Ricordo del parroco di Bozzolo don Primo Mazzolari (Card. Gualtiero Bassetti)·
Mi avete fatto un grande regalo nell’invitarmi a dire una parola… su don Primo Mazzolari. Prima di tutto perché è una delle figure di prete che hanno profondamente inciso nella mia formazione seminaristica, poi perché la provvidenza ha voluto che io fossi qui nella domenica in albis, così si diceva una volta… Fu proprio in questa domenica che, nel 1959, il 5 aprile, don Primo, colpito da emorragia cerebrale, non poté terminare la predica; dopo otto giorni di agonia silenziosa, moriva a Cremona nella clinica dei padri camilliani. Aveva 69 anni e per 27 era stato vostro parroco. Sono passati 58 anni dalla sua morte e la sua figura, dopo il Concilio, si è imposta sempre più alla Chiesa di Dio che è in Italia, anche grazie agli ultimi Pontefici.
Il vangelo da spiegare in questa domenica era particolarmente congeniale a don Mazzolari: Tommaso, l’incredulo, che cerca ferite da toccare e si arrende soltanto alla testimonianza dell’amore fatto sangue, fatto ferita. Mi sono chiesto: cosa ci direbbe stasera don Primo su san Tommaso? Sul «nostro fratello Tommaso», la cui fede è sofferta, dubbiosa, claudicante come la nostra? Cosa direbbe il vostro vecchio parroco a noi generazione post-moderna, così lontana dalla pace e dalla beatitudine proclamate da Gesù? Non ci direbbe forse che la fede, più che beatitudine, è inquietudine e sofferenza? Se Dio è buono, perché sperimentiamo la violenza e l’odio? Perché in questo mondo è sempre il più debole e l’innocente a soccombere? Se Dio è luce, perché la tenebra riempie tanto spazio nei nostri pensieri? Crediamo, sì, ma a modo nostro, e in questo Tommaso ci è tanto fratello, davvero tanto didimo cioè “gemello”…
Ha ragione don Giovanni Barra, che ho conosciuto quando era rettore del seminario delle vocazioni adulte di Torino: «Anche chi dovesse fare qualche riserva sulle idee di don Primo, nessuno potrà mai dubitare del suo senso sacerdotale, del suo amore alla Chiesa, del suo essere uomo di Dio. Era un profeta che parlava senza preoccuparsi dei rischi personali, che la sua parola gli poteva far correre». Il sottoscritto, questi profeti come Mazzolari li ha conosciuti nella Chiesa fiorentina: don Milani, padre Turoldo, don Barsotti e tanti sacerdoti, religiosi e laici. «E lui spesso ci prendeva gusto a rompere i vetri, perché in certi ambienti troppo chiusi filtrassero correnti d’aria fresca, nuova.
Già da seminarista nelle pagine del diario annotava che “per diventare preti veri bisogna essere uomini interi”». Quanto sono grato, il Signore lo sa, a don Mazzolari, padre Turoldo, La Pira, don Milani e don Barsotti che, fin dalla giovinezza, mi hanno ispirato un umanesimo bello, profondo e cristiano, che ha nutrito la mia vocazione al sacerdozio. Essi mi hanno insegnato che la fede cristiana ti vuole incontrare nella tua umanità, perché tu sia innanzitutto un uomo “vero”. È questa fede che ti porta a impegnarti per la dignità della persona umana, per l’inviolabilità dei suoi diritti: al pane, al lavoro, alla bellezza, «Pane e grazia» sintetizzava La Pira.
Ma questa sembra essere anche la vocazione della Chiesa cremonese: come dimenticare monsignor Geremia Bonomelli? Di lui don Mazzolari ebbe a dire: «Il tempo non ha ancora compiuto il ponte tra la nostra mediocrità e la sua grandezza, tra il suo perdersi ed il nostro calcolare…»
Non posso tralasciare una parola su don Primo pastore di anime e amico della povera gente. Per lui il povero è quasi un fratello carnale di Gesù. Il povero secondo il Vangelo è l’uomo: ecce homo. Scriverà un giorno: «Non sono autorizzato a muovere appunti al Seminario, anzi sento che ne dovrei parlare bene per il caro ricordo che vi porto; però quando penso che un figlio di poveri contadini, dopo dodici anni di Seminario, invece di uscirne più contadino e col cuore più largo, ne viene fuori imborghesito, sono tentato di chiedermi se non ci sia un’altra maniera per preparare l’animo del prete a sentire il suo popolo».
Mi sono davvero commosso e son tentato di inviare questo pensiero a Papa Francesco, quando don Mazzolari descrive la parrocchia con queste espressioni: «Essa, perché è una comunità di povera gente, non può avere il passo delle élite. Il suo è un passo cadenzato e stanco, misurato sugli ultimi più che sui primi: e dietro l’ambulanza per chi si lascia cadere sullo zaino a terra». Caro Papa Francesco, tu hai descritto la Chiesa “ospedale da campo”. Molto prima del Concilio, don Primo Mazzolari aveva già pensato “all’ambulanza” per questo ospedale. Così i profeti di Dio! Mi hanno sempre colpito a suo riguardo le parole di Paolo vi: «Lui aveva il passo troppo lungo e noi si stentava a stargli dietro. Così ha sofferto lui ed abbiamo sofferto anche noi. Questo è il destino dei profeti».
Il 12 aprile 1959, il suo cuore cessava di battere, ma la sua testimonianza aveva toccato il cuore della Chiesa e di tanti “scarti” a cui aveva restituito dignità e speranza. I poveri non gli hanno mai fatto paura perché li conosceva, non secondo le categorie sociologiche, ma attraverso il mistero di Dio, che li ha chiamati “beati”, riservando loro il suo Regno; perciò don Mazzolari ha lasciato che fossero loro a parlare, a manifestarsi, perché nessuno potesse avere una scusa per non impegnarsi. «Il cristiano non dovrebbe contarli i poveri, ma abbracciarli… Il povero muore quando ha dato tutto».