Nell’approssimarsi della memoria liturgica di san Giuseppe lavoratore (sabato 1° maggio) pubblichiamo ampi stralci delle meditazioni proposte dal cardinale vicario Angelo De Donatis lo scorso 12 marzo ai sacerdoti e ai diaconi della diocesi di Roma per un ritiro spirituale in preparazione alla solennità di san Giuseppe, patrono della Chiesa universale.
Nel segreto del Padre
Ci lasciamo prendere per mano da san Giuseppe, mani sicure e affidabili, per entrare nel segreto della sua vocazione. In un tempo come il nostro, attraversato dalla piaga della pandemia, tutti abbiamo bisogno di un supplemento di paternità. È una domanda forte.
L’abbraccio paterno è proprio ciò di cui abbiamo bisogno, cerchiamo un supplemento abbondante dell’abbraccio e della vicinanza di Dio. È una intuizione dello Spirito quella che è sorta nel cuore del nostro vescovo, Papa Francesco, di affidare quest’anno in modo speciale alla cura di san Giuseppe.
Entriamo nel segreto della paternità di san Giuseppe. All’inizio della Quaresima abbiamo accolto con fiducia la parola dell’evangelista Matteo: «Il Padre tuo che vede nel segreto ti ricompenserà».
Giuseppe è proprio l’uomo visitato nel segreto; è l’uomo benedetto dallo Spirito nel segreto: tutti i passi di Giuseppe, il suo continuo levarsi e mettersi in cammino, il suo custodire saggio e discreto, è frutto di un segreto, un’intima percezione della visita dello Spirito nel silenzio.
Vorrei che con feconda dolcezza iniziassimo a meditare, a entrare nella preghiera, con accanto san Giuseppe ripetendo più volte la frase: «Il Padre tuo che vede nel segreto ti ricompenserà».
Da una parola che scende nell’anima, che ci consoli! È una parola che rinnova la nostra paternità, ci ricostituisce padri, ci fa sentire figli grati.
Giuseppe nei suoi sogni e nella sua familiarità con lo Spirito Santo, ha cominciato a custodire, a fuggire e a tornare, a rimanere nella ferialità di Nazareth, solo perché l’esercizio continuo della sua paternità attingeva da una storia segreta, da uno spazio intimo, segreto, inspiegabile, ma lucidamente percepibile, di un dialogo sereno del Padre con un figlio.
Ognuno di noi possa percepire la gratitudine commossa di essere figlio, sulle spalle del Pastore bello. Siamo quella pecora smarrita, che dall’alto delle spalle del Cristo risorto, sente Gesù che sussurra: il Padre tuo che vede nel segreto ti ricompenserà.
La paternità di Giuseppe ha così la sua radice nel segreto del Padre. Sì, san Giuseppe, dal momento in cui i suoi sogni lo hanno collocato in cielo, ha fatto diventare familiare nella sua coscienza, la grandezza ampia della paternità di Dio. Nel segreto ha capito che non poteva fare a meno di rendere visibile quella paternità che ha sostanza di Paradiso, di Cielo, di amore grande: ogni paternità spirituale può toccare la paternità del Cielo.
La nostra paternità sa di Paradiso, ha a che fare con un’ampiezza, una grandezza che ci supera e che ci rende capaci di abbracciarla e di esprimerla.
Vi invito a prendere il testo di San Paolo agli Efesini 1, 3-6.
Questo testo ci conduce proprio nel segreto della paternità del Padre. Ognuno di noi, nel silenzio, provi ad elencare e a contemplare come lo Spirito ci ha fatto vedere dal vivo, fin dal fonte battesimale, ogni benedizione spirituale.
Ci sono fatti, episodi, spazi, tempi, dove queste benedizioni hanno dispiegato la paternità di Dio. Quelle benedizioni ci hanno plasmato, ogni benedizione spirituale ha dato sostanza alla nostra paternità.
La nostra paternità ha così le stesse caratteristiche di quella di san Giuseppe. Nel segreto della paternità del Padre ci ritroviamo così a cogliere le caratteristiche di questa paternità: essa è santa e immacolata!
