“Siete una lettera di Cristo” (2 Cor 3,3): la Parola di Dio scritta nella nostra vita

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TESTO
1Cominciamo di nuovo a raccomandare noi stessi? O abbiamo forse bisogno, come
alcuni, di lettere di raccomandazione per voi o da parte vostra? 2La nostra lettera siete
voi, lettera scritta nei nostri cuori, conosciuta e letta da tutti gli uomini. 3È noto infatti
che voi siete una lettera di Cristo composta da noi, scritta non con inchiostro, ma con
lo Spirito del Dio vivente, non su tavole di pietra, ma su tavole di cuori umani.

ANALISI DI ALCUNI TERMINI1
1: La nostra lettera siete voi: I nemici di Paolo si presentano a Corinto con lettere di
raccomandazione (3,1; cf. 10,12.18), secondo i costumi delle comunità giudaiche e non solo:
“Nell’antichità era una consuetudine molto diffusa raccomandare per via epistolare parenti e amici,
soprattutto nel caso di viaggi. L’uso di lettere raccomandatizie era diffuso anche fra filosofi e predicatori
itineranti”2. Appare dunque che gli oppositori di Paolo, “quei molti che fanno mercato della parola di
Dio” (2,17) erano – tutti o in parte – forestieri a Corinto, missionari itineranti. Invece la lettera di
raccomandazione di Paolo sono i risultati, l’esistenza stessa della comunità di Corinto (3,2) e “la qualità
della vita comunitaria costituiva un messaggio per il mondo, mediante il quale venivano pubblicizzati gli
effetti della grazia (cfr. 1Ts 1,8, Fil 2,16)”3. “La comunità stessa è la migliore credenziale”4. Come
“apostolo e padre spirituale (1Cor 4,14s), Paolo ha chiamato alla vita la comunità di Corinto”5. “Di per
sé, l’espressione «la nostra lettera» è ambigua. Può significare che a stendere questa missiva, anche se
sotto la dettatura di Cristo (cf. v. 3), sia stato Paolo (cf. 1Cor 5,9; 2Cor 7,8), oppure che essa sia stata
scritta per raccomandare Paolo. Comunque sia, l’esistenza stessa dei cristiani di Corinto è una
presentazione dell’Apostolo e della fecondità della sua missione”6.
scritta nei nostri cuori: il verbo è al passivo, senza complemento d’agente, il che fa pensare a un
passivo divino, come il versetto seguente confermerà. Il cuore è il centro dell’autoconsapevolezza e la
sorgente dell’agire umano. Secondo Wendland, “il plurale si riferisce ovviamente solo a Paolo”7. Ma
Manzi pensa anche “eventualmente a Timoteo ed altri collaboratori”8. Con alcuni manoscritti è
piuttosto possibile leggere: “scritta nei vostri cuori” 9. Tale lettura è confortata anche dalla
composizione (cf. parte seguente), ove “vostri cuori” è parallelo di “cuori carnali” o umani (v. 3).
conosciuta e letta da tutti gli uomini: “esagerazione tipica del temperamento di Paolo. (…)
D’altronde in una metropoli commerciale come Corinto non mancavano né le occasioni di incontro né
i mezzi di comunicazione delle notizie”10.
3: una lettera di Cristo: “Paolo è come lo scrivano che compone la lettera che di fatto appartiene a
Cristo, scritta con il segno indelebile dello Spirito di Dio sui cuori. (…) La comunità cristiana è

1 Bibliografia: Maggioni, Bruno e Manzi, Franco (a cura di), Le lettere di Paolo, Cittadella, Assisi, 2005; Murphy
O’Connor, Jerome, La teologia della seconda lettera ai Corinti, Paideia, Brescia 1993; Orsatti, Mauro, Armonia e
tensioni nella comunità. La Seconda Lettera ai Corinti, EDB, Bologna 1998; Wendland, Heinz-Dietrich, Le lettere ai Corinti.
Commento, Paideia, Brescia 1976.
