Per una spiritualità della gioia (Jesús Castellano Cervera)

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Sono rimasto sorpreso per l’insistenza con cui ricorre nei vangeli dell’ultima cena l’invito alla gioia (Gv 15,11; 16,20-21; 22.24; 17,13). È uno dei temi che più ricorrono nei discorsi di addio dell’ultimo incontro conviviale di Gesù con i discepoli, quasi una preparazione psicologica e una pedagogia amorevole per quanto sta per accadere, e che, tuttavia, non è una fine tragica ma un passaggio doveroso. La tristezza dei discepoli, assicura Gesù, si muterà in gaudio. Nelle sue confidenze intime Gesù parla della sua gioia e assicura la nostra. È promessa e dono, è invito e superamento, un invito alla pienezza. «La mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena».1 Vale la pena lasciarsi istruire da un maestro che parla così di sé, e promette tanto a noi.

A pensarci bene dobbiamo ammettere che la gioia è una parola chiave del lessico cristiano. Dall’Antico Testamento, con la gioia di Dio e dell’uomo nella creazione, all’Apocalisse, con la promessa della gioia senza ombre, un fiume pieno di letizia percorre tutta la Bibbia, con momenti di notte e di buio, ma con la vittoria finale che tutto mette a posto e anticipa le ragioni della speranza in ogni momento. Tutto è detto nelle pagine della Bibbia. Gioia di Dio per la sua creazione, a tal punto che, vedendo la bellezza del mondo e special-mente della creatura umana, la pupilla di Dio, dicono i rabbini, si è dilatata, fino a far sgorgare una lacrima di estrema gioia divina e di piacere divino. La gioia quindi è insieme realtà interiore e manifestazione esteriore.

Dall’inizio alla fine tutto il vangelo di Luca è un inno alla gioia, come accade nel saluto dell’angelo a Maria ( «Rallegrati»), nel Magnificat, nella buona novella annunziata ai pastori: «Vi annunzio una grande gioia», nell’annuncio di Gesù alla sinagoga di Nazaret, nell’esultanza della sua preghiera, mosso dallo Spirito Santo. Possiamo dire che tutta la vita e la predicazione di Gesù sono un vero e proprio Evangelion, una gioiosa notizia del Regno.2

Ragioni non mancano per essere felici. Possono essere settanta o centomila, quante ne vogliamo. Come tante sorgenti, ma con un’unica acqua. Forse i cristiani non se ne accorgono e non danno testimonianza di una real-tà così semplice, tanto che spesso i non credenti li rimproverano per il loro volto triste, come se non fosse vero che hanno una fede che è sorgente di felicità. In realtà, anche le ragioni per essere tristi ci sono, ma sono sempre relative e non definitive, perché la speranza cristiana ha già sconfitto in precedenza le ragioni di una tristezza definitiva.

I.

GIOIA, FELICITÀ, BEATITUDINE

Oggi si parla della riscoperta della bellezza come espressione di una necessaria integrazione con la verità e la bontà, le due colonne o i due trascendentali classici. Io mi batto per introdurre la quarta colonna, quella della gioia, della felicità, della beatitudine. La gioia è desiderio intimo della persona, ricerca costante e mai appagata, promessa di qualcuno che invita ad essere sempre nella gioia, anche in mezzo a prove e persecuzioni. Alla parola recente della teologia: «Dio è bellezza», occorre aggiungere: «Dio è gioia». Una giovane santa carmelitana, la cilena Teresa de los Andes, ha coniato la frase: «Dio è gioia infinita».

Occorre quindi mettersi alla riscoperta delle sorgenti e del percorso della gioia di Dio e dell’uomo per un cristianesimo che porti il timbro di un Dio d’infinita gioia divina vissuta e comunicata. Del resto, il grande predica-tore Gesù, figlio di Dio, ha iniziato la propaganda del suo messaggio nuovo nel vangelo di Matteo con un invito alla felicità, la pagina delle beatitudini, e una promessa, quella della beatitu-dine. Beati, cioè, felici, gioiosi… Certo, non a poco prezzo, ma rovesciando i valori della gioia secondo il mondo, con un invito a coloro che l’ascoltavano, cioè i poveri e gli infelici del suo tempo e di tutti i tempi.