Giuseppe, con i piedi dentro il Cielo, consapevole di una continua benedizione dall’alto, è stato davanti a Maria, davanti al Figlio, davanti al popolo, a Gerusalemme e a Nazareth, santo e immacolato.
Qui entriamo nel segreto della paternità del Padre.
Essere un padre nella santità significa fare in modo che tutti gli spazi occupati dalla nostra vita siano riempiti dalla presenza di Dio. San Giuseppe non ne ha potuto fare a meno. Se ritroviamo in lui un’ansia permanente, potremmo dire così, è che non ci fosse nulla della sua paternità, estranea alla presenza di Dio.
Nel cuore della Quaresima ci farà bene condividere tutti gli spazi che attraversiamo; i nostri affetti, le nostre relazioni, gli ambiti che attraversiamo, gli spazi che fisicamente abitiamo, le parole che pronunciamo. Posso dire che siano occupati totalmente da Dio? La mia paternità ha le caratteristiche della santità? Ci sono spazi affettivi, situazioni in cui Dio fa ancora fatica ad entrare? Rischio di collocare la mia paternità fuori dal Cielo.
Il correre di san Giuseppe da Maria, il correre verso Betlemme, verso l’Egitto, il portare il bambino nel Tempio, il cercarlo dopo tre giorni a Gerusalemme, era mosso solo dal desiderio che non ci fosse neppure un frammento di vita estranea alla benedizione spirituale del Cielo.
Uno spazio santo, una paternità dove ogni spazio esistenziale è denso di Spirito Santo.
Sentiamo affascinante la chiamata di riempire di Dio ogni giorno di più gli spazi della nostra vita. Ogni giorno di più santi nell’Amore. Una paternità svuotata di Dio è una paternità inutile.
Mentre ripercorriamo nella memoria grata ciascuna delle benedizioni spirituali ricevute da sempre nella nostra vita, facciamo anche memoria degli spazi ancora troppo vuoti di Dio; magari è solo uno, intimo, tenacemente ancora senza Dio Padre, permettiamo che la misericordia paterna abbracci quello spazio e la nostra paternità torni gioiosamente ad essere santa. Sia di nuovo la nostra paternità proprietà di Dio. Liberiamo gli spazi occupati da una paternità mondana, troppo piena di noi stessi, dei nostri progetti, dei nostri idoli.
La paternità immacolata, infine, ha a che fare con le azioni. La paternità santa offre un terreno fecondo per azioni immacolate. Ogni atto paterno di san Giuseppe è immacolato: l’intenzione immacolata è quella che lascia fuori dalla porta ogni interesse, ogni utile, ma fa della paternità un servizio senza guadagno, disinteressato.
Mentre si genera, ci si ritira, si perde. Una santità immacolata ci fa indietreggiare, sparire come san Giuseppe, perché le sue azioni paterne rendono visibile solo l’intenzionalità del Padre, del Cielo. La paternità immacolata ci consentirà di mettere in atto azioni semplici, feriali, umili, trasparenza del modo di agire di Dio.
Sarà bello, mentre facciamo memoria di ogni benedizione spirituale, mettere in fila le azioni quotidiane del nostro vivere. Esse spesso si ripetono, diventando anche schiave di ritmi monotoni e stanchi, ma necessitano di essere purificate, di tornare immacolate, ricche del pensiero del Padre.
Vi auguro di sperimentare la dolcezza del Padre che nel segreto vi ricompenserà!
Nel segreto del Figlio
Giuseppe, e con lui la sua sposa sono entrati, più di ogni altro, nel segreto del Figlio. La paternità di Giuseppe è stata vissuta immergendosi nella ferialità di Gesù. È stato il Padre che lo ha visto crescere «in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini» (Lc 2,52).
In questa meditazione invito a ripetere, anche qui, con dolcezza e più volte, come nella preghiera del cuore, questo versetto di San Luca: «In sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini».
Chiediamo, mediante l’intercessione di san Giuseppe, la grazia dello Spirito, perché la nostra paternità spirituale possa essere immersa nel vedere il Figlio che cresce in età e grazia. Sì ne abbiamo bisogno veramente. Una paternità immersa dentro il Figlio, nella sua età e nella sua grazia.