2 Manzi, o.c., 457.
3 Murphy-O’Connor, o.c., 46.
4 Orsatti, o.c., 56. “Già in 1Cor 9,1-3 Paolo aveva espresso una convinzione molto simile a questa, definendo la Chiesa
corinzia come una sua «opera nel Signore», anzi come il «sigillo» del suo apostolato e la sua «apologia» nei confronti dei suoi
denigratori” (Manzi, o.c., 458).
5 Wendlnd, o.c., 330.
6 Manzi, o.c., 458s.
7 O.c., 33°.
8 O.c., 459.
9 J. Murphy-O’Connor segnala che C.K. Barrett preferisce la lezione “scritto nei vostri cuori” (3,2), anche se debolmente
attestata (o.c., 46).
10 Manzi, o.c., 459.
2
possesso di Dio”11. “La sua (di Paolo, ndr) lettera di raccomandazione non è solamente diversa nella
forma, ma proveniva da un’autorità ben più importante: cioè da Cristo (3,3a). L’idea sottostante è
ancora una volta che la comunità rappresenta la perdurante attualizzazione del ministero di Cristo nella
storia”12. In greco il genitivo (cf. “di Cristo”) può avere molteplici sensi: di appartenenza, soggettivo,
oggettivo, partitivo, di scopo, del contenuto, appositivo; penso perciò che si potrebbe anche tradurre:
“la lettera che è Cristo”.
composta da noi: lett. “«siete una lettera di Cristo curata da noi». Questa formulazione non esclude la
possibilità che Paolo si sia considerato più che il latore (oppure: oltre che latore) lo scrivano della lettera
dettata da Cristo. Avremmo così l’immagine suggestiva di Paolo «scrivano» di Cristo e, di conseguenza,
anche un’interpretazione un po’ diversa della pericope”13. Paolo usa il participio passato aoristo del
verbo diakonéō, che significa: servire, essere a servizio, prendersi cura, assistere, svolgere il compito di
diacono14.
non su tavole di pietra: “Ci si sarebbe aspettato che Paolo dicesse che questa era «scritta non con
l’inchiostro…, non su pergamena», dato che ciò contrasta naturalmente con le lettere portate dai suoi
avversari. Il solo motivo per cui introduce l’idea di «tavole di pietra» (3,3b) è perché vuol associare i
latori delle lettere di raccomandazione con la legge mosaica. Sul monte Sinai Mosè ricevette le «due
tavole della testimonianza, tavole di pietra scritte dal dito di Dio» (Es 24,12; 31,18). Gli intrusi erano
dunque giudaizzanti”15.
cuori umani: lett.: cuori carnali (da sarx), in contrasto con “Spirito del Dio vivente”. Il testo di 2Cor
3,2-3 è trinitario.

COMPOSIZIONE

1Cominciamo di nuovo a raccomandare noi stessi?
O forse abbiamo bisogno, come ALCUNI,
di lettere di raccomandazione per voi o da voi? ———————————————————————————————————————
2La nostra lettera voi siete,
scritta nei vostri cuori,
conosciuta e letta da TUTTI gli uomini.

3È noto infatti che siete una lettera di Cristo composta da noi,
scritta non con inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivente,
non su tavole di pietra, ma su tavole di cuori umani.
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PISTE D’INTERPRETAZIONE

Una lettera di Dio che tutti leggono. L’immagine dunque sembra essere la seguente: Paolo ha servito
alla scrittura di una lettera nei cuori (carnali, umani) dei Corinti, che tutti conoscono e leggono. Più: i
Corinti stessi sono questa lettera, che appartiene a Cristo e alla cui stesura Paolo ha (solo) reso un

11 Orsatti, o.c., 56.
12 Murphy-O’Connor, o.c., 46.
13 Wendland, o.c., 330s, nota.
14 Paolo usa questo verbo nella lettera ancora una volta, a proposito di Tito: “Egli è stato designato dalla chiesa come nostro
compagno in quest’opera di carità, alla quale ci dedichiamo per la gloria del Signore, e per dimostrare anche l’impulso del
nostro cuore” (2Cor 8,19).
