Luca mette in risalto l’amore compassionevole e misericordioso verso gli umili, i poveri, i sofferenti, i lontani, i peccatori. Gesù è l’icona vivente della misericordia del Padre.
Rendete grazie al Signore perché è buono, perché il suo amore è per sempre (quoniam in aetemum misericordia eius).
Nel Sal 136 (135 della LXX: il «grande Hallel») la divina misericordia attraversa, come una sciabolata di luce, l’intera storia della salvezza, dalla creazione del mondo agli interventi di Dio per la salvezza del suo popolo. Questo è il nome, con il quale egli un giorno si rivelò a Mosè: «Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà (Izésed we’emet), (Es 34,6).
La misericordia divina riassume l’essenza della storia sacra: i profeti rivelano al popolo eletto un Dio misericordioso che lo salverà, e gli predicano l’esercizio della misericordia [.. .]. Il Nuovo Testamento prolunga questa dottrina. (1)
La misericordia è uno dei temi caratteristici del Vangelo di Luca. Liricamente annunciato nei capitoli iniziali, viene poi sviluppato in una triplice modulazione: la misericordia di Dio Padre, la misericordia di Gesù, la misericordia che deve ispirare il comportamento dei suoi discepoli.
Preludi
Quasi un preannuncio del tema, la nascita di Giovanni il Battista rappresenta una prima manifestazione della «misericordia» divina nel tempo della salvezza. Apparendo a Zaccaria l’angelo gli fa sapere che la sua preghiera è stata esaudita e che Elisabetta gli darà un figlio (Lc 1, 11). Quando Elisabetta conosce di essere incinta, esclama: «Ecco che cosa ha fatto per me il Signore, nei giorni in cui si è degnato di togliere la mia vergogna tra gli uomini» (1,26). E, quando il figlio nasce, «i vicini e i parenti udirono che il Signore aveva manifestato in lei la sua grande misericordia» (letteralmente: «Aveva magnificato la sua misericordia con lei») (1,58).
Ma è in Gesù, nella sua nascita e nella totalità della sua missione che il Signore si manifesta pienamente come «Dio misericordioso e pietoso» (cf. Es 34,6).
Il «Magnificat»
Nel cantico di Maria e in quello del padre di Giovanni l’evento cristiano viene ricondotto alla misericordia di Dio, quella che già si è manifestata verso il popolo della prima alleanza. Chiamata a essere madre del Messia, Maria legge la propria vocazione all’interno di una storia di amore: «Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente… Di generazione in generazione la sua misericordia per quelli che lo temono» (Lc 1,49-50), Consapevole di essere «amata» da Dio in modo del tutto singolare (kekharitõméne: 1,28), Maria non si isola con orgoglio dalla massa dei credenti (coloro che «temono» il Signore), ma riconosce che il dono a lei accordato è parte di un fiume di grazia, che scaturisce a una sola sorgente: la «misericordia» di Dio.
Il Magnificat ritorna più avanti sul medesimo tema. Dopo aver cantato le opere del Signore, che nella vicenda di Israele ha costantemente umiliato i superbi ed esaltato gli umili, Maria concentra la sua attenzione su quanto l’angelo le ha annunciato: il concepimento e la nascita di colui che avrà «il trono di David suo padre» e «regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe» (1,32-33). È nel Messia appunto che il Signore «ha soccorso Israele suo servo, ricordandosi della sua misericordia» (1,54). Con la nascita di Cristo, che è anche il suo Figlio, Dio “soccorre” il suo popolo nel modo più alto ed efficace. Ancora una volta, l’intervento di Dio è attribuito alla sua «misericordia, éleos», una qualità che gli viene spesso riconosciuta nelle Scritture Sacre.
Il Signore è un Dio fedele. Operando con «misericordia» a favore del suo popolo, egli compie le promesse fatte «ai nostri padri» (cf. Mic 7,20), i patriarchi, a favore di Abramo e della sua stirpe «per sempre», con una fedeltà che non verrà mai meno (cf. Sal 18,51). Nella venuta di Cristo la misericordia salvifica si manifesta ultimamente e pienamente.