Ogni padre sa molto bene che una volta che ha generato deve uscire da se stesso, ogni padre sa che nel momento in cui diventa custode del Figlio, si deve immergere in lui. Ogni passaggio in età e grazia non può sfuggire al Padre. Il padre sarà tale, rimane padre se non si lascia sfuggire nessun passaggio dell’età e della grazia del proprio figlio.
Se diventasse estranea all’età e alla grazia del proprio figlio, la paternità si indebolirebbe, si incrinerebbe, si frantumerebbe.
Quanta emozione nel padre nel vedere il proprio bimbo fare da solo i primi piccoli passi, quanta gratitudine nel vedere i passaggi impercettibili della sua crescita, i segreti di piccole maturazioni, di segreti successi, di splendidi passaggi che fanno della paternità la custodia di un mistero più grande.
Il padre si immerge nella crescita in età e grazia del figlio e ciò vuol dire che entra, con naturalezza, nel mistero del proprio bambino. Più entra in quel mistero, più la paternità ne riceve sostanza.
Un padre non è tale se riempie di sé il figlio, ma se si lascia riempire, impregnare nel mistero del figlio. Il padre si lascia trasformare da quella crescita in età e grazia; è quel crescere del figlio che trasforma il padre. Entrare nel mistero del Figlio ci consente di non fare della paternità un esercizio di funzioni, di compiti; non lo riduce a un mestiere ma si è grati testimoni di un mistero che cresce e di cui non siamo presuntuosi proprietari!
Un padre che entra nel segreto del figlio, sa essere libero da se stesso.
Il silenzio di Giuseppe, la sua obbedienza a quel mistero, a quel Figlio dello Spirito, lo ha reso libero di esserci senza pretendere, di custodire senza temere, di amare senza possedere.
Entrare nel segreto del Figlio significa immergersi completamente in lui, favorendo la crescita in età e in grazia del Figlio, la paternità si è arricchita, perché si è fatta imitatrice della sostanza della figliolanza.
Vi invito a meditare con attenzione la lavanda dei piedi di Gv 13, 1-17, soprattutto i versetti 3 e 4. «Gesù sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, si alzò da tavola, depose le sue vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto».
Il segreto del Figlio si esprime proprio in quelle parole: «sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani».
Non è il mistero di san Giuseppe? Qui assomiglia proprio al Figlio. Si è immerso nel segreto del Figlio. San Giuseppe è padre perché ha imitato il Figlio, si è immerso nel suo segreto che è la consapevolezza lucida e grata che il Padre ci ha dato tutto nelle mani. Ciò è stato il segreto dell’esercizio della sua paternità: ha ricevuto dal Padre tutto quello che il Padre aveva di più caro. Il Padre ha messo nelle mani di Giuseppe tutto: il Figlio!
Guardiamo le nostre mani. Come a san Giuseppe, anche nelle tue mani Dio Padre ha dato tutto, perché ti ha consegnato il Figlio.
Sì, Giuseppe è stato padre perché è entrato in questo segreto del Figlio. Lo deve aver capito con chiarezza quando ha cominciato a vedere che era un figlio estraneo, un figlio non suo, un figlio donato, posto nelle sue mani. È stato padre perché ha accompagnato la sua crescita in età e grazia permettendo che il Padre agisse in quel figlio.
Si è padri se si permette la libera azione del Padre.
Gesù si è alzato da tavola e si è messo a servire solo dopo aver riconsiderato la consapevolezza che tutto aveva ricevuto. Senza la coscienza di questo dono non avrebbe avuto il coraggio di alzarsi, togliersi le vesti e mettersi a servire.
Giuseppe si è alzato dal sogno della notte, ha preso Maria sua sposa, si è affrettato ad andare in Egitto, è tornato a casa, ha avuto il coraggio di servire un mistero ed una persona, il Figlio, solo perché sapeva nel cuore, che tutto gli era stato posto nelle mani.
Entrare nel segreto del Figlio per San Giuseppe è avere avuto la gratitudine per ciò che di grande è stato posto nelle sue mani. Spesso, in maniera quasi inconscia, si ha la percezione che Giuseppe sia stato sì un uomo obbediente, giusto e saggio, ma che abbia dovuto di fatto vivere un’obbedienza ad una situazione difficile e innaturale.