15 Murphy-O’Connor, o.c., 46s.
servizio, ha retto la penna il cui inchiostro capace di imprimere le parole è lo Spirito di Dio e il cui
contenuto è Cristo. Lo Spirito è l’attore di questa lettera, Cristo ne è il proprietario e il contenuto, Paolo
lo strumento (al v. 4 preciserà che “la nostra capacità viene da Dio”). Tale lettera appare sotto gli occhi
di tutti.
Tra noi e voi, alcuni (v. 1). Nel rapporto di paternità-maternità che lega Paolo ai Corinti s’inseriscono
questi “alcuni” (1b) che si presentano con lettere di accreditamento (1c), che Paolo non ha usato. Paolo
reagisce. Non ha bisogno di “raccomandare se stesso” (1a), né di ricercare lettere di raccomandazione
presso altri, come fanno i forestieri. E neppure i Corinti sono per lui forestieri, sì che si debbano
presentare a lui con lettere del genere.
Siete voi la nostra lettera (v. 2). La lettera di Paolo sono i Corinti stessi (2a): una lettera scritta non
esternamente con imposizioni e obblighi, ma nel profondo della consapevolezza di sé dei Corinti e del
loro comportamento. Sono infatti uomini nuovi. E questo è noto a tutti: nella vasta Corinto, porto di
mare e crocevia di popoli, si racconta di una comunità di Corinti dall’esistenza cambiata. Tale lettera è
non solo conosciuta ma anche leggibile, comprensibile “da tutti gli uomini”.
Paolo servo (3a). Paolo non dice di aver scritto lui stesso (o loro stessi, il gruppo degli apostoli), questa
lettera, anche se essa è “nostra”, né precisa il suo compito nella scrittura di questa lettera che sono i
Corinti. L’unico inchiostro capace di scrivere nei cuori e nelle vite dei Corinti è “lo Spirito del Dio
vivente” (3b). Il ruolo di servizio che Paolo si attribuisce (3a) porta a concludere che non è lui l’autore
della lettera ma Cristo stesso o Dio (passivo divino “scritta”). Paolo serve a un’impresa che ha il Padre
come autore, lo Spirito come esecutore, Cristo come Signore a cui si appartiene e contenuto stesso. Nel
contempo, gli apostoli sono totalmente dediti al loro compito, sì che questi Corinti sono la “loro”
lettera.
PISTE DI ATTUALIZZAZIONE
Non l’esterno, ma l’identità profonda. Queste poche righe di Paolo dicono in modo figurato
l’identità cristiana. Il cristiano non è uno incantato da qualcuno venuto con titoli di raccomandazione.
Non è qualcosa di vecchio a cui s’incolla una facciata nuova. Non è il fedele esecutore di un manuale. È
qualcuno di radicalmente nuovo: è cambiato dalla radice, nella sua identità profonda. Questo si vede
anche fuori, tutti conoscono e leggono la novità della sua vita. Questo cambiamento non è l’opera di un
sia pur bravo predicatore, né del puro sforzo della persona. Nel profondo della comunità dei credenti,
Dio ha scritto parole nuove mediante il suo Spirito, come annunciava il profeta Geremia, per bocca del
quale il Signore aveva detto: “Ecco, verranno giorni nei quali… porrò la mia legge dentro di loro, la
scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo” (Ger 31,31…33b; cf.
Ez 36,24ss).
Apparteniamo a Cristo. Noi siamo “lettera di Cristo”, non ci apparteniamo più. Non possiamo
scrivere altro sulla nostra vita, né permettere ad altri di farlo. Il cristiano trova in questo la sua gioia,
senza invidie, senza cercarsi angolini suoi. È un’alleanza totale, un’appartenenza totale e per sempre.
Una vita e un mondo trasformati. Quest’inchiostro che incide sui nostri esseri “carnali” è lo Spirito.
