Il Vangelo stesso delinea il progresso di questo itinerario (ricerca, ascolto, contemplazione), distinguendo tra
- Coloro che “ascoltano la Parola e la comprendono” (Mt 13,23): è la Lectio…
- Coloro che “ascoltano la parola e la accolgono” (Mc 4,20): sono la Meditatio e l’Oratio…
- Coloro che “ascoltano la Parola con cuore buono e perfetto e la custodiscono” (Lc 8,15): è la Contemplatio; la Parola dimora nell’uomo e approda alla vita…
- Coloro che “ascoltano la parola, la interiorizzano, la comprendono e la mettono in pratica” (Mt 7, 21-27; Lc 8, 21…): è la “discretio”, “deliberatio” e “l’”actio”…
Proviamo a riflettere sui tre passaggi «ricerca» / «ascolto» / «contemplazione», lasciandoci illuminare dalla Parola di Dio custodita nelle Scritture e utilizzando soprattutto testi che incontriamo nei vangeli. Forse, anche in questo caso particolare, scopriremo che la Parola di Dio risponde soltanto portandoci oltre i livelli delle nostre spontanee attese.
Il «cercare» esprime sempre un’apertura della persona che lo esercita e, quindi, contiene sempre anche una religiosità almeno iniziale. Ciononostante, il «cercare» non realizza il punto più alto dell’atteggiamento dell’apertura In particolare da un punto di vista religioso, intenzionato espressamente ad aprirsi alla trascendenza, appare evidente che l’atteggiamento dell’«ascolto» è più compiuto di quello della ricerca. Si può dire che l’«ascolto» è una «ricerca» che si affida incondizionatamente all’esterno e attende qualcosa che viene completamente dal «di fuori».
La ricerca di Erode di Gesù, dei genitori al tempio… La superiorità dell’«ascoltare» sul semplice «cercare» sembra percepita, con una specie di sistematica chiarezza, nella narrazione marciana. Marco fa un grande uso del verbo «cercare», ma ciò non gli impedisce di esprimerne anche le insufficienze e i limiti. Non a caso un esegeta ha scelto di intitolare la conclusione di uno studio dedicato specificamente al tema: «Miseria e grandezza del cercare Gesù»
La dichiarazione «tutti ti cercano» è la proposta di tornare nel villaggio. Gesù, però, invita i suoi a seguirlo «altrove» (Mc 1,38). Il cammino della sequela diventa concreto proprio in forza di questa peregrinazione che li condurrà per tutta quanta la Galilea (Mc 1,39). I discepoli diventano veramente tali quando vanno dove Gesù intende andare, e loro non vorrebbero. In quel momento essi si muovono dietro a Gesù ed entrano in una più profonda relazione con lui. Di fatto, lo fanno superando i limiti della propria ricerca[7]. Ancora una volta non è la ricerca o il farsi portatori di una ricerca altrui che crea il rapporto con Gesù, ma l’accoglienza di una sua parola che ci trascina fuori di noi.
Ad ogni buon conto, la ricerca delle donne al sepolcro raggiunge l’obiettivo soltanto passando per la tappa dell’ascolto: «Non è qui. È risorto, come aveva detto … Presto andate a dire ai suoi discepoli: È risuscitato dai morti» (Mt 28,6-7). Matteo è consapevole che la ricerca di Gesù, pur indicando un elemento che può essere positivo, tuttavia ha bisogno di passare per la tappa essenziale dell’ascolto. Le donne, infatti, possono incontrare il Signore soltanto quando, mosse dal messaggio dell’angelo, obbediscono e si mettono in cammino (cfr. Mt 28,9-10). La Parola di Dio ha sempre, per noi, due valenze complementari. Da una parte essa è una straordinaria risposta alle nostre domande di senso; dall’altra appare spesso come un’inattesa apertura d’orizzonte che porta ciascuno ben oltre le proprie ricerche.
Il racconto offre anche un’opposizione visiva: chi cerca Gesù sta fuori, e chi lo ascolta è seduto in casa, in cerchio attorno a lui. La tensione, che realizza un vero rapporto con Gesù, non è il cercarlo, anche se con serietà e preoccupazione, ma l’ascoltarlo. La profondità della loro sequela, anche se già più prolungata di quella dei discepoli, deve misurarsi, per diventare piena, sull’ascolto e sull’accettazione di una parola inaspettata.
