RESISTENZA E RESA – DI FRONTE ALLE NEGATIVITÀ DELLA VITA

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1- La questione decisiva: Dio è con noi, sì o no?» (Esodo 17).

Il male è il vero “caso serio” della nostra esistenza. Non si tratta di mettere in questione l’esistenza di Dio, ma ci domandiamo se Dio sia un qualche riparo davanti alla disperazione e al dolore. È la domanda di San Francesco in quella preghiera gridata alla vigilia delle stimmate: «Mio Dio, chi sei Tu?… Chi sei Tu?». Non chiede: «Ci sei?», ma: «Chi sei?».

Già Epicuro poneva il problema con disarmante semplicità: o Dio vuole eliminare il male ma non può… e allora non è onnipotente; o può e non vuole… e allora è malvagio; o può e vuole… ma allora da dove  viene il male? Epicuro, poiché non esiste soluzione ragionevole, invita gli uomini ad agire stando lontano sia dal dolore che dal timore degli dèi che già non si interessano degli uomini.

Camus, ne “La peste”, fa dire al protagonista: «Rifiuterò fino alla morte di amare questa creazione dove i bambini sono torturati!». Ivan, ne “I fratelli Karamazov”  di Dostoevkij, di fronte ad episodi raccapriccianti che hanno come vittime dei bambini, dice a suo fratello: «Non è che io non accetti Dio; soltanto gli restituisco rispettosamente il biglietto!».

Se è vero che le sofferenze e le negatività non diventano automaticamente infelicità, è forse ancora più vero che esse riescono ad indebolire o addirittura a paralizzare la fede, la speranza e l’amore.

Penso che una delle cose più difficoltose per l’uomo, sia quella di accettare i momenti critici, e le prove che inevitabilmente tutti dobbiamo affrontare lungo il corso della vita, e quando dico accettare intendo viverli senza cadere in profonde depressioni, oppure in un vittimismo angosciante o in una forma di fastidiosa autocommiserazione.

Se non abbiamo ben compreso il fine della nostra fede si rischia la depressione spirituale, i dubbi assillano la mente: “Dio perché non rispondi? Forse il Signore mi ha abbandonato, forse sono troppo peccatore, a che serve conoscere un Dio che nel momento del bisogno mi abbandona?”.

2- L’uomo, una casa a tre piani

Esistono in noi tre piani, che interagiscono tra di loro. Sono il piano della natura, dell’uomo, di Dio. Tutti hanno una loro libertà.

In cantina vive il piano della natura: essa ha una sua autonomia. Il male è anzitutto un fatto naturale, legato al limite e alla imperfezione. Senza il ‘limite’ tutto sarebbe dio: saremmo nel panteismo puro. Dalla natura possiamo imparare. Essa prende se stessa così com’è e trae il maggior profitto possibile da quanto le viene dato; trattasi già di una saggezza modesta ma efficace.

Al piano terreno vi è l’abitazione dell’uomo: siamo al livello della libertà di ogni persona: una ricchezza e un dramma. Davanti al male, occorrerebbe spesso domandarsi non “Dove è Dio?”, ma “Dove è l’uomo?”. Il male richiama l’uomo alla sua responsabilità.

Vi è poi il piano superiore. Una stanza con un grande Crocefisso. È un Dio libero: il nostro male è anche un suo dramma. Dice Schopenhauer: «Se Dio ha creato il mondo, non vorrei essere questo Dio, perché la miseria del mondo mi strazierebbe il cuore».

In Gesù, Dio si fa uno di noi. Egli lotta contro il male subendone per primo le tragiche conseguenze. “Non spiega la sofferenza, ma è venuto a riempirla della sua presenza” (P. Claudel). Cristo non ci ha spiegato il male, ma lo ha assunto .

Gesù non ha amato la sofferenza, non ha amato la croce: Gesù ha amato il Padre e gli uomini, e per restare fedele a questo amore non si è tirato indietro neppure davanti alla croce. Non i chiodi che hanno oltrepassato mani e piedi di Cristo ci hanno liberato, ma la liberazione è Gesù che inchiodato al legno prega per i suoi uccisori. Dio non ha voluto la crudele morte di Gesù: piuttosto Dio ha dato a Gesù la forza di amarci fino all’estremo.

Ecco, allora: se contemplo Cristo che viene assassinato barbaramente, non vedo i frutti di una volontà maligna di Dio, ma le tremende conseguenze del peccato. Se guardo invece a lui che, per aver fatto del bene viene ammazzato… se ascolto le sue parole in croce , allora insieme al centurione esclamerò: Davvero costui era Figlio di Dio!». Dio nessuno lo ha mai visto, Lui ce lo ha rivelato come amore che salva e che, con la sua morte, vince la morte.

Se il peccato è separazione da Dio, Gesù doveva provare nella crisi della sua unione con il Padre, una sofferenza proporzionata a quella separazione.

Se mai ora posso chiedermi se, in questo mondo così segnato dal male, sia ragionevolmente possibile seguire una via d’amore senza che questo porti con sé anche sofferenza. Ma non dovrò pensare che sia Dio che mi carica arbitrariamente della sofferenza: anzi, Lui mi sosterrà perché il mio amore non venga meno nella prova. Potrà così realizzarsi quel miracolo, tutto cristiano che è la compresenza della sofferenza e della gioia. Infatti “l’amore di Dio non mi protegge da ogni sofferenza; mi protegge in ogni sofferenza» (H. Kung).