Il Regno di Dio che Gesù annunzia con divina pedagogia, porta sempre con sé, come frutto e lievito, l’esperienza e la promessa di una santa letizia. Gesù ha vissuto una esperienza giubilare, gioiosa, nella libertà e nella condivisione di tutto. Ha creato la Chiesa della gioia, dove i primi cristiani mettevano in luce soprattutto la letizia e la semplicità del cuore; la loro gioia dal cuore fioriva sul volto.

Molte componenti ha la gioia: la luminosità degli occhi, la lievità aperta del volto, la forza dell’amore espressa in parole e sguardi, la dilatazione del sorriso, lo stupore di un sentimento nuovo e gratificante che fa bene anche alle arterie, illumina tutta la persona che a sua volta diffonde luce sugli altri.

Riflessione antropologica

Talvolta il sorriso scoppia nella risata, provocata da un colpo di ingegno, una osservazione acuta, una uscita imprevedibile, una presa in giro nel senso più esatto della parola, un rigirare le cose per scoprire un altro lato della realtà, svelare il senso del ridicolo di certi atteggiamenti, contestare un modo tutto razionale e serio di vedere le cose, ampliare gli orizzonti del pensiero e dell’esistenza.

Ecco, il sorriso e la risata fanno buon sangue, si dice. Gioia, sorriso e umorismo nascono da un cuore buono, mite e profondamente umano. Sono come una forza creativa che nel nostro intimo non si rassegna alla tristezza e ai limiti; come uno scoppiettio di speranza che cerca altre soluzioni e ragioni, seminando allegrezza, perché è proprio della persona creata ad immagine di Dio comunicare, donare, condividere. Il sorriso e la risata chiedono verità e schiettezza, ma anche una certa bontà e bellezza un po’ arlecchina, simile a quella del clown che, consapevole dei limiti propri ed altrui, strappa sorrisi a bambini e ad adulti.

Ma attenzione! Il sorriso e la risata non devono diventare una smorfia infelice e vuota, e l’umore non deve caricare le tinte per diventare quello che si chiama humour nero, che incenerisce subito la gioia seppellendola in una tristezza ancor più profonda. L’humour superficiale o morboso scandalizza, seminando nel cuore e nella mente tossine di malizia e di cattiveria che sconvolgono l’equilibrio personale e il rapporto con gli altri. Basterebbe questa serie di osservazioni per capire quanto siano importanti la gioia, il sorriso e l’umorismo, quanto essi si addicano alla vocazione umana e cristiana, quanto siano un dono di Dio ed una invidiabile qualità, quanto possano contribuire a cambiare il mondo, cominciando a trasfor-mare volto, cuore, rapporti e incontri delle persone. Tuttavia quanto fragile è l’equilibrio e sottile la demarcazione fra vera gioia, piena di bontà e di bellezza, che si colora di umorismo e trasfigura i volti nel sorriso, e falsa gioia che produce smorfie e non sorrisi! Humour nero e non bianco, che distilla amarezza e pessimismo e non bontà ed ottimismo cristiano.

Se poi si guarda a questo nostro mondo dove c’è tanta tristezza e tanta gioia superficiale, viene da invitare i cristiani, persone della gioia, del sorriso e del buon umore, a diventare apostoli di un nuovo ministero umanistico, quello del buon umore e dell’ottimismo cristiano. La Chiesa ha bisogno di diventare casa e scuola di comunione nella gioia vera, tanto più umana quanto divina.

Ma quale posto occupano la gioia e l’umorismo in una sana spiritualità? A dire il vero non è difficile trovare a livello teorico in libri e dizionari di vita spirituale anche recenti, pagine belle e suggestive sulla gioia. Si può proporre un vero e proprio trattato di teologia biblica della gioia, come è stato fatto di recente in due volumi monografici del Dizionario di spiritualità biblica e patristica, il n. 26 dedicato alla Bibbia, il n. 27 dedicato ai Padri della Chiesa di Oriente e di Occidente.3 Invece di tediare con una serie infinita di citazioni bibliche e patristiche sulla gioia, le sue cause, le sue fonti, si vogliono qui offrire alcuni spunti che permettono di evidenziare la gioia di Dio e la gioia umana, quali autentiche esperienze di spiritualità.