Dimentichiamo che la sua obbedienza nasce da una gratitudine. Non si è sentito fuori luogo, obbediente ad un progetto sbagliato che gli era dovuto capitare, ma lo ha vissuto in una gratitudine e questa gratitudine sarà aumentata nel suo cuore nel veder crescere quel Figlio in età e in grazia.
Quanto deve essere stato bello per Gesù accorgersi della gratitudine segreta di Giuseppe, perché consapevole di avere tutto nelle mani.
Quanta gratitudine abbiamo bisogno di recuperare nella nostra vita. Quanta obbedienza è vissuta senza rendimento di grazie!
Proviamo a chiedere a san Giuseppe la gratitudine e saremo più liberi da noi stessi. Ci alzeremo, ci toglieremo le vesti, prenderemo il grembiule e ci metteremo a servire.
Giuseppe davanti a questo sguardo grato non ha avuto bisogno di parlare. Si è alzato, ha messo il grembiule del padre e ha cominciato a servire il Figlio.
Senza saperlo, ha anticipato il mistero di Gesù, ha anticipato tutta la dinamica presente in quei due versetti che introducono la lavanda dei piedi. Quante volte il non essere immersi in questo segreto ci ha paralizzati nella nostra paternità. Senza questa consapevolezza di aver ricevuto il Figlio nelle nostre mani, non avremo il coraggio di alzarci.
Andiamo da servi verso coloro che ci sono stati affidati, mentre laveremo loro i piedi li guarderemo con gli occhi del Padre come Gesù fa con Pietro. Quello sguardo paterno, mentre si lavano i piedi dei figli, farà vedere la crescita dell’età e della grazia!
Nel segreto dello Spirito
Vi invito anche oggi a ripetere nel cuore una frase della Scrittura, l’espressione che Giuseppe e la Madre si sono sentite dire dal Figlio nel Tempio di Gerusalemme: «Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Credo che Giuseppe lì abbia ricevuto la consapevolezza nuova della sua originale paternità. Sì, potrò essere padre custode di questo Figlio Unigenito, se con Lui entro nelle cose del Padre.
Il Figlio sta indicando la via della paternità. Entrare nelle cose del Padre è la via per rimanere padre. Queste “cose” del Padre hanno a che fare con quella creatività dello Spirito che viene a plasmare ognuno di noi: ciascuno di noi è un frammento prezioso del volto paterno di Dio. Giuseppe sapeva bene che le “cose del Padre” che lo coinvolgevano, gli permettevano di comprendersi, di configurarsi alla sua volontà, di ricevere identità.
Occorre, urge una familiarità con lo Spirito: Lui solo sa donarci l’intelligenza delle “cose del Padre”.
Entrare con lo Spirito nelle “cose del Padre” significa essere accompagnati a trovare oggi la via per dare forma visibile e concreta alla nostra paternità.
Vi invito a leggere e meditare un testo della lettera ai Galati: «O stolti Galati, chi vi ha incantati? Proprio voi, ai quali fu rappresentato al vivo Cristo Crocifisso! Questo solo vorrei sapere da voi: è per le opere della Legge che avete ricevuto lo Spirito o per aver ascoltato le parole della fede? Siete così privi di intelligenza che, dopo aver incominciato con lo Spirito, ora volete finire nel segno della carne? Avete tanto sofferto invano? Se almeno fosse invano! Colui dunque che vi concede lo Spirito e opera portenti in mezzo a voi, lo fa grazie alle opere della legge o perché avete ascoltato la parola della fede?» (Gal . 3, 1-5).
Il testo ci esorta alla conversione: rimanere nelle cose del Padre, non distrarci e finire nel segno della carne, lontani, estranei alle cose dello Spirito.
Il silenzio di san Giuseppe è generativo, fecondo proprio perché nell’ombra dello Spirito Santo. San Giuseppe – dice Papa Francesco nella lettera apostolica Patris corde – è un padre dal coraggio creativo. Il coraggio creativo nello Spirito Santo è quel coraggio del Padre che sa «trasformare un problema in un’opportunità anteponendo sempre la fiducia nella Provvidenza».
