Natale è nostalgia della nascita. Non solo dell’inizio della vita, ma di quell’età in cui la meraviglia del mondo sta davanti agli occhi del bimbo col suo mistero luminoso. È impulso a ritornare all’origine di se stessi. Soprattutto in questo momento di smarrimento e incertezza. Anzi è desiderio di mettersi a sognare un futuro di speranza.
La parola che illumina il cielo ancora buio è rinascere. Lungo questo autunno, attraversato dalla rassegnazione e dall’ansia, sono andato più volte a cercare un minimo d’azzurro. Rovistando nel cassetto della memoria, n’è uscito, verso la fine di novembre, questo testo che appartiene ai ricordi più antichi.
Era il Natale 1960. Un presepe grandioso fatto con arte, colori, musiche e cieli stellati. Di quelli che rimangono impressi nella memoria infantile. E con un sottofondo che non poteva non impressionare la fantasia di un ragazzo di paese.
Avevo poco più di dieci anni. Il prete artista faceva ascoltare ai visitatori del Presepe il messaggio dell’Arcivescovo di Milano Card Montini. Registrato su un long playing, con brevi intermezzi musicali, risuonava nella voce grave e baritonale di Montini: «Uomo d’oggi! Io ho un messaggio per te! Mi vuoi ascoltare un momento?».
M’è rimasto impresso nella memoria e nel cuore. Di ragazzo di dieci anni! Ho cercato più volte quel testo. Non era un’omelia, non era una lettera scritta. Era solo un messaggio! Seminato nel cuore di quell’epoca in cui stava per iniziare il boom degli anni Sessanta. Il miracolo italiano! Dove, in modo corale, tutti s’è fatta rinascere la propria storia personale, quella della famiglia, della regione e del Paese.
Questo messaggio riscoperto m’è arrivato con un libro, prima riportato nella minuscola calligrafia del futuro Paolo VI, poi trascritto a stampa per la felice passione di mons. Sapienza di raccogliere i testi introvabili del Pontefice, definito il “poeta della modernità”. E profeta del nostro tempo!
Vorrei che leggeste questo scritto come sfida per la “rinascita” che ci attende. Il nostro secolo è iniziato sotto il segno tragico delle Torri Gemelle e termina il suo secondo decennio con il drammatico stop della pandemia. Se Montini era preoccupato e pensoso perché il benessere che gli italiani stavano costruendo non smarrisse il senso di Dio e lo spiritualità dell’uomo, oggi possiamo dire: anche la rinascita che ci sta davanti ha bisogno di un supplemento d’anima. Che significa rinascere? Proviamo a dirlo scrivendolo sullo spartito del testo forse più bello di Montini.
Rinascere è prima di tutto sentire che noi siamo esseri fragili e tuttavia generativi, esseri mortali ed esseri natali. Con le parole di Pascal sull’uomo: «Un nulla, rispetto all’infinito, un tutto, rispetto al nulla, un qualche cosa di mezzo fra il nulla e il tutto…». Senza l’umiltà di sentirci piccoli, senza il dono che osa generare vita attorno a noi, il nostro domani non può essere una sfida alla speranza!
Rinascere è risvegliare il nostro desiderio di felicità, o forse meglio di eternità. Dinanzi a tanti anziani che ci hanno lasciati nella più lacerante solitudine, forse non siamo stati capaci di dire la parola che conta. Provocatoriamente Montini la raccoglie dalla penna di un artista non credente: «Questo mondo, così com’è fatto, non è sopportabile. Ho perciò bisogno della luna, o della felicità, o dell’immortalità, di qualche cosa che sia forse pazzia, ma che non sia di questo mondo». Ho bisogno dell’immortalità! Abbiamo bisogno di tornare ad agire sotto la luce della speranza.
Rinascere, infine, è essere testimoni di un messaggio in parole ed opere. Le parole del Natale: «Non aver paura! (questa è la prima parola: non aver paura!). Ecco: io vi porto una buona novella, che sarà di grande gioia per tutto il popolo. Oggi vi è nato… il Salvatore, che è Cristo Signore!». E le opere che generano creatività e responsabilità per il futuro prossimo. Non diciamo: “dopo non sarà più come prima”. Quando guardiamo lo spettacolo delle strade, non appena ci è concessa un po’ di libertà, ci assale ancora la paura e il timore. “Dopo sarà diverso da prima”, solo se saremo uomini e donne natali, che sognano di rimettere al centro la vita della città, il noi al posto dell’io, la prossimità invece della competizione, la fiducia invece del sospetto, la parola edificante invece della maldicenza, i beni comuni invece dell’accaparramento di pochi, la forza della speranza invece che il contagio della depressione.
Perché a Natale una luce s’è levata. Così dice il messaggio di un Papa che è rimasto cristiano: «Sì. È venuto Chi ci può salvare. È venuto per noi. È nostro fratello. Ed è il Verbo di Dio fatto uomo. È Colui che conosce l’uomo. È Colui che conosce il dolore. È Colui che instaura l’amore nel mondo; Colui che dà la pace, la verità, la grazia, la gioia, la Vita. Si chiama Gesù Cristo, nostro Signore e nostro Salvatore». Andiamo a Betlemme a vedere questa grande luce!
+ Franco Giulio
vescovo di Novara