L’esperienza liturgica

Di gioia parlano tanti testi liturgici, oltre ai salmi e ai cantici, che mettono sulle labbra dei fedeli più che parole sentimenti, che fanno commuovere il cuore nell’esperienza ineffabile del canto, spesso accompagnato da felici melodie chiamate Jubilus, come l’Alleluia del gregoriano, un modo di gioire e far gioire, che si eleva e cade, si rialza e si slancia, quasi con un desiderio interminabile. «”Luce gioiosa”, (“Phos ilaron”, cioè “Ilare luce”), luce che procuri la gioia e il gaudio, che generi il sorriso del cuore e della labbra»: è l’inizio di uno degli inni rivolto a Cristo tra quelli più antichi della liturgia bizantina, cantato ancora oggi nel vespro, quando scende la sera. Occorre ascoltare quell’antica melodia cantata dai nostri fratelli ortodossi della Grecia, per sperimentare la vera gioia spirituale dell’invocazione a Cristo, mentre il sole tramonta e il giorno volge al termine. I canti della chiesa antica e moderna hanno suscitato tanta gioia nei cuori nelle celebrazioni liturgiche, come quelli, ad es., ricordati da Agostino nel momento della sua conversione, o da Paul Claudel, più vicino a noi, nel giorno del suo battesimo a Notre Dame de Paris.

Gioia del cielo sulla terra, s’intitola uno dei primi libri di Max Thurian dedicato alla liturgia vissuta con la semplicità dei cuori puri. Una liturgia, quella attuata dai monaci di Taizé, che è riuscita ad attirare tanti giovani, dove bellezza, bontà e gioia si mescolano a gesti, luci, icone e canti.

Ma la gioia vissuta nella liturgia si porta in terra con l’esperienza della carità, affinché – secondo la bella espressione di Crisostomo -, «la terra diventi cielo», facendo a Cristo quello che è fatto al più piccolo. È un messaggio sempre attuale quello di portare la gioia di Cristo nel mondo, dove c’è tanta tristezza. Per questo la liturgia, in modo speciale la liturgia della notte santa di Pasqua, è piena di inviti alla gioia, a cominciare dal Preconio pasquale, l’Exsultet, che dà il “la” di una tonalità gioiosa e pasquale alla vita cristiana: «Esulti il coro degli angeli, esulti l’assemblea celeste, sia in festa tutta la Chiesa…». Dossier

Un’ondata di letizia attraversa i canti liturgici pasquali di Oriente e di Occidente, come pure il saluto pasquale che i cristiani durante il tempo di Pasqua si rivolgono: «Cristo è risorto. Sì, è veramente risorto». Gioia che si rinnova e si prolunga in ogni domenica. È nota la famosa frase della Didascalia degli apostoli: «Chi è triste nella domenica commette peccato». La vittoria di Cristo rimane la ragione definitiva della gioia cristiana. È emblematico per i cristiani il canto dell’Alleluia, sinonimo di gioia cantata al Signore. Alleluia è il canto nuovo della Pasqua, il canto dei pellegrini verso la patria secondo la bella espressione di Agostino: «Canta e cammina»; pellegrini che condividono la stessa letizia traboccante di speranza e che si fanno coraggio nella stanchezza guardando in avanti, prendendosi per mano, cantare camminando e camminare cantando.4

Davvero quello del cristiano è un cammino gioioso. Un auto-re cristiano dei primi secoli, Eusebio di Seleucia, ha potuto scrivere una frase ad effetto che rivela il valore perenne della spiritualità cristiana, attinta alla gioia della Pasqua: «La risurrezione di Gesù ha fatto della vita dei cristiani una festa senza fine».5 Questa frase, letta da un monaco di Taizé afflitto da cancro e comunicata a Roger Schutz, ha dato origine a un libro che ha avuto molta risonanza presso i giovani pellegrini della comunità di Taizé: La tua festa non abbia fine.6 «Festa senza fine», «sacra celebrazione», «giorno senza tramonto» è stata definita la vita dei cristiani che credono nella Pasqua. Non è motivo di gioia e di realismo sentirsi dire da Origene che il cristiano è il luogo della celebrazione e della festa? Egli si deve ritenere sempre un tempio abitato da Dio, anche se si trova nel teatro, perché è il santuario di Dio.7

