Sottolineando come le misure restrittive imposte dalla pandemia abbiano messo in evidenza alcuni limiti che la prassi abitudinaria non consentiva di vedere, nel testo si presentano nuove chiavi di lettura utilizzabili da vescovi, direttori degli uffici catechistici e dai catechisti stessi che sono in prima linea nella fase di ripartenza del nuovo anno pastorale. Nello specifico, il testo si compone di due parti: la «Sintesi dei laboratori ecclesiali sulla catechesi», svolti da maggio a luglio, che rappresenta una foto realistica dell’impegno della Chiesa italiana in questo campo; una foto, viene osservato dai vescovi, scattata “dal basso” da quanti operano sul campo. La seconda parte è intitolata «Per dirci nuovamente “cristiani”. Spunti per un discernimento pastorale alla luce di At 11», ed è sostanzialmente una riflessione che offre indicazioni per «decodificare il presente e per individuare nuove vie evangeliche nel prossimo futuro».
La pandemia, si evidenzia nell’analisi dei laboratori ecclesiali catechistici, ha stravolto le consuetudini pastorali. Se da una parte molte persone si sono impegnate maggiormente nella propria cura spirituale altre hanno ridotto la loro partecipazione alla messa domenicale una volta allentate le restrizioni. Ciò non toglie che nel periodo di lockdown buona parte dell’annuncio sia passata attraverso l’azione di quanti si sono impegnati nella carità, «ad esempio nella distribuzione di generi alimentari e farmaci, mostrando così il volto di una Chiesa madre che si prende cura in modo concreto dei più bisognosi. Una testimonianza reale dell’essere credenti che non disgiunge l’annuncio dalla carità», viene rimarcato nel documento. Di qui però l’importanza di non voler tornare troppo frettolosamente alla “normalità pastorale”, rifuggendo soluzioni immediate come cercare di recuperare immediatamente i sacramenti non celebrati a causa del virus, ma cercando di individuare elementi su cui soffermarsi per una rinnovata prassi ecclesiale.
A tal proposito il documento fissa quattro punti su cui agire: l’ascolto, che richiede una sana empatia e rende aderenti alla realtà della persona; la narrazione, cioè insegnare a raccontarsi, perché «chi si sente ascoltato con amore racconta se stesso di fronte al volto del Padre, che Gesù ha svelato»; la comunità, in quanto è vivendola che si dà slancio alle relazioni e si forma, quarto punto, la creatività, dove non si deve rincorrere la retorica del nuovo a tutti i costi, ma individuare le priorità e l’essenziale dell’annuncio: il kèrygma. È su questi cardini, quindi, che si sviluppano le fondamenta della futura attività catechetica, tanto più valida quanto più frutto della collaborazione costante tra uffici diocesani, parrocchie, associazioni e movimenti ecclesiali. Ed è da qui che si deve partire tenendo presenti, precisa l’Ufficio catechistico nazionale, cinque aspetti di trasformazione pastorale come la “calma sapiente”, cioè la ripresa del cammino in modo disteso, destinando tranquillamente un tempo alla formazione, all’ascolto e a processi decisionali che coinvolgano l’intera comunità. Ma anche seguendo “ritmi e risorse reali” delle famiglie, consapevoli della loro delicata missione evangelizzatrice, fornendo sussidi semplici e suggerimenti per il coinvolgimento del nucleo familiare con pratiche di vita evangelica ed iniziative di carità. Non meno importante la “cura dei legami”, affrontando l’accresciuta importanza dei mezzi digitali nei rapporti umani con una corretta informazione sull’uso dei media grazie anche al contributo di piccoli gruppi pastorali. Solo così sarà facilitata la quarta trasformazione delineata, l’“immersione nel kèrygma”, che si traduca in una celebrazione liturgica dotata di particolare creatività, in modo che l’eucaristia mostri tutta la sua ricchezza di simboli e linguaggi. L’ultimo, ma non superfluo, cambiamento auspicato è rappresentato dal “vissuto personale”, perché, ribadisce il documento, «l’annuncio e la catechesi non si possano limitare all’iniziazione cristiana dei bambini e dei ragazzi. Si sente l’esigenza che le comunità non solo avVIIno alla fede, ma accompagnino anche la persona in tutta la sua crescita».
Questi passi pastorali introducono alla seconda parte del documento che, sulla scorta delle riflessioni espresse nelle pagine precedenti, puntualizza ancor più come quello presente sia il tempo favorevole per modificarsi, «per tornare a fidarsi del Signore Risorto che opera nella storia e per leggere i “segni dei tempi” come ha saputo fare la prima comunità cristiana, assecondando l’azione dello Spirito e accogliendo il mondo nella sua concretezza». Ecco spiegato il richiamo ad Atti degli apostoli 11 presente nel titolo di questa sezione: nel passo neotestamentario, dove si parla della fondazione della Chiesa di Antiochia guidata da Barnaba dopo la morte del protomartire Stefano, si scorgono elementi «utili per riscoprire e tradurre nel nostro presente alcuni tratti del proprium cristiano». In quell’occasione i fedeli, pur traumatizzati dal supplizio di Stefano, non si scoraggiano: il dolore crea un nuovo fervore religioso che li porta a diffondersi ovunque nel predicare la Parola. «Abbiamo bisogno di pastori — si sottolinea nel testo — che, come Barnaba, “figlio dell’esortazione”, sappiano svolgere lietamente e con larghezza di vedute il compito di “esortare”, cioè accompagnare, incoraggiare, stimolare, favorire e far crescere i semi di vangelo già presenti nella vita delle persone. Pastori che abbiano, cioè, “orizzonti grandi” e il coraggio di percorrere nuove vie di evangelizzazione «per far sì che ogni persona si lasci amare dal Dio Crocifisso e Risorto e così impari a sua volta ad amare gli altri».
di Rosario Capomasi