Tante le lamentele su papa Francesco: non avrebbe lo sguardo buono di Giovanni XXIII, anzi le sue occhiatacce gelano; non avrebbe il sottile ragionamento e la prudenza di Paolo VI, anzi le sue “uscite” mettono in crisi le stanze della diplomazia vaticana; non avrebbe l’energia e l’affabilità di Giovanni Paolo II, anzi appare con passo lento e solitario; non avrebbe la dottrina sistematica e sicura di Benedetto XVI, anzi si presenta troppo creativo ed esplorativo di nuove strade, con lo sguardo sul presente preferendo alla pacifica sfera il disorientante poliedro. A tutto questo non gli si perdona di essere un gesuita.
Eppure papa Francesco può essere considerato la realizzazione di una profezia di San Giovanni Paolo II.
La Compagnia di Gesù ha vissuto tante crisi, ed è stata anche soppressa. Rischiò di essere di nuovo eliminata negli anni ’80, per non essere più considerata in grado di difendere la dottrina autentica e il magistero della Chiesa, per la deriva marxista di non pochi gesuiti, specialmente in America Latina, legati alla teologia della liberazione. La vicenda è nota. Le dimissioni di P. Pedro Arrupe non furono accettate, ma fu sollevato dal suo incarico per motivi di salute, e invece di procedere alla elezione di un nuovo preposito generale, il papa nominò un suo «delegato personale», P. Paolo Dezza, ed un coadiutore, P. Giuseppe Pittau. Di fatto l’ordine fu commissariato. Per molti gesuiti si trattò di un duro colpo. Ma come ebbe a dire Papa Wojtyla «l’opinione pubblica, che forse attendeva dai Gesuiti un gesto dettato solo dalla logica umana, ha ricevuto, con ammirazione, una risposta, dettata invece dallo spirito del Vangelo», nonostante ci fossero non pochi padri che non riuscirono facilmente a vedere il «dito di Dio» in quella vicenda. Vinse lo spirito ignaziano anche grazie all’esempio del «venerabile» P. Arrupe che nella sofferenza tenne fede al quarto voto dell’obbedienza al Papa.
Profetico fu il discorso di Giovanni Paolo II ai provinciali dei gesuiti riuniti a Roma il 27 febbraio del 1982. Egli ricordò i pilastri dell’apostolato della Compagnia di Gesù negli oltre quattro secoli della sua storia: il rinnovamento della vita cristiana nel popolo di Dio, specialmente attraverso le missioni popolari, «gli esercizi spirituali» e la direzione spirituale; la diffusione della dottrina cattolica attraverso il catechismo, le cattedre di teologia, i collegi e seminari con l’introduzione della «Ratio Studiorum»; l’annuncio del Vangelo in terra di missione con la promozione umana dei popoli.
Il ricordo del passato come bussola per orientarsi verso il futuro: «la Chiesa attende oggi dalla Compagnia che essa contribuisca efficacemente alla messa in opera del Concilio Vaticano II, come, ai tempi di Sant’Ignazio e subito dopo, essa dispiegò tutti i suoi sforzi per far conoscere e applicare il Concilio di Trento, e per aiutare in modo essenziale i Romani Pontefici nell’esercizio del loro magistero supremo». Il papa polacco passò quindi a formulare i quattro requisiti per il rinnovamento della Compagnia: la lunga e solida formazione dei gesuiti; la saldezza e la profondità della dottrina; la fedeltà al magistero della Chiesa, specialmente al Papa; l’esemplarità della vita religiosa e l’austerità nel tenore di vita.
Il papa affidò ai gesuiti di occuparsi di alcune iniziative che il Concilio Vaticano II ha particolarmente incoraggiato: l’ecumenismo per ridurre lo scandalo della divisione tra i cristiani; l’approfondimento delle relazioni con le religioni non cristiane; gli studi e le iniziative concernenti il preoccupante fenomeno dell’ateismo. Ma il punto più a cuore a San Giovanni Paolo II era il chiarimento di come promuovere la giustizia nell’azione evangelizzatrice della Chiesa «perché la Chiesa considera la promozione della giustizia come una parte integrante dell’evangelizzazione», sottolineando che il servizio dei religiosi è essenzialmente spirituale, per dare grande valore all’apostolato dei laici.
Con questo intervento chiarificatore, Papa Giovanni Paolo II non soltanto non soppresse, come altri chiedevano, la Compagnia, ma la rilanciò, facendola uscire da quella prova purificata nel dolore, spiritualmente e missionariamente rinnovata.
Così preparava il profilo di quell’uomo che oggi guida la Chiesa, la barca di Pietro, per attraversare le acque agitate del «cambio epocale».
Attraverso gli occhi di Papa Francesco impariamo a guardare con tenerezza i poveri e gli esclusi e tutto il creato; la sua diplomazia di «amore», come ad Abu Dhabi e ad Ur, ha spalancato porte che sembravano sbarrate per sempre; ci ha mostrato che il tempo di riposo non deve essere un tempo vuoto e nel perseguire le riforme, nonostante i fallimenti e gli ostacoli, ha cercato la collaborazione di tanti altri; ha affrontato l’isolamento della «pandemia» entrando quotidianamente nelle case e pregando insieme al popolo di Dio; ha scritto la Costituzione Apostolica «Veritatis gaudium» sulle università e facoltà ecclesiastiche per «mettere in moto un rinnovamento saggio e coraggioso per la trasformazione missionaria propria di una “Chiesa in uscita”»; ha firmato con coraggio e per amore di unità il motu proprio «Traditionis Custodes», per ribadire che i libri liturgici promulgati dai santi Pontefici Paolo VI e Giovanni Paolo II, in conformità ai decreti del Concilio Vaticano II, sono l’unica espressione della lex orandi del Rito Romano.
Il suo operato ci scuote e mostra la sofferenza di chi è consapevole che è urgente per la Chiesa discernere e comprendere che il Concilio non deve rimanere un evento, ma un «avvenimento fondante», come diceva P. Chenu, «un impulso contagioso che afferra a poco a poco una generazione, un popolo, una civiltà».
Giovanni Paolo II ricordava che, alla luce del Concilio Vaticano II, il quarto voto dell’obbedienza al Papa lega i gesuiti anche al Collegio episcopale, in coerenza con la svolta collegiale della Chiesa. Il processo sinodale avviato da Papa Francesco parte da questa considerazione e si spinge anche oltre, coinvolgendo tutto il popolo di Dio nel processo di discernimento per realizzare il sogno di Dio di una nuova umanità.
* Don Paolo Scarafoni e Filomena Rizzo insegnano insieme teologia in Italia e in Africa, ad Addis Abeba. Sono autori di libri e articoli di teologia.