E proprio il 18 luglio scorso si è voluto recare all’abbazia cistercense di Fossanova nel Lazio (il luogo dove si spense, a soli 49 anni, il “Doctor Angelicus”, il 7 marzo del 1274) il cardinale e prefetto del Dicastero delle cause dei santi Marcello Semeraro, nella veste di inviato speciale di papa Francesco, per presiedere un’Eucaristia in onore di Tommaso. Semeraro nella sua omelia ha voluto ricordare la sapienza teologica ma anche i doni mistici di cui fu costellata la sua breve ma intensa vita.
E non è un caso che, lo scorso 29 giugno, papa Francesco abbia voluto indirizzare una Lettera – per i 700 anni dalla canonizzazione, i 750 dalla morte (che ricorrono nel 2024) e gli 800 dalla nascita (che si celebreranno nel 2025) ai vescovi legati alla memoria viva dell’Aquinate: cioè i pastori di Latina-Terracina-Sezze-Priverno, Sora-Cassino-Aquino-Pontecorvo e Frosinone-Veroli-Ferentino e Anagni-Alatri, rispettivamente Mariano Crociata, Gerardo Antonazzo e Ambrogio Spreafico. Con questo testo Bergoglio ha voluto ribadire l’attualità di questo santo del XIII secolo definendolo una «risorsa e un bene prezioso per la Chiesa».
Figlio dei conti di Aquino, discepolo prediletto di sant’Alberto Magno e dottore della Chiesa dal 1567, per volere del papa e frate predicatore come lui san Pio V, è ancora famoso oggi per averci lasciato capolavori come la Summa contra gentiles o gli inni liturgici Pange Lingua o l’Adoro Te Devote.
«Come nel caso del fondatore del mio istituto Domenico di Guzmán – racconta – la sua figura mi ha sempre affascinato fin da quando ero studente al liceo. Egli è stato per me un uomo “dominato” dal desiderio della sapienza. Un uomo dei “desideri” lo definisce infatti il suo più autorevole biografo Guglielmo di Tocco». E aggiunge un particolare lo studioso che è anche docente di Storia della Chiesa alla Facoltà teologica dell’Emilia Romagna (Fter) a Bologna: «Forse anche dal suo carisma così intellettuale di questo umile frate di cui spesso si celebra la “santificazione dell’intelligenza”, capace di grandi silenzi e per questo chiamato il “bue muto” possiamo comprendere meglio forse il celebre motto che l’Ordine domenicano ha derivato dal suo insegnamento: contemplari et contemplata aliis tradere, contemplare e trasmettere agli altri ciò che si è contemplato. Si tratta di un passo tratto dal suo capolavoro, per eccellenza, la Summa Theologiae».
Il religioso pone l’accento anche su quanto la proclamazione a santo di Tommaso fosse stata strategica per papa Giovanni XXII che era, tra l’altro “costretto” a risiedere, per imposizione del regno di Francia ad Avignone e non a Roma, sede naturale della Cattedra di Pietro. «Con il gesto pubblico di Giovanni XXII di elevare Tommaso a santo si voleva indicare in lui e nell’Ordine dei predicatori il modello da seguire. Non è un caso che il suo pensiero sia radicato nella Tradizione biblica, patristica e medievale del suo tempo. La bolla Redemptionem misit è molto esplicita al riguardo: contro il dilagare di dottrine eretiche- vedi gli spirituali, averroisti o nominalisti – la Chiesa ha scelto di appoggiarsi su una dottrina chiara e robusta. La canonizzazione fu anche l’esito di tale congiuntura storica».
Padre Festa accenna anche all’importanza che il pensiero dell’Aquinate ha tuttora nella vita della Chiesa a partire del Concilio Vaticano II. Ma non solo. «Penso in particolare a papa Paolo VI che nel 1974 a settecento anni dalla sua morte scrisse la famosa Lettera Lumen ecclesiae. Montini indicò a noi domenicani di tornare alle fonti di Tommaso: alla sua vera dottrina. E volle recarsi da “semplice” pellegrino a Fossanova e ad Aquino pronunciando in quell’oramai lontano 1974 due omelie molto confidenziali. In quel frangente si chiese qual era il motivo che l’aveva spinto a quel viaggio. E rivolgendosi ai fedeli accorsi a sentirlo si pose questa domanda: “Maestro Tommaso quale lezione ci puoi dare?”
Papa Montini nella sua riflessione si disse convinto dell’attualità del suo pensiero alla luce anche del rapporto tra fede e scienza e lo indicò come un maestro nel solco del Concilio Vaticano II». Come non dimentica nel suo ragionamento padre Festa di rimarcare il debito di Giovanni Paolo II, che fu tra l’altro discepolo di uno dei padri nobili del tomismo preconciliare Réginald Garrigou Lagrange all’Angelicum di Roma, per Tommaso d’Aquino.
«Basti pensare all’enciclica del 1998 Fides et ratio». E osserva ancora: «Mi viene spesso in mente la bellissima udienza generale di Benedetto XVI del 23 giugno del 2010 in cui si soffermò sulla virtù della fede, della devozione mariana e dell’importanza che ebbe la preghiera per tutta l’esistenza di questo “semplice” frate». Un pensiero infine – alla luce di questo importante anniversario i 700 anni dalla canonizzazione dell’Aquinate – lo storico domenicano lo rivolge all’attuale papa Francesco. E a quanto la formazione tomista appresa dai gesuiti faccia parte del Dna dell’attuale Vescovo di Roma.
E in quel frangente, citando il cardinale di Vienna il domenicano Christoph Schönborn ha detto agli studiosi tomisti che “prima di parlare di san Tommaso, prima di parlare del tomismo, prima di insegnare, bisogna contemplare”: cioè sostare e riflettere in preghiera di fronte al pensiero dell’Aquinate. Credo che questo richiamo di papa Francesco rappresenti il modo più adeguato ed efficace per essere ancora oggi soprattutto noi domenicani degli autentici eredi del vero pensiero di Tommaso d’Aquino».