«Ho capito in un secondo che tu da me volevi solo soldi» canta Mahmood, il vincitore di Sanremo 2019. «Se solamente Dio inventasse delle nuove parole potrei dirti che…», si ascolta nella canzone di Ultimo, il secondo classificato. Se l’amore in musica è questo, forse c’è un problema di alfabetizzazione. Massimo Recalcati, psicoanalista e scrittore, a febbraio ha iniziato a condurre su Rai 3, il lunedì sera, Lessico amoroso, viaggio in sette puntate nelle tappe fondamentali del rapporto d’amore. La domanda viene da sé.
Perché improvvisamente abbiamo bisogno di ricostruire un lessico sull’amore?
Perché non sappiamo più parlare d’amore. Come se la retorica stile Twitter da una parte e il cinismo materialistico dall’altra avessero spezzato le gambe alla lingua poetica dell’amore. Aggiungiamo la sentenza delle neuroscienze che vorrebbero ridurre l’amore a scosse biochimiche del cervello destinate fatalmente a esaurirsi col passare del tempo. Aggiungiamo anche il neo-libertinismo del nostro tempo che vorrebbe rendere risibile il “per sempre” dell’amore. Abbiamo bisogno di ricostruire un lessico amoroso che ci indichi che le ragioni del cuore hanno un peso senza il quale la vita umana appare mutilata. Il nostro tempo sputa sulla promessa di eternità che si ripete in ogni amore. Preferisce il disincanto che riduce l’amore al sesso o al cosiddetto “poliamore”. Bisognerebbe rileggere i poeti per ritrovare le parole più profonde dell’amore. Quel «duro desiderio di durare», come diceva Paul Éluard, in cui consiste la promessa coraggiosa degli amanti.
Lei ha indagato a fondo la dissoluzione della figura del padre nell’era ipermoderna e la ridefinizione della funzione materna. C’è un legame tra l’analfabetismo amoroso e la crisi dei ruoli nella famiglia?
La famiglia svolge a mio giudizio un ruolo fondamentale e insostituibile nel processo di umanizzazione della vita. Oggi il suo indebolimento non deriva tanto dal superamento in corso di una concezione solo naturale del legame familiare, ma dalla intrusione traumatica dei miraggi del mercato, del mito del successo individuale, del profitto a ogni costo che sembra distruggano alle fondamenta ogni discorso educativo. La famiglia deve fronteggiare una deriva che sembra destituirne ogni ruolo simbolico. Ma la sua funzione resta fondamentale. Pensiamo per esempio all’importanza della testimonianza che un figlio può ricevere dall’amore che unisce i suoi genitori. È quella la prima versione dell’amore che lascia fatalmente delle tracce. Respirare l’amore nel legame familiare prepara all’amore.
Dunque l’amore non ha sempre bisogno di parole per essere insegnato?
Credo che l’analfabetismo amoroso sia il risultato del venir meno della dimensione del segreto e del mistero che dovrebbe invece accompagnare la vita amorosa. Mettere tutto in trasparenza, abolire il mistero, accorciare le distanze, favorisce disinibizione, ma spesso anche lo spegnimento del desiderio verso l’altro. Una delle illusioni più atroci del nostro tempo è che tutto sia accessibile senza sforzo: il sesso, l’amore, il desiderio… Ma non è così. Solo se si impara l’esistenza dell’inaccessibile si può imparare davvero la lingua singolare dell’amore. Il senso profondo della preghiera prepara all’amore meglio di qualunque educazione sessuale…
In un’epoca in cui i passaggi della vita sono diluiti, i legami fluidi e i rapporti (anche economici) precari, la difficoltà tra genitori e figli oggi non è anche nel saper suscitare un desiderio di autonomia?
Esistono due sintomi egualmente pericolosi. Il primo lo ha appena evocato: tutto è liquido, nulla può durare nel tempo, ogni cosa è destinata a una precarietà irrisolvibile. Il secondo è quello nostalgico: restaurare la solidità della figura genitoriale ereditata dal patriarcato. Il nostro tempo non è più il tempo dove la parola del padre chiudeva ogni discorso. Questa erosione dell’autorevolezza non è solo un motivo deprimente o angosciante ma anche una grande opportunità. Ogni lessico amoroso implica, infatti, un rapporto di amicizia con la fragilità e la mancanza, con l’erosione dell’identità. Per parlare d’amore bisogna non avere paura della mancanza. Quando amiamo siamo scoperti nella nostra vulnerabilità. Per questo a volte è meglio rifugiarsi attraverso la menzogna, oggi condivisa, dell’autonomia e dell’indipendenza, del farsi un nome da sé. Una vita non è pienamente matura quando è indipendente, ma solo quando sa riconoscere che senza la presenza dell’altro, dell’amore, è nulla.
Desiderio, miracolo, esperienza di assoluto, dono, incontro, promessa, per sempre… Il “lessico amoroso” di Recalcati ripropone molti termini della formazione cristiana. Che cosa insegna il Vangelo alla psicoanalisi?