Il «Benedictus»
A breve distanza l’evangelista riprende il tema nel cantico di Zaccaria. Il padre del Precursore inneggia al «Signore, Dio d’Israele» perché «ha visitato e redento il suo popolo» (1,68). È interessante notare come le espressioni del sacerdote Zaccaria quasi ricalcano quelle della giovane madre di Gesù. Come questa, anch’egli benedice il Signore per la prossima nascita del Messia: «Ha suscitato per noi una salvezza potente nella casa di Davide suo servo» (1,69). In questo evento si realizzano le promesse fatte a Israele: «Così egli ha concesso misericordia ai nostri padri e si è ricordato della sua santa alleanza, del giuramento fatto ad Abramo, nostro padre…» (1,72).
Nel testo originale greco l’espressione è ancora più incisiva: «Per fare misericordia ai nostri padri», si è mostrato benevolo nei loro confronti intervenendo fattivamente a favore della loro discendenza. Nel linguaggio biblico (per il quale cf. Gen 24,12; Gdc 1,24; Rt 1,8) «misericordia» non è un semplice sentimento, dal quale scaturiscono determinate azioni, ma è il suo esercizio concreto. E, tuttavia, essa ha la sua sorgente nei “sentimenti” di Dio. Lo dice un secondo passaggio del Benedictus: la visita divina (cf. v. 68) e il sorgere benefico del suo astro, che illumina coloro che stanno nelle tenebre e nell’ ombra di morte, si spiegano con le «viscere di misericordia del nostro Dio,splánchna eléous theoû hemôn» (Lc 1,78; la CEI traduce: «Grazie alla tenerezza e alla misericordia del nostro Dio»). Sotto il vocabolo greco éleos (tradotto in latino misericordia) si riconosce il classico termine hésed (2), che nella Bibbia ebraica è spesso associato a «buono» (tõb), «verità-fedeltà» (´emet, , ´emunà), «giustizia» (tsédeq/tsedãqà, in senso salvifico), «grazia» (hen). In Lc 1,78 a éleos è accostata il termine fortemente antropomorfico splánchna (eb. rahamîm, viscere) (3): all’origine della visita salvifica di Dio in Cristo (cf. Lc 7,16; 19,44) è il suo amore paterno, tenero e misericordioso.
Gesù salvatore misericordioso
Il terzo evangelista presenta Gesù come il “sacramento” della misericordia di Dio. Anzitutto nelle guarigioni e con gli altri miracoli. Come si esprime Pietro nel discorso di Cesarea marittima, egli «passò beneficando e risanando tutti coloro che erano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui» (At 10,38). Egli stesso iniziando la sua missione, ne aveva indicato il significato con le parole del profeta:
Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato… e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione… a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore (Lc 4,16s; cf. Is 61,1s).
Come non ricordare che per il Terzo Isaia la salvezza annunciata sarà opera della misericordia di Dio? Dopo aver ricordato che «egli ci trattò secondo la sua misericordia, secondo la grandezza della sua grazia», il profeta supplicava:
Dove sono il tuo zelo e la tua potenza, il fremito delle tue viscere e la tua misericordia? […] Tu, Signore, sei nostro padre, da sempre ti chiami nostro redentore… (Is 63,7.15s).
Nei racconti di guarigione il vocabolario della misericordia è ricorrente : Il padre del ragazzo indemoniato lo supplica: «Maestro, ti prego, abbi pietà di mio figlio!» (9,38). Così anche i dieci lebbrosi: «Gesù maestro, abbi pietà di noi (17,13). La stessa supplica è ripetuta ben due volte dal cieco di Gerico: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!» (18,38s). Il racconto della risurrezione del figlio della vedova di Nain sottolinea la compassione di Gesù. «Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione, esplanchnísthe ep’ autê» (Lc 7,1-17). Lo stesso sentimento s’intuisce nella guarigione dell’uomo dalla mano inaridita (cf. 6,9), in quella della donna ricurva (cf. 18,10ss), come pure quando Gesù tocca e guarisce l’orecchio del servo del sommo sacerdote (22,52). Le folle accorrono «per ascoltarlo e per essere guariti dalle loro malattie», attratte dalla sua potenza e dalla misericordia verso i sofferenti (6,18; cf. 4,41.42; 8,40, ecc.).
