiamavano cristiani, possiamo noi ancora praticare il discorso della montagna con tranquilla coscienza?
Possiamo recitare in buona fede il Padre Nostro nel nostro tempo con i terrificante avvenimenti passati ( schiavitù, Auschwitz…) e con i suoi fenomeni attuali; col costante peggioramento della situazione mondiale, nonostante gli sforzi per la pace con l’esplosione di odi e di ostilità che, lungi dal cessare, continuano a crescere con tutte le altre atrocità e assassini?
Possiamo, con la stessa fiducia di Gesù, pretendere con prospettiva di successo il massimo sforzo morale; possiamo ancora pregare il Padre con la stessa fiducia di Gesù?
L’enorme fardello di sofferenza di male che si è accumulato nel corso dei secoli grava sulle nostre spalle o per meglio dire, accresce la nostra colpa con la quale ci incolonniamo dietro i nostri padri e i nostri antenati e siamo un po’ schiacciati a terra. La fiducia in Gesù e nel suo messaggio è sottoposta alla prova decisiva.
In questa angoscia interiore, che mette in crisi la nostra fede, non possiamo che ripetere con più cresciuto fervore il Padre nostro: “padre perdona le nostre colpe, non lasciarci entrare in tentazione, liberaci dal male…”. Non solo dal male che è nel mondo ma anche da quello che soffoca il nostro cuore.
Ma quando penso a come dobbiamo annunciare a uomini e popoli oppressi il messaggio del regno liberatore di Dio al come dobbiamo insegnare loro il Padre Nostro, sono tentato di nuovo di disperare. Proviamo a metterci in loro condizione priva umanamente di ogni prospettiva ci sono innumerevoli uomini che vivono ai margini dell’esistenza, senza la più lieve speranza di uscire mai, nonostante ogni fatica che metto per uscire da questo fango e da questa miseria da questo abito infernale; ci sono popoli e gruppi etnici che di fronte all’attuale concentrazione di potere, hanno abbandonato ogni illusione di giungere ad una vita libera umanamente degna autonoma.
Noi che apparteniamo al tenue strato di coloro che possiedono e dispongono liberamente, stendiamo a figurarci le loro condizioni. Quale sarebbe il nostro stato d’animo se appartenessimo alla schiera di questi infelici? Ci sentiremo incoraggiati se ci si gridasse: “abbiate fede, confidate”.
Ma non cadde lo stesso Gesù in questa interiore angoscia allorché vide che la maggioranza del suo popolo non gli prestava Fede e i suoi discepoli diminuivano e crollavano? Non dovette scuotere la sua fiducia in Dio il vedersi venire incontro le sofferenze e la morte: infatti non gli fu risparmiata l’ora del Getsemani quando lo colse l’angoscia mortale: “la mia anima è triste fino alla morte” (Mc 14,34).
Ma anche in quell’ora oscura nella preghiera al Padre egli pervenne ad una nuova fiducia e obbedienza. Sulla croce lo sentiamo prorompere nel grido “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato”. Non sappiamo quanto fosse profondo questo abbandono da parte di Dio si tratta delle prime parole di un salmo in cui un uomo dall’abisso dell’angoscia grida a Dio la sua disperazione, ma alla fine giunge alla certezza di essere salvato da Dio.
Dobbiamo contemplare con realismo e fede la drammaticità dell’abbandono in cui Gesù sulla croce fu lasciato da Dio. L’ultima risposta al drammatico problema dell’esistenza umana e storica “sotto la croce” della sofferenza e della colpa del mondo, solo Dio può darla e l’ha data nella Resurrezione del Crocifisso. E’ una risposta non razionale ma esistenziale alla quale possiamo dire Sì Soltanto nella fede. E’ una risposta che introduce nel mistero di Dio il quale nel suo imperscrutabile amore non ha risparmiato neppure il proprio figlio ma lo ha dato per tutti noi (Rom 8,32).
Fiducia, come ci insegna il messaggio biblico, significa non dubitare dell’amore di Dio nonostante l’odio del mondo e la potenza del male: “chi ci separerà dall’amore di Cristo forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, il freddo, la spada? In tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di Colui che ci ha amati” (Rom 8,35-37).