Il mio lessico si muove in direzione contraria allo spirito del nostro tempo. Non rinuncia alla promessa che ogni incontro d’amore porta con sé: trasformare la casualità dell’incontro in un destino. È lo sforzo (impossibile?) di ogni amore. Ogni amore vuole infatti ripetere la gioia del primo incontro infinitamente. Il Vangelo insegna alla psicoanalisi il valore insostituibile della fede. È la fede che salva. È la fede che nutre la forza del desiderio senza la quale la vita appassisce. La psicoanalisi riprende questa idea di fondo del desiderio animato dalla fede: l’inconscio è infatti, diversamente da quel che comunemente si pensa, il luogo di una luce e non delle tenebre del sottosuolo. Senza questa esperienza della luce che nutre il desiderio la vita si spegne e muore.
Qual è il suo rapporto personale con il cristianesimo? Che ruolo ha il cristianesimo con la storia della psicoanalisi?
La psicoanalisi affonda storicamente le sue radici nell’illuminismo e nel positivismo. Freud era rigorosamente ateo. L’ateismo resta la cultura di fondo della psicoanalisi, nel senso che l’uomo è “solo e senza scuse” e non può essere salvato da Dio in quanto Dio è solo l’immagine idealizzata del padre dell’infanzia. La religione è, infatti, almeno nella prospettiva della psicoanalisi, una illusione infantile. Il cristianesimo rompe però con ogni rappresentazione religiosa di Dio. Il suo passo più sconcertante – quello che più mi convince e mi affascina – è che Dio ha il volto del prossimo; è che il volto del padre si può vedere solo nel volto del figlio. Di qui l’idea – per me decisiva – che il cristianesimo sia una grande etica del desiderio, antisacrificale, fondata sulla Legge dell’amore e sull’immanenza del Regno, che sia un’etica che oppone la Legge dell’amore all’odio e alla morte. In questo passo, paradossalmente, esso si avvicina profondamente al pensiero di Freud che pone in Eros la sola salvezza possibile nei confronti delle terribili devastazioni di Thanatos. È per me abbastanza per ripensare l’insieme dei rapporti tra testo biblico e psicoanalisi. È quello che sto facendo da anni. Uscirà presto un mio grosso volume sui rapporti tra Bibbia e psicoanalisi che spero di finire entro l’anno.
Quale aspetto la interroga di più della riflessione cristiana su corpo e affetti? Quali punti di contatto ci sono tra il messaggio cristiano e la riflessione lacaniana sul desiderio?
Non esiste anima senza incarnazione. Non esiste spirito che non sia corpo. Il cristianesimo rompe la tradizione gnostico-spiritualistica: il corpo non è un involucro dell’anima, ma è carne dell’anima, incarnazione dell’anima. Cristo è un uomo. Ma questa umanità non è solo un grumo di spinte pulsionali, ma porta con sé anche il fuoco del desiderio, la sua trascendenza. È la fede nel desiderio che può spostare le montagne. Una vita non si giudica dalla sua razza, dai suoi attributi ontologici, dalla sua essenza, ma solo da quello che essa fa del proprio desiderio, del proprio talento. È questo il punto di massima convergenza tra psicoanalisi e cristianesimo: un albero si giudica sempre e solo dai suoi frutti.
La rete e i social, le piazze di oggi, sono il luogo delle immagini che scorrono e delle emozioni veloci, spesso lo spazio dell’hate-speech, dove può essere più difficile avvicinarsi al diverso. Pensa che questo sia un problema pensando ai giovani?
Non credo molto nel dialogo coi giovani. Spesso quando gli adulti si prestano al dialogo coi giovani lo fanno solo per dettare la loro verità. I giovani non hanno bisogno di dialogare con gli adulti, ma di dialogare tra loro. Hanno però un profondo bisogno di maestri e di testimoni. Un maestro è un testimone. Qualcuno che mostra, attraverso la propria vita, che si può vivere in questa terra con entusiasmo e generatività. Il modo migliore per far circolare la virtù erotica dell’amore è l’atto stesso dell’amare. È l’amare che fonda l’amore e non il contrario. Lo stesso accade col sapere: il miglior modo per trasmettere un sapere vivo e la vitalità di chi lo insegna. Lo stesso accade per il senso della Legge: il miglior modo per inscrivere la il senso della Legge nel cuore dei nostri figli è che gli adulti che li circondano siano loro stessi in grado di testimoniare attraverso la loro vita che può ancora esistere un senso umano della Legge.
Non si ama l’omologo, l’amore è per qualcuno che è “straniero”, oltre il nostro “muro”, ha detto. Una società che sperimenta l’odio per il diverso è una società che ha smarrito l’Abc dell’amore?
Il lessico amoroso ci impone di rinunciare innanzitutto alla nostra lingua, al monolinguismo della lingua familiare, ci impone di abbandonare la nostra identità. L’amore è un gesto di disarmo. Esso ci impone sempre di parlare la lingua dell’altro, di imparare un’altra lingua, una lingua differente dalla nostra. L’amore non è mai amore per l’eguale ma per il prossimo in quanto figura dell’alterità. Amo mio figlio non perché mi rassomiglia, ma perché è vita differente, difforme dalla mia. Quando dichiaro l’amore a qualcuno, quando dico “ti amo”, dichiaro di amare nell’altro proprio quello che non so capire, che mi sfugge, il segreto inaccessibile della sua vita. Per questo si ama innanzitutto la libertà dell’altro. È la meraviglia dell’amore: amare l’assoluta libertà della lingua dell’altro.