Oggetto della misericordia di Gesù non sono solamente gli ammalati, ma anche e più ancora i peccatori. Li avvicina e siede a mensa con loro sfidando il giudizio dei benpensanti: Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non son a chiamare i giusti, ma i peccatori perché si convertano (5,31s).
Il comportamento della donna, che s’insinua nella casa di Simone il fariseo per manifestare la sua riconoscenza, scandalizza i commensali; ma Gesù la difende e la elogia: «…sono perdonati i suoi peccati perché molto ha amato» (7,36-50). La parabola del fariseo e del pubblicano mette in scena l’ autosufficienza del primo e l’umiltà del secondo che supplica: «o Dio, abbi pietà di me, peccatore» Gesù conclude annunciando il perdono del peccatore: «Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato» (18,9-14).
L’amore compassionevole di Gesù per il suo popolo e per i peccatori si manifesta in modo toccante nel tempo della passione. Quando fu vicino a Gerusalemme, «alla vista della città, pianse su di essa» (19,41). Le sue parole sono sì di rimprovero perché non ha riconosciuto la visita di Dio, ma anche di profondo compatimento per le sofferenze che le erano riservate (cf. 21,20-24). Il medesimo sentimento ispira la parola rivolta alle donne lungo il cammino dellella croce: «Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli…» (23,28). Quasi che il destino che attende la città santa gli pesasse più dell’ atroce sofferenza che si è abbattuta su di lui.
Pare che Gesù si dimentichi di sé e si preoccupi piuttosto del bene degli altri. Se uno dei suoi colpisce il servo del sommo sacerdote, venuto ad arrestarlo, Gesù gli tocca l’orecchio ferito e lo guarisce (22,51). Mentre è custodito in attesa dell’interrogatorio, volge lo sguardo su Pietro, che trovandosi nel cortile della stessa casa lo ha rinnegato tre volte: ricordando all’apostolo le parole del Maestro, quello sguardo lo commuove profondamene (22,61-62).
Sulla croce la misericordia di Gesù giunge all’estremo. Intercede per i suoi crocifissori: «Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno» (23,54). Ignorando le provocazioni e gli insulti, che infieriscono su di lui aggiungendo dolore a dolore, al compagno di supplizio che lo supplica, riconoscendosi peccatore, assicura: «Oggi sarai con me nel paradiso» (23,43).
Il padre misericordioso
Nella misericordia di Gesù verso i sofferenti e i lontani traspare la stessa misericordia di Dio. È quanto insegnano le tre meravigliose parabole del c. 15 del Vangelo. L’introduzione dell’evangelista è eloquente:
Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano, dicendo: “Costui accoglie i peccatori e mangia con loro”. Allora Gesù disse loro questa parabola…
Con la prima parabola (15,3-7: la pecora smarrita e ritrovata) e con la seconda (15,8-10: la moneta perduta e ritrovata) Gesù mette in risalto il valore che ogni essere umano conserva agli occhi di Dio, anche quando si è allontanato da lui, e – di conseguenza – la gioia di Dio quando il peccatore si converte e si lascia salvare. La terza parabola (15,11-32) rivela pienamente il vero volto di Dio, padre misericordioso, che riabbraccia con affetto immutato il figlio che ritorna a lui pentito. Attraverso le varie fasi della vicenda il padre conserva il medesimo atteggiamento: un amore generoso, paziente, longanime, che non si lascia vincere né dall’ingratitudine del figlio minore, né dalla gelosia del fratello maggiore. Quando il primo pretende la sua parte di eredità, non gli oppone resistenza, ma asseconda la sua decisione. Quando è ancora lontano, lo attende, lo vede per primo, gli corre incontro, lo abbraccia e lo bacia. Non appena accenna pronuncia qualche parola di pentimento – in realtà si è pentito non per aver offeso il padre, ma perché ridotto alla miseria – non lo rimprovera, ma gli fa festa. L’unico rimprovero è per il figlio maggiore, che si stupisce per tanta generosità. La conclusione è un invito alla festa, «perché questo mio figlio era morto, ma è ritornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato».