Forse dobbiamo ritornare alla Pasqua come ad un punto di riferimento essenziale per la gioia cristiana. La certezza della risurrezione di Gesù è anche certezza della vittoria del bene sul male, dell’amore sulla morte: certezza della vittoria del Padre che ha risuscitato Gesù e lo ha costituito Signore. Egli è la garanzia della vittoria finale, ma anche della presenza tra noi e in noi di una sorgente di gioia infinita. Un autore spagnolo, J. Martin Descalzo, ha scritto un succoso libretto dal titolo Le ragioni della gioia. 70 motivi per trovare la serenità.8 Alla fine del libro sintetizza tutto il suo insegnamento con una considerazione sul tempo di Pasqua ed una serie di ragioni fondamentali che partono dalla risurrezione di Cristo come motivi essenziali e definitivi di letizia. La Pasqua è considerata un «laetissimum spatium», uno spazio traboccante di gioia, come afferma Tertulliano, da celebrare durante cinquanta giorni, e poi ogni settimana.

Gaudete in Domino

Sì, abbiamo anche fra i documenti recenti del magistero un bel documento sulla gioia cristiana promulgato da Paolo VI.9 L’ha scritto un Papa che aveva piuttosto un volto mesto. Alcuni lo chiamavano maliziosamente “Paolo mesto”, ma forse non avevano mai fissato gli occhi luminosi di quel Papa e non avevano mai ascoltato certe parole di fuoco pronunciate in determinati momenti. Ecco cosa ha detto parlando dello Spirito Santo in una pagina fra le più belle scritte sul Paraclito: «Egli è animatore e santificatore della Chiesa, suo respiro divino, il vento delle sue vele, suo principio unificatore, sua sorgente interiore di luce e di forza, suo sostegno e suo consolatore, sua sorgente di carismi e di canti, sua pace e suo gaudio, suo pegno e preludio di vita beata ed eterna». Un testo che fa gioire dal più profondo del cuore e dice che non solo la gioia è dono dello Spirito, ma che lo Spirito è la gioia e la sorgente perenne della letizia cristiana.

Proprio Paolo VI, celebrando l’anno giubilare, ha voluto donare alla Chiesa il manifesto della gioia cristiana con l’Esortazione Apostolica Gaudete in Domino del 9 maggio 1975. Tutto quello che si può dire a livello biblico e teologico della gioia cristiana vi si trova scritto in una felice sintesi. Gioia come espressione caratteristica della natura umana; è, infatti, una delle “passioni” della persona, cioè di quei sentimenti ricchi di risonanza e di bellezza che sono il patrimonio antropologico più bello. Gioia non frenata e non offuscata dalle contraddizioni che la minacciano e la fanno venire meno, per i mille fenomeni che la mettono in difficoltà. Paolo VI annunzia le grandi verità della Bibbia, l’esempio dei santi martiri gioiosi che hanno dato testimonianza di gioia e perfino di umorismo davanti ai carnefici, come si racconta di san Lorenzo sulla grati-cola. Cita figure luminose di apologisti, testimoni e dottori della gioia come Agostino, Francesco, Bernardo, Domenico, Ignazio, Teresa d’Avila, Giovanni della Croce, Giovanni Bosco, Teresa de Lisieux, Massimiliano Kolbe. Anche se all’appello mancano Francesco di Sales e Filippo Neri.

C’è quindi nella Chiesa cattolica una buona teologia della gioia radicata nella stessa psicologia umana, nelle ragioni più profonde della fede, della natura e della grazia, nelle certezze che ci vengono dalla paternità di Dio, dalla presenza di Cristo, dalla nostra vita destinata alla gloria, dalle mille gioie della vita seminate lungo le strade della nostra giornata. Gioie che fanno la storia del quotidiano.

L’esperienza spirituale

Esiste una considerazione particolare della gioia nell’ambito della spiritualità? Ad essere sistematici nelle nostre considerazioni dobbiamo dire che non esiste una vita cristiana, che non sia pure piena di letizia, uno dei frutti dello Spirito. Anche se spesso gli studiosi della spiritualità dimenticano di inserirla nelle loro considerazioni sistematiche, i veri autori spirituali la mettono al centro delle loro testimonianze. Oggi il tema della gioia e della festa è tornato di moda. Con estrema regolarità, nei periodi in cui il rigorismo e la freddezza prevalgono nella vita della Chiesa, lo Spirito Santo suscita una ventata di teologia e di spiritualità della gioia, un’ondata carismatica. È capitato anche nei decenni passati. Quando il vento di tramontana della secolarizzazione ha spazzato via tante cose nella Chiesa, lo Spirito Santo ha soffiato un po’ di scirocco di fervore e di semplicità per ridare equilibrio alla sua Chiesa. Basti pensare a quanto è avvenuto nella Chiesa con le espressioni di gioia del rinnovamento carismatico. Quando i seri teologi inondano con volumi ponderosi ed interminabili la teologia, ritorna di moda la saggezza degli apologhi, delle fiabe, dei racconti.

