Siamo all’inizio della Quaresima ma i suoni del Carnevale riecheggiano ancora nell’aria. Dopo i difficili anni del Covid molte persone vanno alla ricerca di momenti gioiosi. Nelle diocesi italiane sono state tante le parrocchie e gli oratori che hanno organizzato festeggiamenti. Bambini italiani e stranieri insieme alle famiglie si sono ritrovati nei saloni parrocchiali o nelle strade del quartiere per trascorrere un pomeriggio di giochi, spettacoli, battaglie di coriandoli, sfilate di maschere, scorpacciate di dolci tipici. Il Carnevale è una festa molto attesa da tutti, di accoglienza e condivisione dove di fatto vengono cancellate le differenze sociali. È una festa contro l’individualismo e la solitudine.
Qualcuno confonde gli atteggiamenti festaioli, specialmente tra i giovani e gli adulti, come se fossero disordinati e vorrebbe eliminare questi divertimenti. Tale rigidità non era condivisa nemmeno dall’amato Papa Ratzinger che sottolineava che per i cristiani il Carnevale «è anche un tempo per ridere», perché i cristiani non «lottano contro ma a favore dell’allegria».
Anche Papa Francesco invita a «festeggiare», quando parla della Chiesa che sogna, la Chiesa “in uscita”, che «è la comunità di discepoli missionari che prendono l’iniziativa, che si coinvolgono, che accompagnano, che fruttificano e festeggiano. … La comunità evangelizzatrice gioiosa sa sempre “festeggiare”» (Evangelii gaudium 24).
Gli fa eco il presidente della CEI, il cardinale Matteo Zuppi, quando invita a vivere nella gioia, e parla di una Chiesa che propone «un Vangelo felice e un amore radicale». A queste parole basterebbe aggiungere «tutto il resto e vanità» e sembrano i versi della canzone che San Filippo Neri cantava nelle campagne romane anche durante la settimana di Carnevale. Come molti sanno, questo santo prese l’iniziativa, seppe «primerear» e propose ai romani e non solo, un «Carnevale per il Paradiso».
Mosso da un reale ottimismo cristiano, per «divertire i suoi et altri dalle continue dissoluzioni, che sogliono farsi nel tempo di carnevale», quel Carnevale romano pieno di caos e di violenze, dette nuovo slancio alla pia consuetudine di visitare le sette basiliche, proprio tra il mercoledì e il giovedì grasso. Cominciò con una trentina di partecipanti, ma dopo due decenni divenne un vero e proprio corteo di varie migliaia di persone, al quale partecipavano insieme al popolo personalità civili e culturali e autorità ecclesiastiche. L’organizzazione era laboriosa. I pellegrini si riunivano presso la Chiesa Nuova per la preghiera iniziale, detta Itinerarium, e venivano suddivisi in centurie.
Si trattava di un percorso tra le suggestive campagne romane; la bellezza dei luoghi, le musiche, le preghiere e i momenti conviviali richiamarono ben presto una grande quantità di persone. La prima tappa era San Pietro, poi San Paolo fuori le mura, San Sebastiano con la visita alle catacombe, San Giovanni in Laterano, Santa Croce in Gerusalemme con le reliquie della passione del Signore, San Lorenzo fuori le mura, per concludere al tramonto di giovedì grasso a Santa Maria Maggiore ai piedi della Madonna Salus populi romani. Battista Veneziano testimonierà al processo di beatificazione di San Filippo che nel corso delle passeggiate «il padre Filippo era solito discorre con altri preti de molti dubii et quelli padri dicevano, circa la salute delle anime». L’accompagnamento spirituale era garantito, era un momento di grazia, non soltanto per i pellegrini, ma anche per i preti.
In ognuna delle tappe non si perdeva mai il senso della sobrietà, rispettata anche nel momento del picnic sull’erba nei giardini di Ciriaco Mattei (oggi villa Celimontana). Il pranzo era gratuito: consisteva in una pagnotta, vino, un uovo, due fette di salame, un pezzo di formaggio e due mele per ciascuno e allietato da musiche. Lungo tutto il percorso si cantava, si lodava il Signore e si chiedeva la sua misericordia in letizia. A tante persone sembrava di aver trascorso «un tempo di Paradiso». Si trattava di un’alternativa bellissima e veramente appetibile ai festeggiamenti del Carnevale di Roma. Quei giorni trascorsi insieme in quel modo non erano più motivo di perdizione, ma una manifestazione del popolo di Dio che cammina verso la salvezza.
In questo periodo iniziale del percorso verso la Pasqua di Resurrezione, Papa Francesco nel suo messaggio ricorda che «il nostro cammino quaresimale è “sinodale”». Sempre più le diocesi italiane sono impegnate nell’allestire e rendere operativi «i cantieri di Betania», che sono la traccia per il secondo anno del cammino sinodale italiano. Più che mai esse hanno bisogno di creatività e ottimismo. Guardiamo San Filippo che è stato capace di proporre un percorso penitenziale nella letizia, con creatività. Una chiesa che propone la gioia, e che prende le distanze dai profeti di sventura, senza nascondere i problemi e le sofferenze, specialmente in questi tempi di guerra.
San Filippo aveva capito che la storia dei cristiani e quella di tutti gli uomini è unica. Creare legami, accompagnare, camminare insieme, farsi illuminare dalle verità centrali della fede attraverso la misericordia, l’eucaristia, i martiri della fede e della carità, la Madonna.
Ai cristiani di oggi è chiesto di immergersi nell’unica storia, ed essere la Chiesa bella del Concilio Vaticano II, in modo speciale per il grande appuntamento del giubileo del 2025, che non dovrà essere vissuto come un evento puntuale, ma come un cammino sinodale. Il cardinale Zuppi ha recentemente affermato nell’incontro «Imparare Roma»: proprio nel segno dell’unica storia «Roma metta a frutto la sua naturale vocazione all’universalità e diventi la città di Fratelli tutti». Sembra riprendere quei percorsi nati dalla inventiva di San Filippo, ed ha annunciato due importanti progetti: una «Expo Creatività» aperta a cultura, scienza e arte dal tema: «La riconciliazione nella religione e nella società». Ha ribadito che «la creatività è in se stessa un annuncio ed una testimonianza di riconciliazione fra gli uomini». E una rassegna d’arte, veicolo di dialogo tra i popoli di diverse culture.