Eccellenza, nella premessa del documento finale votato sabato si parla di “grido” e di “voci”. Come la Chiesa può mettersi in ascolto delle molteplici grida e voci?
È stato un Sinodo in cui si sono sentiti il “grido dei poveri” e le “voci dal mondo”. L’assemblea ha vissuto, solo dopo tre giorni dal suo inizio, ascoltando il grido che saliva della guerra dell’Ucraina e dal terribile conflitto del Medio Oriente. A porte chiuse si sentiva il fragore angosciante dei missili e delle bombe e il grido dei poveri, elevato da vescovi, religiosi e laici che provenivano dai paesi coinvolti. Tutti siamo stati ad ascoltare attoniti i racconti dolorosi e pieni di passione pastorale dei vescovi dell’Ucraina, dell’Africa, dell’America latina, del Medio ed Estremo Oriente con situazioni di povertà, dipendenza e privazione inimmaginabili. L’Occidente si è sentito piccolo e spesso egoista, per non comprendere il grido che si leva dalla disperazione di molti popoli e chiuso nel calcolo meschino di chi vuole blindare i suoi confini e non aprirsi all’accoglienza. Molto belle e fresche sono state le “voci dal mondo”: si è visto che da ogni parte i sinodali volevano far sentire la voce del loro paese ed erano contenti che raggiungesse il centro della Chiesa. Loro si sono sentiti ascoltati e per noi è stata una vera esperienza di universalità e cattolicità.
La Chiesa italiana è impegnata nel percorso sinodale dal 2021. Quale contributo dal Sinodo?
Il Cammino sinodale della Chiesa italiana deve affrettare il passo. Il tempo si è fatto breve. C’è poco più di un anno prima del Giubileo del 2025. Due temi rimbalzano sull’agenda dopo la lunga fase narrativa durata due anni. Bisogna puntare lo sguardo sul destino della fede per i cristiani (e non solo) in Italia e rivedere con coraggio la forma ecclesiae, il modo di presenza della Chiesa alla vita della gente. Nel mio intervento al Sinodo sul primo tema ho detto che il Vangelo non può essere annunciato senza tener conto del grande cambiamento del destinatario, che non è più il non credente, il mal credente o l’ateo, in ogni caso una persona in ricerca, ma l’uomo o la donna indifferente, inappetente, immerso nell’immediato e senza orizzonte futuro, che non si fa più neppure domande sul senso della vita. Per far questo non servono solo vescovi e preti, ma anche tanti uomini e donne, con la loro dote di umanità per far sognare cos’è la vita nuova del Vangelo mediante l’ascolto, la testimonianza di fede, il contagio, lo scambio tra il dono di Dio e la vita degli uomini. La Chiesa deve essere sinodale per essere missionaria, ma può vivere il primato dell’evangelizzazione solo con uno stile sinodale.
Come portare la ricchezza del confronto nelle comunità?
Si tratta di ricuperare l’immagine della Chiesa del primo millennio, con una pluralità di volti e figure, di carismi e missioni, di ministeri e servizi. Di qui la domanda cruciale: quali scelte occorrono per restituire un’immagine di Chiesa sinfonica, come ci ha detto papa Francesco? Il bisogno di spiritualità, segnalato da molte inchieste sulla società secolarizzata, non ha forse necessità di comunità credibili dove si è accolti, si prega, si celebra, crescono buoni legami e si fanno opere di carità e missione?
Nella Relazione di sintesi viene dedicato ampio spazio ai poveri ma si parla anche di cattolici e politica.
L’amore ai poveri e agli ultimi, l’impegno sociale e politico del credente deve aver chiaro fin dall’inizio una cosa e una cosa sola: ciò che è proprio del cristiano non è solo la risposta al bisogno, ma la liberazione dal bisogno, l’affrancamento da ogni dipendenza. La nostra carità e il nostro servizio sono come l’opera della levatrice, che ha raggiunto il suo scopo quando diventa inutile, perché ha fatto nascere una vita che procede per forza propria e autonoma. Noi aiutiamo il povero perché diventi un fratello libero e responsabile e possa sedersi insieme al banchetto della vita. Noi aiutiamo il povero perché diventi un fratello libero e responsabile e possa sedersi insieme al banchetto della vita. Anche la presenza dei cristiani nella vita civile e nell’arena politica deve organizzarsi dal basso, superare le polarizzazioni, i luoghi comuni di un dibattito incolore e stanco. La diaspora dei cattolici italiani è prima un fatto culturale che organizzativo: non c’è più visione, passione civile, fantasia politica, confronto nei luoghi dove si elaborano idee e consenso. Basta aprire un giornale: il tema del giorno viene cancellato dall’urgenza delle notizie del giorno dopo. Nessun contributo pensato genera una discussione appassionata e costruttiva.
La seconda parte della Relazione ha al centro i laici e le famiglie. Dal Vaticano II in poi si chiede di valorizzare laicato e famiglie. Che cosa cambia ora?
In Italia si è già scritto e detto molto, ma forse bisogna superare il carattere subalterno del laicato cristiano a cui è stato concesso poco protagonismo. I luoghi della cultura cattolica (università, facoltà, riviste, associazioni e movimenti, volontariato) si sono rinchiusi in posizione di rendita, senza accorgersi del cambiamento sociale in atto. Non c’è dibattito e non ci sono progetti per interventi che aiutino ad uscire dal senso di ansia e di minaccia del dopo Covid e dalle situazioni di conflitto. Il tema della pace è solo proclamato, ma non si traduce in opere e azioni conseguenti sullo scacchiere dell’Europa che sembra la “bella addormentata”. Per quanto riguarda la famiglia la grande depressione della denatalità è curata con pannicelli caldi, e quindi non riesce a dare alla vita familiare quella serenità sociale che consenta alle coppie di sognare in grande e di essere generative. Non si fanno figli senza lavoro, protezione sociale e passione per il futuro.
Il tema del diaconato femminile ha “diviso” i padri sinodali?
Le voci variegate del Sinodo hanno suggerito un coraggioso approfondimento della tradizione bimillenaria e una riflessione teologica accurata, perché non è sufficiente l’argomento dell’eguaglianza dei diritti, ma è necessario riflettere sulla più ampia teologia del ministero ordinato (n. 9, k). Il n. 9,j riporta le posizioni emerse nel dibattito, ma la Commissione istituita da papa Francesco dovrà pronunciarsi in modo convincente prima della seconda sessione del Sinodo (in programma nel 2024, ndr).
Infine la formazione. Perché un approccio sinodale è chiamato a guardare con maggiore cura alla formazione?
L’istanza della formazione è emersa con più urgenza e convergenza a tutti i livelli, tanto che ad essa è dedicata molta della terza parte della Relazione di sintesi. Una Chiesa “in stato di Sinodo” deve diventare una Chiesa che si siede come Maria ai piedi del Maestro per reimparare con umiltà i fondamenti della fede. Ma questi si riconoscono tornando all’essenziale, facendo come disse papa Giovanni nel discorso inaugurale del Concilio: «Altra è la sostanza dell’antica dottrina del depositum fidei, ed altra è la formulazione del suo rivestimento: ed è di questo che devesi – con pazienza se occorre – tener gran conto, tutto misurando nelle forme e proporzioni di un magistero a carattere prevalentemente pastorale». Non è questo che tutta la Chiesa vuole fare con papa Francesco?