La teologia della gioia risplende nella spiritualità della liberazione, gioia dei poveri di JHWH che si “abbeverano nel proprio pozzo”: è la saggezza della vita che porta a festeggiare in letizia la creaturalità, la fede in Dio Padre, la speranza, la dime-stichezza tutta familiare con la Vergine Maria ed i Santi, come accade nei popoli del cosiddetto terzo mondo, veri maestri di gioia e di semplicità cristiana. Certo, la gioia è un dono ed un cammino, una responsabilità ed un compito. Alcuni potrebbero ricondurre tutto ad una certa superficialità che metterebbe in pericolo la serietà della croce e il superamento ontologico del dolore e della morte con la risurrezione del Signore. Per questo non possiamo dimenticare che la gioia vera sorge dall’abisso dell’abbandono di Gesù sulla Croce, limite di ogni limite. La gioia più vera ed autentica nasce da questo abbraccio generoso del Dio Crocifisso e Risorto.

Ci sono di esempio i santi, uomini e donne di gioia vera, provata, ma autentica, comunicatori di entusiasmo e di speranza; uomini e donne delle notti oscure e delle giornate luminose della quotidiana esperienza cristiana. Se è vero, come afferma il noto documento del Vaticano II dal titolo Gaudium et spes al n. 1, che nulla di quanto è umano è alieno al cuore del discepolo di Cristo, come possiamo togliere la gioia, con i suoi sentimenti più veri e le sue ragioni più umane, dal vocabolario, dalla teologia e dalla spiritualità di Colui che ci ha parlato della gioia ed è lui stesso «il nostro gaudio»?10

Note

* È raro trovare chi sa connettere gioia e umorismo parlando di spiritualità. Il testo che qui presentiamo è di Jesús Castellano Cervera, carmelitano scalzo, morto improvvisamente a Roma (15 giugno 2006), molto conosciuto e stimato. Rimasto inedito, il testo è stato pubblicato per la prima volta nel trigesimo della morte da L’Osservatore Romano (luglio 2006). Riteniamo che sia una proposta ispirativa; lo riportiamo con alcune modifiche e ritocchi.

1. Cf G. FERRARO, La gioia di Cristo nel quarto Vangelo, nelle lettere giovannee e nell’Apocalisse, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2000.

2. Cf J. CASTELLANO CERVERA, «Jubilate», in Unità e carismi, 1/2000, 2-4. Tutto il numero della ri-vista è dedicato alla gioia.

3. DIZIONARIO DI SPIRITUALITÀ BIBLICA E PATRISTICA, Gioia-Sofferenza-Persecuzione nella Bibbia, n. 26, Borla, Roma 2000; IDEM, Gioia-Sofferenza-Persecuzione nei Padri della Chiesa, n. 27, Borla, Roma 2000.

4. Cf AGOSTINO, Discorso 256 1-3, PL 38, 1191-1193.

5. Omelia pasquale, PG 28, 1081.

6. R. SCHUTZ, La tua festa non abbia fine, Morcelliana, Brescia 1980.

7. Cf C. L. ROSSETTI, «Sei diventato il tempio di Dio». Il mistero del tempio e dell’abitazione divina negli scritti di Origene, Gregoriana, Roma 1998, 143-173.

8. J. MARTIN DESCALZO, Le ragioni della gioia. 70 motivi per trovare la serenità, Gribaudi, Torino 1992.

9. Cf M. MANTOVANI, «Paolo VI, maestro e testimone della gioia», in Unità e carismi, 1/2000, 23-30.

10. Cf l’udienza del mercoledì 29 novembre 1972, in Insegnamenti di Paolo VI, X, Città del Vaticano 1973, 1210-1211.

 

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