A Salomone, il re saggio, sono attribuiti molti dei libri che appartengono al gruppo degli Scritti sapienziali. Come molti Salmi sono messi sulla bocca di Davide, il grande cantore di Dio, così le riflessioni dei sapienti di Israele sono spesso attribuite al suo figlio, Salomone: il Cantico dei Cantici, il Qohèlet, i Proverbi ed, infine, la Sapienza, probabilmente l’ultimo scritto, in ordine cronologico, dell’Antico Testamento. Il brano che vi proponiamo, tratto dal volume di M.Gilbert, La sapienza del cielo. Proverbi, Giobbe, Qohèlet, Siracide, Sapienza, San Paolo, Cinisello Balsamo, 2005, pagg.221-223, ci introduce al tema dell’amore per la Sapienza che, come una donna, deve essere desiderata, scelta ed amata dal proprio marito. Qui il libro della Sapienza sembra quasi intuire il valore del celibato che sarà annunciato da Cristo stesso.
Un altro esegeta, P.Beauchamp, a questo proposito ha posto la questione: sposare la sapienza o non sposare che la sapienza? (cfr. P.Beauchamp, Épouser la Sagesse – ou n’épouser qu’elle? Une énigme du Livre de la Sagesse, in Le salut corporel des justes et la conclusion du Livre de la Sagesse. Pages exégétiques, Lectio Divina 202, Paris, Cerf, 2005, pp. 299-327).
Il Nuovo Testamento, annunziando che la Santa Sapienza di Dio, la Santa Sofia, è Cristo stesso, mostrerà come questo amore per la Saggezza sia, in realtà, un amore personale, un incontro con il Figlio ed il suo essere persona amante ed amabile, al punto da presentarsi come l’Unico.
Il Centro culturale Gli scritti (29.11.2006)
All’altro capo dell’elogio della Sapienza (N.d.R. il primo è quello della nascita e della giovinezza, il tempo della formazione, in Sap7,1-22a), l’autore torna all’esperienza di Salomone, seguendo il corso normale delle cose. Compiuta la formazione, viene il tempo di scegliere una sposa.
Nella Bibbia, Salomone aveva lasciato il triste ricordo di molteplici amori (1Re11,1-13; Ne13,26; Sir47,19-20). Il nostro autore non ne fa parola, perché il Salomone cui egli pensa è anteriore a quelle debolezze; lo vede molto più giovane, non ancora impegolato nei suoi matrimoni politici, dalle conseguenze religiose e morali disastrose. Il Salomone che egli ha in mente è il giovane principe che al Signore chiese soltanto la Sapienza, che preferì a tutto.
Dato che essa sola egli ama, si augura che divenga la compagna della sua vita, la sua sposa. Il passo di Sap8,2-21 è costruito su questa ben esplicita idea, tre volte ripetuta, in Sap8,2.9.16-17. Ma per ottenere la Sapienza, bisogna chiederla al Signore, come un giovanotto chiede a un padre la mano della figlia (Sap 8,21).
Ebbene, la Bibbia non aveva mai parlato di Salomone in questa maniera. Cosa vuol dire il nostro autore? Certamente ricordiamo che al centro dell’esordio del suo discorso egli aveva proclamato la beatitudine della donna sterile e dell’eunuco, entrambi casti e puri (Sap3,13-15). Ripulendo, se così possiamo dire, il tradizionale ritratto di Salomone, il nostro autore potrebbe benissimo far implicitamente passare un inatteso messaggio. Magari si è ispirato ad alcuni rari testi biblici anteriori: Pro4,6b dava al giovane, a proposito della Sapienza, questo consiglio: «Diventa il suo amante, essa veglierà su di te» (secondo il greco dei Settanta); e a proposito del sapiente, Ben Sira osservava: «Come la sposa della sua giovinezza egli l’accoglie» (Sir15,2b, ebraico).
Un tempo, alcuni autori pensarono ai due eroi del Cantico dei cantici, visti come allegoria delle relazioni fra il Signore e il suo popolo; ma allora, non si può non contare che in Sap c’è un’inversione di ruoli, dato che qui il giovane che fa da postulante, mentre nel Cantico è l’eroina che fa la parte umana.
Il nostro autore ha magari conosciuto quei Terapeuti di cui parla Filone, o perfino gli asceti di Qumran, due gruppi votati alla castità. Maria e Giuseppe, ma anche Giovanni Battista e Gesù stesso e Paolo si muovono in questa corrente del giudaismo. In ogni caso, l’autore di Sapienza, insieme predicando con discrezione la castità, volle sottolineare la relazione d’amore che unisce il sapiente alla Sapienza, relazione primaria e fondamentale cui nessun’altra si può sostituire. Gli sposi cristiani sanno che è il loro amore del Signore a fondare il loro amore coniugale.
Quello che il sapiente si aspetta dalla Sapienza è, per un verso, che essa realizzi nella sua vita ciò che realizza a livello della creazione, che stia accanto a lui come sta accanto al Signore, ispiratrice e attiva (Sap8,3-6; di nuovo in linea con un’interpretazione di Pro8,30a già fatta per Sap7,22a?), che gli insegni le quattro virtù cardinali elencate dagli stoici (Sap8,7), che dilati la sua capacità di prevedere (Sap8,8), dato che governare è prevedere.
Per altro verso, essa sarà sua consigliera, egli pensa (Sap8,9; vedi Pro8,12-16). Grazie a essa, sarà un grande re, rispettato, ascoltato, temuto (Sap8,10-15). E’ questo, l’auspicio del giovane sovrano che desidera attaccarsi alla Sapienza, e questo attaccamento d’amore è pegno d’immortalità (Sap8,17; vedi Sap6,17-20). Per questo, per ricevere la tanto desiderata Sapienza, è opportuno chiederla all’unico che può concederla, il Signore (Sap8,21).
Per quanto forte sia il desiderio di possederla e checché ne sia delle sue qualità umane, l’uomo non può impadronirsi della Sapienza: può soltanto chiederla e, se al Signore piace, accoglierla dalla sua mano. La preghiera è il solo mezzo efficace per ottenerla. Sap9 diventa così la logica conclusione di Sap7,1-22a; 8,2-21.