«Il primo giorno della settimana, Maria di Magdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio» (Gv 20,1). Ci sembra di vederla, questa donna ancora sgomenta per gli eventi che ha appena vissuto, affrettarsi al sepolcro: ha atteso il nuovo giorno, ma il dolore forse di una notte insonne e l’impazienza del cuore non le permettono di aspettare la luce: affronta il buio, attraversa la notte, quella delle vie di Gerusalemme e quella che porta dentro di sé. Quell’insieme di ansia, sofferenza, nostalgia le mette fretta. Va senza speranza: si è spenta in lei ben prima dell’ultimo respiro del Signore. Si è spenta lentamente, sentendo come sul suo corpo i colpi, le spine, gli insulti, le beffe. Ma i suoi piedi hanno ugualmente fretta: non quella della speranza, ma quella dell’amore. E là, nell’intrecciarsi confuso di presenze deformate dal pianto, la riporta alla realtà una voce, un timbro familiare: “Maria!”. Il tuffo al cuore che prova le dice che la vita ricomincia, la luce ritorna, la realtà riprende colore.
Maria di Magdala è ciascuno di noi, che in questa Pasqua, di nuovo segnata dal dolore e dalla morte, sta attraversando la sua notte e si accosta al sepolcro con il cuore pesante. In quel sepolcro ci sono tante persone care, tanti amici, persone sconosciute e famose, rese uguali dalla stessa morte solitaria; ci sono le illusioni distrutte da una maggiore consapevolezza delle nostre fragilità e della malattia del mondo intero. Papa Francesco, con una delle sue sintesi folgoranti, ha detto che lo scorso anno eravamo scioccati, ora siamo provati (Angelus, 28 marzo 2021). E sotto il peso della prova ci viene da gridare come il Salmista: «Signore, fino a quando…?» (Sal 13,2). Ci verrebbe da dire che il cuore non è pronto per la festa. Si può rimandare la Pasqua un po’ più in là, quando l’animo si sarà alleggerito dal peso di questo dramma?
Eppure, proprio perché ci sentiamo immersi nella notte e schiacciati dalla prova, abbiamo bisogno di Pasqua e del suo annuncio di vita. Non la Pasqua delle consuetudini, delle tradizioni, nemmeno di quelle religiose. Abbiamo bisogno di sentire dentro di noi quella voce che dà un tuffo al cuore e richiama alla vita. Abbiamo bisogno che si plachi il chiacchiericcio che fa frastuono attorno a noi e dentro di noi perché nel nuovo silenzio reso più sensibile dal dolore possiamo ascoltare quella voce familiare e nuova che pronuncia il nostro nome e ci riscuote. Abbiamo bisogno che attraverso le lacrime i nostri occhi trovino una nuova capacità di guardare. La prova ha reso più acuto il nostro sguardo, meno superficiale, capace oggi di vedere ciò che forse ieri non sapeva vedere. Non è vero che gli occhi velati dal pianto vedono meno; vedono altre dimensioni!
Anche i nostri occhi, risorti! E ora capaci di accorgersi di quanti soffrono nella solitudine e nel silenzio, e di avvertire dentro di noi che quelle presenze sofferenti sono un appello. Occhi capaci di vedere i problemi non come una questione che riguarda solo altri, ma come provocazioni che fanno appello anche alla nostra responsabilità. Soprattutto sguardi capaci di scorgere il tanto bene, silenzioso e discreto, che in questi mesi ha alleviato solitudini e angosce, ha condiviso paure, ha saputo dire parole vere per incoraggiare. A cominciare dai bambini e dai ragazzi: il presidente Mattarella con le insegne di “Alfieri della Repubblica” ne ha individuati tanti, e ha conferito loro riconoscimenti che sono come un sigillo di bene sul futuro di tutti. Quei piccoli, nella loro semplicità, hanno detto con i fatti che quando ci si dedica al dolore degli altri si dimentica il proprio.
Con questi occhi nuovi potremo guardare l’anno che abbiamo alle spalle, e trovare parole che finora da credenti non abbiamo trovato, per dirne il senso.
Maria è risorta per quella voce che l’ha fatta trasalire, per quel tuffo al cuore che l’ha fatta rivivere. E le ha dato parole nuove per correre a dire ai fratelli: “Ho visto il Signore!”. Il giorno nuovo potrà iniziare quando l’incontro con il Signore tornerà a sorprenderci e a farci battere il cuore. È un augurio.