Riprendiamo alcuni brani da Martin Buber, da Il cammino dell’uomo, Qiqajon, Magnano, 1990, pp. 21-24. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Adamo si nasconde per non dover rendere conto, per sfuggire alla responsabilità della propria vita. Così si nasconde ogni uomo, perché ogni uomo è Adamo e nella situazione di Adamo. Per sfuggire alla responsabilità della vita che si è vissuta, l’esistenza viene trasformata in un congegno di nascondimento.
Proprio nascondendosi così e persistendo sempre in questo nascondimento “davanti al volto di Dio”, l’uomo scivola sempre più profondamente nella falsità. Si crea in tal modo una situazione che di giorno in giorno e di nascondimento in nascondimento, diventa sempre più problematica. È una situazione caratterizzabile con estrema precisione: l’uomo non può sfuggire all’occhio di Dio, ma cercando di nascondersi a Lui si nasconde a se stesso.
Anche dentro di sé, certo, conserva ancora qualcosa che lo cerca, ma a questo qualcosa rende sempre più difficile il trovarlo. Ed è proprio in questa situazione che lo coglie la domanda di Dio: “Adamo dove sei?”.
Dio vuole turbare l’uomo, distruggere il suo congegno di nascondimento, fargli vedere dove lo ha condotto una strada sbagliata, far nascere in lui un ardente desiderio di venirne fuori. A questo punto tutto dipende dal fatto che l’uomo accetti o no questa domanda […]
Per quanto ampio sia il successo e il godimento di un uomo, per quanto vasto sia il suo potere e colossale la sua opera, la sua vita resta priva di un cammino finché egli non affronta la voce. Adamo affronta la voce, riconosce di essere in trappola e confessa: “mi sono nascosto”. Qui inizia il cammino dell’uomo.
Il ritorno decisivo a se stessi è nella vita di ogni uomo l’inizio del cammino, il sempre nuovo inizio del cammino umano. Ma è decisivo, appunto, solo se conduce al cammino: esiste infatti anche un ritorno a se stessi sterile, che porta solo al tormento, alla disperazione e ad inutili trappole. […]
Esiste [anche] una domanda demoniaca, una falsa domanda che scimmiotta la domanda di Dio, la domanda della verità. La si riconosce dal fatto che non si ferma al chiedere “Dove sei?”, ma prosegue aggiungendo: “Nessun cammino può farti uscire dal vicolo cieco in cui sei caduto”.
Esiste un ritorno perverso a se stessi che, invece di provocare l’uomo al ravvedimento e metterlo in cammino, gli prospetta il ritorno come insperabile e così lo inchioda ad una realtà in cui il ravvedimento appare assolutamente impossibile.