Giuseppe è stato così aiutato nel Tempio di Gerusalemme a rileggere la sua paternità nel segno dello Spirito Santo. Solo entrando nelle cose del Padre, si diventa capaci di introdurre un figlio nella storia dove Dio è protagonista. L’essere nelle cose del Padre ci allontana da ogni sterile protagonismo.
Sì, se non entriamo da padri nel segreto dello Spirito rischiamo di essere padri protagonisti. L’assenza dello Spirito non favorisce lo spazio alla paternità, ma solo alla propria sterile onnipotenza.
Giuseppe ha dimorato nello Spirito, ciò gli ha consentito di rimanere padre. Evitiamo di tornare nel segno della carne, rimaniamo a disposizione di padri abitati dallo Spirito Santo.
L’essere nelle cose del Padre ci permette di vivere in un reale oblio di noi stessi, in una serena e ferma castità. Il padre è casto perché sa dimenticare il suo spazio e tenacemente casto, nelle cose del Padre, sarà padre autentico, fermo e silenzioso.
Rimanere nel segreto dello Spirito è l’ambiente che permette di rendere visibile una paternità casta e umile, fuori da questo spazio saremo abitati dall’orgoglio che tende a possedere.
Il padre che rimane nel segreto dello Spirito sa affidarsi a Dio, sa consegnare continuamente l’opera della sua paternità. Lo Spirito apre san Giuseppe a questa dinamica: la paternità va offerta, se non si offre si trasforma in egoismo infecondo.
Rimanere nel segreto dello Spirito, nelle cose intime del Padre diventa la vera via che ci consente di condividere davvero la ricchezza e la debolezza dei nostri figli. La partecipazione nello Spirito alla vita degli altri alimenta la nostra castità, la nostra libertà, la nostra umiltà. Siamo inviati agli altri perché si incontrino con la salvezza.
Tale incontro richiede un’umanità integra, quella di padri sani, forti, sicuri nello Spirito. Essere nelle cose del Padre, essere nel segreto dello Spirito è lo spazio per un’umanità pulita, dove si esalta il bene. Gli altri hanno diritto di incontrare uomini, padri completi, che trasudano le cose dello Spirito.
Entrare sempre con più coraggio creativo nelle cose del Padre significa rendere visibili le risorse buone della nostra umanità e ciò ci renderà padri affidabili.
San Giuseppe, senza alcuna parola, ci offre l’esempio nel Vangelo di uomo giusto, pieno di Spirito Santo, perché si offre totalmente, non a metà. L’offerta di se stesso è integra, totale e ciò prende poi forma nel continuo sognare, alzarsi, accompagnare, consegnare, cercare e abitare.
Tutta la vita, se nel segreto dello Spirito, sarà dono e non ci sarà nessun frammento di se stesso fuori dal dono gratuito.
L’essere nello Spirito garantisce la perseveranza dell’offerta, dell’oblazione di se stessi.
Essere nello Spirito ci consente di metterci da padri nelle mani della Chiesa. Consegnandoci renderemo a tutti il servizio di vedere dal vivo, reali, dichiarabili le cose del Padre.
Ricordiamoci, carissimi, che nel segreto dello Spirito la cosa più grande è che potremo gustare la dolcezza della nostra paternità.
Il segreto dello Spirito ci fa assaporare la bellezza della vocazione ricevuta: vorrei invitarvi ad entrare nel segreto dello Spirito, farvi accarezzare nella dolcezza della vostra paternità, gustare la luce della vostra casta paternità, rinnovare il vostro sì al Padre sentendone la sua tenerezza misericordiosa.
Entriamo nel segreto e il Padre ci ricompenserà. Ci farà sentire la gioia di ciò che siamo e che ci fa stare già ora nell’eternità dolce e serena, abbracciati dal Padre, davanti al volto mite e festoso di Cristo, abitati per sempre da questi segreti dello Spirito che abbiamo sussurrato ai nostri fratelli e alle nostre sorelle, nella dolcezza silenziosa e feconda della nostra paternità.