Nella memoria liturgica del padre del monachesimo occidentale.
In occasione della consacrazione della ricostruita chiesa cattedrale di Montecassino, avvenuta il 24 ottobre 1964, Paolo VI proclamò san Benedetto Patrono principale d’Europa. Con quel gesto il Pontefice asseverò il ruolo decisivo che il monachesimo benedettino aveva giocato nel medioevo, mediante la fitta rete dei suoi monasteri, nel forgiare il continente europeo attraverso un’unità senza pari di fede e di cultura. Anche un agnostico come il sociologo Léo Moulin ammise che san Benedetto e i suoi monaci potevano senz’altro essere definiti «i “Padri d’Europa” nel senso pieno del termine, sia dal punto di vista storico che sociologico».
Nondimeno, va subito ricordato che tutto ciò che i monaci benedettini furono in grado di realizzare dev’essere ricondotto a quel principio unificatore della loro vocazione, ossia il quaerere Deum, la ricerca di Dio (cfr. Regola di san Benedetto [=rb] 58, 7). «Essi — come ha affermato Benedetto XVI — volevano fare la cosa essenziale: impegnarsi per trovare ciò che vale e permane sempre, trovare la Vita stessa. Erano alla ricerca di Dio. Dalle cose secondarie volevano passare a quelle essenziali, a ciò che, solo, è veramente importante e affidabile».
I monaci benedettini, dunque, non avevano innata la vocazione a colonizzare, a dissodare o a creare fattorie che erano vere e proprie imprese d’avanguardia dove si conducevano audaci esperimenti di agronomia e si istruivano in maniera illuminata le masse rurali. Né avevano, come loro scopo precipuo, quello di prosciugare le paludi, di costruire mulini e vivai, di incrementare l’arte dell’apicoltura, di prendersi cura dei boschi o di specializzarsi nella produzione vinaria, olearia e casearia. Così come non avevano come finalità primaria quella di recuperare e trasmettere la cultura antica o di crearne una nuova.
Eppure, se in risposta alle esigenze dei tempi, i monaci, oltre che grandi evangelizzatori, si rivelarono anche dei grandi «educatori economici» (H. Pirenne) e propagatori culturali, ciò fu la risultante di un’esistenza vissuta nella diuturna ricerca di Dio, condotta nella sequela di Gesù e alla luce del suo Vangelo, il che, ovviamente, si configurava anche come ricerca della verità sull’uomo e sulla sua autentica realizzazione. È da qui, infatti, che ha preso forma quell’umanesimo benedettino — «parte importante dell’umanesimo cristiano» (Ludmiła Grygiel) — che ha segnato in maniera duratura e profonda l’ethos europeo.
Tuttavia, oggigiorno, nel clima socio-culturale nel quale si dibatte l’Europa secolarizzata e post-umana, dove le meta-narrazioni riguardanti il Dio cristiano sono fortemente in declino, viene spontaneo chiedersi se il messaggio di san Benedetto possa ancora essere fonte di ispirazione per i cittadini europei. Noi crediamo di sì. Ecco alcuni esempi di come tale messaggio abbia ancora qualcosa da dire alle menti e ai cuori dei nostri contemporanei.
Innanzitutto l’esortazione di san Benedetto ad essere artigiani di pace e di unità, ricercando e custodendo entrambe nella verità e nella carità (cfr. rb, Prol. 17; 4, 25; 65, 11). Non è un caso se il Breve apostolico con cui Paolo VI dichiarò san Benedetto Patrono principale d’Europa inizi con le parole «Pacis nuntius», “messaggero di pace”, ed «Effector unitatis», “costruttore di unità”. Solo facendosi promotori di pace e di unità, infatti, sarà possibile vivere in armonia con sé stessi, con gli altri e con il creato, e contribuire efficacemente all’edificazione di un mondo più giusto e umano. Il tutto all’insegna di una “cultura del dialogo” che «implica un autentico apprendistato, un’ascesi che ci aiuti a riconoscere l’altro come un interlocutore valido» (Papa Francesco).
Un altro valore presente nella rb è il rispetto per ogni essere umano. Fedele al Vangelo, san Benedetto esorta ad «Onorare tutti gli uomini» (rb 4, 8), perché in ogni essere umano è presente il Cristo. È un invito ad avere uno sguardo nuovo nei confronti dei propri simili, uno sguardo che, attingendo al comandamento cristiano dell’amore, si concentri sull’unicità e sulla dignità di ogni persona; uno sguardo aperto alla dimensione plurale, soprattutto sul piano culturale e religioso; uno sguardo che favorisca l’inclusione, la condivisione e la solidarietà, specialmente verso i malati, i pellegrini, i forestieri (che in monastero non mancano mai: cfr. rb 36, 4), ossia verso gli umili, i poveri, gli ultimi. Insomma, san Benedetto ci sprona a riconoscere in ogni uomo e donna un fratello e una sorella da accompagnare, da accudire, da educare, da far progredire, da evangelizzare, da amare e da condurre felicemente verso il porto della vita eterna.
Un altro aspetto che merita attenzione è la preziosità della vita quotidiana. Quest’ultima è per san Benedetto il luogo in cui riconoscere i segni della prossimità di Dio nella propria vita (cfr. rb 19, 1); il luogo in cui vivere la santità evangelica in una forma ordinaria, di modo «che l’eroico diventi normale, quotidiano, e che il normale, quotidiano diventi eroico. Bisogna ammirare la semplicità di tale programma, e nello stesso tempo la sua universalità» (Giovanni Paolo II). Un’eco di ciò è rintracciabile nell’esortazione apostolica Gaudete et exsultate di Papa Francesco, là dove egli esorta i cristiani a vivere la “santità quotidiana”. Per san Benedetto, poi, non vi è nulla che non contribuisca in qualche modo al proprio cammino di santità, a tal punto da esortare i suoi monaci a maneggiare con cura gli attrezzi del monastero, come una zappa, un mestolo o uno stilo. Essi pure, infatti, sono strumenti attraverso i quali cercare Dio, e per questo vanno maneggiati come se fossero vasi sacri dell’altare (cfr. rb 31, 10).
Infine, per percepire la presenza di Dio nel nostro quotidiano, san Benedetto conferisce grande importanza anche alla “stabilità”. Il paradigma del cambiamento d’epoca che stiamo attraversando è quello della complessità e della velocità, e ciò è spesso causa di ansia, di disorientamento e di destabilizzazione. La stabilità a cui allude san Benedetto (cfr. rb 58, 17), oltre che di natura fisico-spaziale, è anche e soprattutto interiore. Essa ha a che fare con un cuore saldamente fondato sulla roccia che è Cristo, al quale assolutamente nulla dev’essere anteposto (cfr. rb 72, 11), e sul suo Vangelo, guida sicura per il cammino di quaggiù (cfr. rb , Prol. 21).
La Regola di san Benedetto continua dunque a essere fonte di ispirazione sia per il credente sia per ogni uomo di buona volontà che desideri contribuire all’edificazione di un’Europa dal volto umano, «un’Europa capace di dare alla luce un nuovo umanesimo», per il quale servono «memoria, coraggio, sana e umana utopia» (Papa Francesco). Benedictus benedicat!
di Donato Ogliari
Abate ordinario di Montecassino