Con la parabola del padre misericordioso Gesù giustifica il proprio comportamento. Ciò equivale a dire che nel suo modo di comportarsi con i peccatori e i lontani, egli manifesta l’amore del Padre celeste. In realtà, allorché dice al paralitico: «Ti sono perdonati i tuoi peccati» (5,20), e alla peccatrice: «I tuoi peccati sono perdonati» (7,49), Gesù parla a nome di Dio: i presenti lo capiscono perfettamente!
…anche tu fa’ così!
Nella persona di Gesù l’amore misericordioso di Dio non solamente raggiunge l’uomo soccorrendolo, ma si comunica all’uomo per trasformarlo. È quanto suggerisce un’ altra parabola, quella del buon samaritano. Lo esplicita l’esortazione rivolta ai discepoli: «Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso».
Luca riprende il dialogo sul «primo di tutti i comandamenti», identificato con l’amore di Dio e del prossimo, come del resto fanno gli altri due Sinottici (cf. Mc 12,28-34; Mt 22,34-40). Da parte sua il terzo evangelista aggiunge una parabola, nella quale non a torto i Padri della Chiesa hanno scorto un’allegoria della salvezza dell’uomo, mortalmente ferito da Satana, per opera di Cristo buon samaritano (vedi Ireneo, Origene, Agostino) (4). Non il sacerdote, non il levita, che rappresentano le istituzioni della prima alleanza, ma uno straniero, disprezzato dai primi, vede l’uomo ferito, ne ha compassione (esplanchnísthe), lo soccorre e a proprie spese gli procura la salvezza. Il buon samaritano si è davvero fatto «prossimo» dell’uomo che giaceva mezzo morto e «ha avuto compassione di lui» (letteralmente: «Ha fatto con lui la misericordia, ho poiesas tò éleos met’ autoû»: Lc 10,30-37)5.
Come Dio «ha fatto misericordia ai nostri padri» quando in Gesù «ha visitato e redento il suo popolo» (1,68.72), e come Cristo «ha fatto la misericordia» nei confronti dell’umanità ferita e sofferente, così l’uomo è chiamato a farsi prossimo di ogni altro uomo e a imitare la misericordia del Padre e di Gesù stesso:
Va’, e anche tu fa’ così» (10,37)6. Questa la conclusione pratica della parabola, la quale non dà una risposta meramente teorica all’interrogativo: «E chi è il mio prossimo?» (10,29), ma interpella personalmente il lettore del Vangelo.
Siate misericordiosi!
In realtà, l’esortazione: «Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso» (Lc 6,36) rappresenta il vertice del discorso di Gesù ai discepoli (6,20- 49). Essa conferisce all’intera morale cristiana una motivazione teologica, nella quale è implicita la dimensione cristologica. Gesù invita all’ imitatio Dei perché egli stesso è la riproduzione vivente della misericordia di Dio.
Come insegnano le parabole del padre misericordioso e del buon samaritano e come prima ancora insegna Gesù con il suo comportamento concreto, la misericordia consiste sia in un sentimento profondo (la «compassione», vedi il verbo splanchnízomai) sia, di conseguenza, in un fare concreto volto al bene del prossimo. Un campo di applicazione specifico, sul quale il terzo Vangelo ama insistere, è l’ «elemosina», il soccorso al prossimo indigente. La parola stessa (elemosýne) rimanda alla misericordia (éleos), della quale è espressione. Ai farisei, preoccupati della purità rituale del piatto e del bicchiere, Gesù insegna: «Date piuttosto in elemosina quello che c’è dentro, ed ecco, per voi tutto sarà puro» (11,41). Ai discepoli raccomanda di non preoccuparsi del cibo e del vestito, ma di cercare piuttosto il regno di Dio; e aggiunge: «Vendete quel che possedete e datelo in elemosina» (12,33). Un’esortazione che ritorna in diverse forme (cf. 12,21; 16,9; 16,19ss: parabola del ricco epulone).