Paolo ci restituisce lo stupore di un contatto incredibile tra “lo spirito del Dio vivente” e la “sarx”,
carne che noi siamo. È il mistero dell’incarnazione, dell’impatto efficace dell’eterno sul transitorio, della
possibilità data a questa nostra storia spesso terribile e impietosa di divenire il luogo del Regno d Dio,
scritto a lettere indelebili e leggibili dallo Spirito di Dio.
Ridiventare carta bianca. Perché tanti non leggono più questa lettera? Se è leggibile da tutti, perché
tanti non la conoscono? La domanda riguarda noi: che lettera siamo? Chi scrive sulla nostra vita?
Abbiamo forse strappato o stropicciato la pagina che siamo ove lo Spirito di Dio aveva cominciato a
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scrivere? È possibile però ridiventare carta bianca, non semplicemente per uno sforzo nostro ma
perché lavati dal sangue stesso del Figlio di Dio Gesù Cristo. Il perdono dei peccati rende la nostra vita
una pagina resa bianca dal suo amore, perché ne possiamo fare una lettera di Cristo destinata a tutti.
Come avviene tutto ciò? Avviene giorno per giorno, lasciando che Dio vi scriva una sua parola e che
essa metta radici e diventi vita per noi e attorno a noi. Scriveva nel suo Diario, in piena Prima guerra
mondiale, Fernand Ebner:
“Il compito e però nello stesso tempo anche l’unica uscita dal crollo totale dell’umanità di cui
avvertiamo l’inizio, è riafferrare la realtà umana di Cristo, tenerla ferma e reggerci ad essa, per
non precipitare nell’abisso che è davanti ai nostri piedi. Afferrarla nella prassi della vita…. Ma, si
può dire, come afferrare quell’umanità di Cristo, per tenerci ad essa? Molto probabilmente
lasciando diventare reale, nella nostra propria vita anzitutto, anche una sola delle parole di Cristo,
il che, certo, non è affatto possibile senza una spaccatura che coinvolga tutto nella nostra
esistenza, senza uno scarto decisivo e una conversione di marcia nella nostra vita.”
Nello stesso diario, Ebner ha scritto ancora:
“Che la luce della verità brilli nel tuo cuore e indirizzi e rinnovi la tua vita, questo non avviene
per far piacere a te. Questo avviene per amore di tutti gli uomini, perché possano presentire la
vicinanza del Regno di Dio”.
(Diario, 1916-17)
L’incontro che continua. L’impatto fra Dio e il mondo passa attraverso le nostre esistenze. Lì, nel
profondo di noi stessi, il nostro cuore si fa pagina aperta perché Dio vi imprima, con l’inchiostro dello
Spirito, la sola Parola veramente salutare, veramente risolutiva, veramente liberante, gioiosa e
beatificante, la sua. Molte persone vivono di facciata, di devozione. Ma è la vita che rivela se il cuore si è
lasciato scrivere la sola parola definitiva: Cristo. Cos’è questo cuore, questa “carne” se non il luogo
dove percepiamo, leggiamo, interpretiamo il mondo e decidiamo come viverci, dove s’incontra una
Parola che è Cristo stesso con l’oggi della mia esistenza e del mondo?
La “tessera hospitalitatis”. Di Maria, Luca dice che meditava le cose udite e viste (Lc 2,19) e usa il
verbo symbállō, che significa mettere insieme, da cui “simbolo”. In antico si chiamava simbolo l’anello o
il coccio che, spezzati e custoditi da due famiglie, servivano da perenne contrassegno dell’ospitalità
ricevuta e offerta. A questo conduce l’ascolto della Parola: alla scoperta della sua pertinenza con la mia
e nostra vita, come due pezzi di coccio che si riconoscono e insieme formano una sola realtà.