Come discepoli di Gesù, noi osiamo credere che la strada che porta alla gioia non è quella della fuga dalla sofferenza ad ogni costo, anche a costo della finzione, anche a costo di rinunciare ad amare. Noi crediamo che la gioia è possibile ed è sulla strada di Gesù: quella dell’amore ad ogni costo, anche a costo di una solidarietà che non risparmia la sofferenza.

3- Liberaci dal male. Resistenza e resa

Per onestà intellettuale dobbiamo dire che il male è male. Ogni giustificazione o, peggio, ogni esaltazione del male è dannosa. Se “il male è male” non deve esistere nessun gioco di prestigio intellettuale che gli cambi l’etichetta, contrabbandandolo per bene.

Rimangono aperte solo altre due vie: quello della lotta per eliminare il male, quando ciò risulta praticabile; e quando questo non è possibile, quella della resistenza e della protesta contro l’assurdità del male mediante la forza della speranza.

Anche come credenti noi non chiediamo di far pace con il male o di avere una qualche spiegazione di esso: noi preghiamo per “essere liberati dal male”. Noi siamo impegnati nella liberazione dal male. E quando non possiamo farlo indietreggiare, chiediamo a Dio di sostenerci per farvi fronte mediante la fede, la speranza e l’amore, per impedirgli di imporci il non-senso e la disperazione. Come fa Giobbe che, di fronte a una morte apparentemente ineluttabile, ha la forza di gridare: «Io vedrò Dio, io stesso, e i miei occhi lo contempleranno non da straniero!».

Questi atteggiamenti di resistenza e resa (resistenza al male, resa a Dio) sono gli stessi di Gesù durante la Passione. Essa inizia con le parole: «Se è possibile, togli da me questo calice di dolore», e finisce con: «Padre, nelle tue mani affido il mio spirito». Nel momento in cui emette l’ultimo respiro non si comporta come chi si sente strappare la vita da una morte vittoriosa, ma consegna la propria esistenza con un atto di sovrana libertà nelle mani del Dio della vita.

5- Chi ci separerà dall’amore di Cristo?

San Paolo nel cap. 8 della lettera ai Romani scrive: «Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Sarà forse il dolore o l’angoscia? La persecuzione, la fame, la miseria? I pericoli o la morte violenta? Ma in tutte queste cose noi otteniamo la più completa vittoria, grazie a Colui che ci ha amati».

Davanti al pericolo che la sofferenza o il male nelle sue mille forme porti alla infelicità o alla disperazione, la fede manifesta tutta la sua forza. In questo tribunale che sembra aprirsi contro di noi, solo uno potrebbe accusarci: Gesù, che noi abbiamo crocifisso. Ma non è per amor nostro che Gesù ha affrontato la morte? Egli, glorificato dal Dio “amante della vita” è la nostra vita, già ora e per sempre. Ora, se Gesù sostiene la nostra causa, se Dio è il nostro difensore, quale creatura per quanto grande essa sia potrà strapparci dalle mani del Dio che ci ama così?

Questa fede nell’amore gratuito di Dio è la vittoria sulla sofferenza e sul male, persino sulla morte. Da questa fede proviene quella pace promessa da Gesù risorto: «Vi lascio  la pace, vi do la mia pace… Non sia turbato il vostro cuore e non abbiate timore».

Ma perché questa fede sia viva dentro di noi, perché questa pace possa giungere fino a noi, bisogna che vi sia un forte rapporto personale tra noi e Dio, tra noi e Gesù. Grazie a questo rapporto la forza e la pace di Dio, più forti della prova, della sofferenza e della morte, possono giungere fino a noi e stabilirsi in noi.

Il servizio più grande che possiamo rendere a Dio è quello di trattarlo da Dio, permettergli di essere il nostro Dio, e così la nostra salvezza. I massimo traguardo della fede e della speranza è arrivare ad amare Dio, fidarsi/affidarsi a Lui “per nulla”.

Conclusione

Ribellarti e contendere con Dio nei momenti di prova non è un peccato: il Signore accetta anche questo (cfr. il messaggio di tanti Salmi). Ma la vera forza e consolazione risiedono solo nella fiducia in Dio. Anche se ritarda aspettalo, sii fedele. Non lasciarti sedurre dal nemico della nostra anima, che tenterà di trascinarti nel dubbio, facendoti credere che Dio non ti ama, o ti trasporterà nel pantano di strani ragionamenti umani.

Ricordati: Dio ti ama così come sei e ti accoglie così come sei, ti esaudirà malgrado quello che sei, ti reputa prezioso e non ti abbandonerà.

Dio ti ama troppo per lasciarti come sei, e vuole prepararti per la sua gloria:“Vieni, servo giusto e fedele, entra nella gloria del tuo Signore!”. Un giorno, là dove non ci sarà più né dolore, né pianto, né angoscia alcuna, il Signore Gesù si cingerà ancora una volta l’asciugamano e laverà i piedi a te… proprio a te, che gli sei rimasto fedele anche nella prova.