Fra le molte virtù che in questo periodo sono diventate più preziose del solito c’è dunque pure quella della pazienza. E penso che continueremo ad averne bisogno perché, come sappiamo, sarebbe molto imprudente pensare che tutta questa storia sia già finita.
La pazienza è una virtù del quotidiano. Senza di essa i rapporti di coppia, di famiglia, di lavoro diventano prima o dopo sempre più tesi, segnati da urti o conflitti, alla fine forse addirittura invivibili. C’è da crescere in una scuola di accoglienza e accettazione vicendevole che anche se bella, ha pure i suoi aspetti logoranti. Ma il modo oggi comune di pensare non ci aiuta ad assumere questa fatica come prezzo di qualcosa di grande. Anzi, spesso alimenta l’insofferenza e la critica dei difetti e dei limiti degli altri e propone molto facilmente e rapidamente la rottura come l’unica soluzione dei problemi. Ma è giusto?
L’Inno alla carità che San Paolo eleva nella sua prima lettera ai Corinzi (cfr. 13, 1-13), non va considerato come un sublime testo poetico, ma come uno “specchio” in cui possiamo verificare se la nostra carità rimane solo una parola vana o sa tradursi in concreti atteggiamenti quotidiani. San Paolo enumera ben 15 di questi atteggiamenti. Il primo è: «La carità è paziente»; l’ultimo è: «La carità tutto sopporta». E anche diversi altri fra quelli enumerati hanno molto che fare con la «carità paziente». Così, la carità «è benigna… non si adira… non tiene conto del male ricevuto…».
Ma la pazienza non è solo una qualità necessaria dell’amore quotidiano verso i nostri cari e tutti gli altri con cui dobbiamo convivere. È anche una dimensione della nostra fede e della nostra speranza attraverso tutte le vicende della vita e della storia. San Giacomo ci invita a guardare al contadino, come colui che sa che bisogna aspettare: «Siate dunque pazienti, fratelli, fino alla venuta del Signore. Guardate il contadino: egli aspetta pazientemente il prezioso frutto della terra finché abbia ricevuto le piogge d’autunno e le piogge di primavera. Siate pazienti anche voi, rinfrancate i vostri cuori» (Giac 5, 7-8).
Per i primi cristiani la pazienza è strettamente legata alla perseveranza nella fede durante le persecuzioni e le difficoltà cui sono esposti come fragile e piccola comunità nelle vicende della storia. Perciò parlare di pazienza è anche sempre parlare di prova, di sofferenza attraverso cui siamo chiamati a passare nel nostro cammino. San Paolo ci coinvolge in una dinamica che ci prende e ci porta lontano. In questa dinamica la pazienza è un passaggio inevitabile: «La tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza. La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rom 5, 3-5).
La prova della pandemia è certo causa di tribolazione per molte ragioni diverse, richiede carità paziente nei rapporti con gli altri a noi vicini, richiede pazienza nella malattia, richiede pazienza lungimirante nei modi di combattere il virus e di riprendere il cammino in solidarietà con la comunità ecclesiale e la comunità civile di cui facciamo parte. Sapremo superare il nervosismo, la stanchezza e la chiusura in noi stessi per rinfrancare i nostri cuori nella virtù provata e nella speranza? La Lettera agli Ebrei (cfr. 12) ci invita a tener fisso lo sguardo su Gesù come esempio di pazienza e perseveranza nella prova. E Gesù, al termine del suo discorso sulle tribolazioni che i suoi discepoli dovranno attraversare, ma in cui non li abbandonerà, ci dice una parola preziosa per accompagnarci sempre, anche oggi: «Nella vostra pazienza guadagnerete le vostre vite!» (Lc 21, 19).
di Federico Lombardi