L’atteggiamento decisivo del cammino di Maria non è una sua ricerca, ma l’ascolto attento e umile. Maria è sorpassata e sorpresa dalla Parola che le è rivolta. Non si tratta di una risposta ad un desiderio di senso già custodito nella propria vita, ma di un orizzonte del tutto inatteso che all’improvviso le si spalanca davanti.
Nel caso di Zaccheo, il capo dei pubblicani e ricco di Gerico, la ricerca è espressa esplicitamente: «cercava di vedere quale fosse Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, poiché era piccolo di statura (Lc 19,3). È un altro caso da cui si vede bene che l’impostazione corretta della vita si ha solo quando chi cerca Gesù si mette ad ascoltarlo, raggiungendo atteggiamenti prima non preventivati: «Ecco, Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri; e se ho frodato qualcuno, restituisco quattro volte tanto» (Lc 19,8).
La contemplazione davanti al silenzio
Il nostro cammino non è ancora finito. Il passaggio più complesso non è quello dal «ricercare» all’«ascoltare», ma sta nella capacità di non interrompere l’ascolto anche quando la parola cede spazio al silenzio. Il momento decisivo si ha quando il «cercatore»/«ascoltatore» non si trova più di fronte ad una parola, ma al silenzio perdurante. È la situazione che Gesù ha vissuto sulla croce, ossia nell’estremo compimento dell’ascolto. A questo livello l’ascolto deve cedere il passo alla nuda contemplazione. Possiamo vedere i due racconti della morte di Gesù secondo Marco e secondo Luca. Diciamo fin dall’inizio che, in realtà, non si tratta di racconti così diversi tra loro come potrebbe apparire a prima vista.
Proprio questo silenzio di Dio diventa l’apice del dolore del morente, ben più di quello causato dalle sofferenze fisiche della crocifissione e di quello affettivo generato dall’abbandono dei discepoli scomparsi. È la profondità di questo dolore che testimonia l’amore di Gesù mentre muore. Permanere nell’amore, anche in questa situazione estrema di dolore, dice che Gesù è passato dall’ascolto obbediente alla parola di Dio, percepita come guida di tutta la sua esistenza terrena, alla contemplazione dell’agire di Dio che adesso tace.
«Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23,44-46)
Non raramente capita di ascoltare l’affermazione che Luca, leggendo il racconto marciano della morte di Gesù, non avrebbe sopportato la durezza del grido drammatico di Gesù morente. L’Evangelista avrebbe allora messo in bocca a Gesù un testo più tranquillo, ossia le parole un po’ scontate della preghiera serale del pio Israelita. Le intenzioni di questa ermeneutica sono indubbiamente buone, ma il risultato di questa proposta, di fatto, banalizza terribilmente Lc 23,44-46.
Il cammino biblico percorso ha confermato la consapevolezza che il Vangelo ha una dimensione antropologica fondamentalmente duplice: è risposta a molte delle domande e delle ricerche che nascono dalla situazione umana, ma è anche un’apertura che spinge l’uomo, oltre i suoi stessi desideri, verso i territori inattesi della trascendenza. La destinazione alla salvezza dell’uomo esige proprio che il Vangelo compia questa doppia funzione: sia soluzione alla ricerca della persona che s’interroga, ma sia anche una forza ineliminabile che spinge affinché i limiti umani siano individuati, oltrepassati e superati.
Un percorso attraverso le Scritture (Discepoli di Emmaus) che non si riduce ad una conoscenza intellettuale, ma ad un’esperienza che impegna tutto l’essere toccandolo nel cuore. “ non ardeva forse il nostro cuore mentre egli, lungo la via, ci parlava e ci spiegava le Scritture?” (Lc 24, 32).
La comunità cristiana si vede affidare questa potenza di risurrezione e di vita… La visione di Ezechiele 47, 9-12: sotto il suo imponente apparato istituzionale sgorga una fonte di acqua viva che è nascosta agli occhi del mondo, ma di cui i santi di tutti i tempi sono testimoni