Lettera di Cristo per il mondo. Non siamo fatti per cercare una salvezza individuale. Noi siamo una
lettera di Cristo per il mondo. Anche se il nostro quotidiano ci sembra angusto, stretti come ci sentiamo
fra mille incombenze per alcune persone, il nostro modo di essere è lettera rivolta a tutti, è lettera scritta
col fuoco dello Spirito nella storia. Le logiche ci guidano spalancano la via al Regno o la ostruiscono.
Mons. Christophe Munzihirwa, arcivescovo di Bukavu (1926-1996), nella Repubblica democtatica
del Congo, è stato una lettera di Cristo nel suo momento storico. Il 24 luglio 1994, quando la fiumana
dei profughi ruandesi era appena entrata nell’est dell’allora Zaire, nella sua diocesi, afferma in un’omelia:
Noi cristiani non possiamo dimenticare che Gesù, appena nato, ha vissuto come rifugiato in
Egitto e che la storia dei nostri antenati ha registrato numerose deportazioni, senza tacere del
fatto che Israele è uscito dalla schiavitù in Egitto. Cerchiamo dunque di vivere insieme, da veri
cristiani, zairesi e ruandesi, questi avvenimenti che interpellano la nostra carità e la nostra crescita
evangelica. Da questa crisi la parte peggiore della società ne uscirà svilita; i cristiani ne usciranno
rinnovati. Infatti, «ci sono delle cose che non si possono vedere bene, se non con occhi che
hanno pianto». Che il Signore asciughi le nostre lacrime con il dono della pace!
E una decina di giorni dopo scrive:
Cristiani, anche se non possiamo impedire la violenza dobbiamo sempre disapprovarla: bisogna
sapere dire NO, un no assoluto. Anche se non arriviamo a sbrogliare i nodi gordiani
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dell’ipocrisia, dobbiamo lo stesso denunciarli. Bisogna sapere dire NO, un no anch’esso assoluto.
Poi dobbiamo tentare di superare sia le violenze che le ipocrisie, per risvegliare una visione
migliore di questo mondo profondamente travagliato, dove il male convive con il bene (la
zizzania e il grano). Il buon grano (il bene) esiste, in gran numero, e di una qualità sorprendente.
(…) In questi giorni in cui si continuano a scavare delle fosse comuni, in cui la miseria e la
malattia si estendono su migliaia di chilometri di strade, di piste, di sentieri, di colline, di rifugi, di
campi, siamo particolarmente chiamati dal grido di Cristo sulla croce: «Padre perdonali perché
non sanno quello che fanno!». (…) Il Signore nostro Dio ha perdonato; ci invita a perdonare.
Solo questo perdono eroico rientra nella logica della salvezza. (…) Forte di questa fede in Gesù
Cristo, la Chiesa si deve essere a servizio della giustizia e della pace; questo servizio fa parte della
missione della Chiesa, specialmente nella nostra Africa di oggi.
L’ultima sua lettera, del 28.10.1996, alla vigilia della sua uccisione:
In questi giorni, che cosa possiamo ancora fare? Restiamo saldi nella fede! Io chiedo ai nostri
militari di riprendersi e di risvegliare in essi un minimo di dignità militare. Chiediamo ai capi
militari di fare tutto il necessario per proteggere le nostre vite dai saccheggiatori, e noi resteremo
a casa nostra per aiutarli. Noi abbiamo la speranza che Dio non ci abbandonerà e che da qualche
parte del mondo sorgerà per noi un piccolo bagliore di speranza. Dio non ci abbandonerà se ci
impegneremo a rispettare la vita dei nostri vicini a qualunque etnia appartengano.
Tanti gli esempi. Possiamo ancora citare, per quanto riguarda la RD Congo, Mons. Emmanuel
Kataliko, suo successore, tanti cristiani che hanno rischiato e dato la vita per gli altri. Nei nostri giorni le
Comunità ecclesiali viventi, vera lettera di Cristo nel contesto difficile del Paese oggi. Ha scritto l’antico
monaco Macario: « Siate contenti di tutto ciò che potete comprendere e cercare di metterlo in pratica;
allora ciò che vi resta nascosto sarà rivelato al vostro spirito”.