Suor Maria De Coppi è stata uccisa martedì sera in Mozambico, nella sua missione di Chipene. Quanto è accaduto dovrebbe scuotere le nostre coscienze, non foss’altro perché mai come oggi c’è urgente bisogno di testimoni in grado di rendere intelligibile il messaggio evangelico. Suor Maria, in Mozambico dal lontano 1963, è sempre stata coerente nelle sue scelte, interpretando fedelmente quanto auspicato da papa Francesco: stare permanentemente in periferia, dalla parte dei poveri. In tutti questi anni, assieme alle sue consorelle e ai suoi confratelli, ha rischiato la vita più volte, soprattutto durante la sanguinosa guerra civile che insanguinò il Paese dal 1975 al 1992. E se da una parte è vero che soltanto coloro che hanno provato lo choc della precarietà o l’angoscia delle tragiche ambiguità impresse dalla Storia possono accostarsi più di altri al mistero di Dio, è evidente che il suo martirio rappresenta un’occasione per operare un sano discernimento.
Paolo VI nell’Evangelii nuntiandi scrive: «L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni» (n. 41). Il cristianesimo, infatti, è una religione che non si limita a enunciare i valori, ma esige che essi vengano autenticamente testimoniati, non ammettendo la separazione e la dicotomia tra l’enunciazione dei princìpi e l’incarnazione degli stessi. La morte di suor Maria, ultima di una lunga serie di ‘sentinelle del mattino’ che ogni anno cadono sul campo in terre remote, ci interpella perché questa comboniana ha dato la vita per la causa del Regno, difendendo fino all’ultimo i diritti degli oppressi in una terra dimenticata da tutto e da tutti. Una scelta all’insegna dell’autenticità e della gratuità, anche perché la Martyria, di cui parlano i Padri Della Chiesa, non si riferisce soltanto agli attimi finali, quelli che hanno scandito il sacrificio estremo della propria vita. Essa è innanzitutto testimonianza quotidiana del Vangelo. Suor Maria – è il caso di dirlo – ha davvero aiutato gli africani «a casa loro» – riconoscendo il volto del Dio Vivente nei poveri. Quello che lei ha sperimentato in quasi sessant’anni di missione a tempo pieno è stato il servizio alle vittime della miseria e delle ingiustizie che continuano a perpetrarsi, fino ai nostri giorni, nell’ex colonia portoghese. «Perché per trovare i martiri – come ha detto papa Francesco – non è necessario andare alle catacombe o al Colosseo: i martiri sono vivi adesso, in tanti Paesi».
E il grido di questi reietti, che non conta affatto per i distratti, provoca un bisogno di trascendenza, di uscita da sé verso gli altri, verso l’Altro. Una lezione di vita, quella di suor Maria che giustamente lamentava la disattenzione della stampa nostrana rispetto al conflitto che si combatte dall’ottobre del 2017 nel Nord del Mozambico. Pare certo che il raid perpetrato a Chipene sia di matrice jihadista, per mano di islamisti provenienti dalla regione settentrionale di Cabo Delgado. Non sarebbe affatto una sorpresa, considerando che recentemente queste formazioni hanno raggiunto addirittura la zona di Nampula. Si tratta di una delle tante ‘guerre dimenticate’, quelle che solitamente in Italia non fanno notizia, ma che costano la vita a un numero indicibile di civili. Il paradosso di cui suor Maria è stata testimone in questi anni è rintracciabile nella contrapposizione tra gli estremi: ricchezza e povertà. Il Mozambico è ricco di gas, per non parlare dell’oro, della grafite, del titanio e della bauxite. Un Paese, dunque, ostaggio di potentati stranieri d’ogni genere il cui intento è quello di conseguire la massimizzazione del profitto o la destabilizzazione della regione come fanno gli islamisti. Ecco perché il sacrificio di questa missionaria è una profezia per dare voce a chi voce non ha.