«Una Chiesa clericale attirerà vocazioni [preti, religiosi e religiose, laici] clericali. Una Chiesa sinodale attirerà vocazioni in consonanza con uno stile sinodale, fatto di apertura e di discernimento del proprio presente». Questa, più o meno, la frase che Francesco Zaccaria, teologo pastoralista (Facoltà Teologica Pugliese), ha pronunciato nel suo intervento (domenica 12 febbraio 2023) nell’ambito della Piccola Scuola di Sinodalità, organizzata dalla Fondazione per le Scienze Religiose Giovanni XXIII (8 gennaio-19 febbraio 2023).
È una frase che trovo in sintonia con quanto penso sul problema del clericalismo[1] e, solo in seconda battuta, sui seminari quali luoghi attualmente deputati al compito di formare i futuri preti. Provo qui a motivare il mio punto di vista, senza alcuna pretesa di esaustività.
Formazione e seminario: panacea e/o capro espiatorio?
Molti si attendono dalla formazione dei futuri presbiteri la soluzione di quasi tutti i problemi legati alla figura del prete. In questa visione, il seminarista è pensato come un pupazzo con una corda dietro le spalle. Il pupazzo camminerà speditamente (il seminarista sarà in futuro un bravo prete), se gli sarà stata girata bene la corda (avrà avuto una buona formazione).
So che le cose sono un tantino più complesse di come le ho forzatamente descritte, ma alla fine i desiderata che si annidano dietro le discussioni ecclesiali sul prete, spessissimo giungono a questa conclusione. In realtà, penso che la formazione conta quello conta. Non possiamo infatti far dipendere le lamentele sul ministero del prete quasi unicamente dal seminario (come se fosse una sorta di peccato originale).
Per questo motivo non ho mai preso parte in modo accorato a dibattiti sul valore o meno dei seminari. Certo si tratta di discussioni importanti (e di cui SettimanaNews ha dato un giusto rilievo), ma ho sempre pensato che il problema della formazione/seminario sia solo un aspetto di un problema molto più profondo e che lo precede. Lo potrei formulare con questa espressione un po’ grossolana, ma che serve a rendere l’idea: «dimmi che prete e (ancora ancora prima) che Chiesa vuoi, e ti dirò che formazione/seminario avrai».
Pratiche vs discorsi
Come ha opportunamente ricordato la teologa Cettina Militello nell’intervento che ha preceduto quello di Zaccaria, «I nostri alunni non prendono di certo i modelli ecclesiologici e ministeriali dalle aule di teologia, ma li assumono dalla vita e dall’esperienza di Chiesa che fanno».
Trasportato nel nostro problema, potremmo dire: «I nostri seminaristi non prendono come modello di ministero sacerdotale e più in generale di Chiesa quello proposto nei programmi formativi dei seminari, ma quello che vivono concretamente nelle loro parrocchie e diocesi». E, appunto, quali sono questi modelli? Su questo punto occorrerebbe riflettere maggiormente…
Il problema va, dunque, preso nella sua ampiezza, senza limitarlo a quello che può diventare, a seconda dei casi, il capro espiatorio o la chiave risolutiva di tutti i problemi: vale a dire la formazione nei seminari[2].
Tattiche clericali
Ma dirò di più. Ci sono seminaristi che, proprio per assumere da subito uno stile clericale e avere una vita molto più «libera», vale a dire meno vincolata ad orari, meno propensa a confronti alla pari tra compagni di formazione (magari di contesti ecclesiali diversi dal proprio), meno dedita all’impegno dello studio, volentieri sottoscriverebbero la posizione di chi, proprio per far fronte al clericalismo, vorrebbe abolire o rivedere i seminari (durata della permanenza ecc.).
Ci troveremmo in pratica con una situazione ancora più grave di quella attuale. Oggi, con tutti i limiti e le difficoltà del caso, ci sono anche seminari (e dunque programmi formativi) che impostano l’accompagnamento dei candidati al sacerdozio cercando di contrastare o perlomeno di problematizzare la figura del prete così come la si è percepita e vissuta in regime di cristianità.
Se, nel futuro, i seminari dovessero essere chiusi o rivisti, senza tuttavia una previa riforma del ministero sacerdotale ad ampio raggio (potere, celibato, visione sacrale ecc), correremo il rischio di avere seminaristi e futuri presbiteri ancora più clericali, narcisisti e poco motivati nello studio[3], di quanti ne possiamo avere oggi.
Ancora, se non si mette a tema la revisione profonda del ministero sacerdotale, avremo strutture formative certo più snelle e (almeno in teoria) più riferite alla vita quotidiana, ma la precomprensione attraverso cui i seminaristi assumeranno vita sarà pur sempre clericale. In una parola, avremo sempre gli stessi problemi.
[1] Per clericalismo intendo grosso modo quanto riportato dal recente contributo su SettimanaNews (8 febbraio 2022) a firma di S. Coco, La radice malata del clericalismo. Il clericalismo è sintetizzato in tre passaggi: «Il primo: una condizione di separatezza che isola il clero dal Popolo di Dio e lo configura in una sfera di sacralità. Il secondo: una condizione di superiorità che eleva il clero sopra il Popolo di Dio. Il terzo: una condizione di monopolio che assegna al clero la quasi totalità dei carismi-ministeri. Ciò comporta che il triplice munus cristologico (Cristo Re, Sacerdote e Profeta) sia appannaggio esclusivo dello stato clericale. E comporta una perdita della laicità della Chiesa».
[2] A fianco dei seminari, come chiave risolutiva, si pensa anche all’inserimento di alcuni corsi di teologia che dovrebbero far fronte a determinate carenze formative.
[3] Sul tema dello studio e, più in generale, dell’interesse dei nostri studenti per la teologia (non solo seminaristi), bisognerebbe aprire un capitolo a parte. Di certo il modello di prete “tuttofare”, che in genere il seminarista ha come metro di misura, non lo invoglia a un’attenzione al discorso intellettuale/culturale. Questo impegno richiede, infatti, altri codici comportamentali di riferimento. Con una buona dote di sarcasmo, mi viene perciò da dire che attualmente, dovendo stare in seminario, un seminarista non può non dedicare un po’ di tempo allo studio, fosse solo perché la data degli esami si avvicina. Sono consapevole che si tratta di una magra consolazione. Ma ho preso questo esempio solo per rendere più concreto il discorso che lega riforma del ministero e (solo dopo come sua legittima conseguenza) revisione della formazione al sacerdozio.