Conclusione
«Scriba mansuetudinis Christi» (7), Luca ne mette in risalto l’amore compassionevole e misericordioso verso gli umili, i poveri, i sofferenti, i lontani, i peccatori. Gesù è l’icona vivente della misericordia del Padre. Come tale, è anche il modello supremo, al quale debbono ispirarsi i suoi discepoli. L’imperativo: «Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo» (Lv 19,2), sulle labbra di Gesù diventa: «Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso». Forse in nessun testo biblico teologia, cristologia ed etica s’intrecciano così intimamente come in questa parola del Gesù di Luca.
Note
1) J. CAMBIER, «Misericordia», in A. ROLLA – F. ARDUSSO – G. GHIBERTI- G. MAROCCO (edd.), Enciclopedia della Bibbia, vol. 4, LDC, Torino 1971,1214-1219; qui, col. 1214 e 1216.
2) La misericordia «è qualcosa che diventa sperimentabile in situazioni concrete, ma che oltrepassa la manifestazione singola e contiene un riferimento all’agente stesso. In questo senso il concetto si avvicina alla nostra “benevolenza”, e anche a “bontà” [.. .]; …è una buona volontà, che si traduce in azioni buone, una disposizione ad aiutare (cf. Jepsen) […], una certa magnanimità, un atteggiamento umano che è pronto a rinunciare a se stesso e ad aiutare gli altri.. .» (H.J. STOEBE, «hæsæd, bontà», in E. JENNI – C. WESTERMANN [edd.], Dizionario Teologico dell’Antico Testamento [DTAT], vol. l, Marietti, Torino 1978, 520-539; qui, coll. 529s).
3) L’eb. réhem «designa il grembo materno», il pl. rahamîm «designa in generale il sentimento della misericordia, anzi originariamente il posto in cui questo sentimento veniva localizzato (i “visceri”).. .» (H.J. STOEBE, «rhm pi., avere misericordia», in DTAT, 2, 685-692; qui col. 686). Fitzmyer osserva che «la combinazione di splánchna edéleos, che qui si trova, non occorre nella LXX come traduzione di rahamîm e hesed, per la quale essa usa piuttosto rahamîm e oiktirmoì (vedi Os 2,21), (J.A. FITZMYER, The Gospel according to Luke, vol. 1, Doubleday, New York 1985, 386).
4) IRENEO, Adv. Haer. 3, 17,3; ORIGENE, Hom. in Luc. 34,4; AGOSTINO, Quest. Ev. 2, 19. Cf. F. BOVON,Vangelo di Luca, vol. 2, Paideia, Brescia 2007,115-117. All’esegesi patristica s’ispira il Prefazio comuni VIII del Messale: «Buon samaritano, egli viene incontro a ogni uomo piagato nel corpo e nello spirito, e versa sulle sue ferite 1’olio della consolazione e il vino della speranza…».
5) Un settuagintismo, come nota FITZMYER, The Gospel, 115; cf. Gen 24,12; Gdc 1,24; 8,35; Rt 1,8. Il senso è: dimostrare in concreto la misericordia, agire con amore misericordioso verso qualcuno.
6) Con il trionfo del metodo storico-critico e, in particolare, sulla scia dell’ opera di A. Jülicher sulle parabole, l’allegoria cristologica del buon samaritano è stata abbandonata. E tuttavia – osserva Bovon – «bisogna semplicemente respingere l’equazione patristica e medievale che fa del samaritano un’immagine di Gesù Cristo? Non ne sono convinto, perché, delineando l’amore del prossimo, la parabola si fonda su un modello. Il samaritano adotta in realtà i sentimenti e riprende i gesti di Cristo stesso. Gesù non è stato, anch’egli, e per primo, “toccato fino alle viscere” davanti alla sofferenza, alla solitudine e al dolore degli uomini (cf. 7,13)? Non è forse venuto, come un medico, per curare e salvare ciò che era perduto (cf. 5,31-32)? E, dietro alla misericordia attiva di Gesù si cela, simmetrica e programmatica, ”l’eudokía, il compiacimento”, il disegno di salvezza, la bontà operosa di Dio stesso (cf. 10,21). Pur conservando l’orientamento etico del passo, non ne sottovaluto, quindi, né la componente cristologica, fatta di una cristologia soprattutto esemplare, né il radicamento teologico, di una teologia dell’economia della salvezza» (BOVON, Vangelo di Luca, 120).
7) DANTE, De monarchia I,16.