Lunedì 11 giugno 1973: Paolo VI inaugura la decima Assemblea generale della Conferenza episcopale italiana, presiedendo una concelebrazione nella Cappella Sistina.
Mentre vede sfilare davanti a sé tante teste mitrate, sussurra benevolmente a Monsignor Virgilio Noè, Maestro delle cerimonie pontificie, che gli è accanto: «Quanto Spirito Santo!».
Paolo VI ha amato tanto i Vescovi, in modo particolare i Vescovi italiani, che poteva seguire più da vicino.
Ma, conoscendo appunto tante situazioni particolari di tensioni e di pressioni in molte Diocesi, durante quella Messa chiedeva: «Ditelo voi: è facile oggi fare il Vescovo?».
In Italia, erede di un’ottima, ma forse ormai un po’ stanca e consuetudinaria formazione religiosa, «nessuno vorrà dire che sia facile oggi fare il Vescovo!» (11 aprile 1970).
Ci vuole coraggio, ci vuole fede per rispondere a una tale vocazione. Forse è per questo che sempre più spesso si ripetono casi di candidati all’episcopato che non accettano una simile investitura…
Il Vescovo è pastore: dono totale, dono supremo, dono gaudioso. Ma, molte volte, anche dono doloroso! «Il Vescovo è un cuore, dove tutta l’umanità trova accoglienza» (30 giugno 1974).
«Povero cuore d’un Vescovo — dirà Paolo VI — come farà ad assumere tanta ampiezza?».
Il Vescovo è il garante e promotore della pluralità e dell’unità. Sempre impegnato a frenare le fughe in avanti, e a stimolare chi rallenta.
Un anziano Vescovo, raccontando la propria esperienza, si lasciava andare ad amari ricordi: «Se pur ci fosse stata una punta di vaghezza, nel desiderare l’episcopato, l’amara esperienza dopo soltanto un anno ti riporta alla triste realtà! Diffidenza, difficoltà, ostilità, avversità; divisioni e opposizioni nel clero; rifiuto di impegno da parte dei laici… La grande tentazione è quella della disperazione e della sfiducia… In fin dei conti: il Vescovo è una vittima!».
Il Vescovo si sente impotente, deluso, frustrato pastoralmente. Non gli resta altro che gratificarsi accusando la società di non volerne più sapere di Dio e di Chiesa, tutta protesa com’è alla sola ricerca di un benessere terreno.
E, nondimeno, c’è ancora chi desidera — con una certa dose di incoscienza — ardentemente “fare carriera”, desiderando l’episcopato…
Un anziano sacerdote racconta che per tutta la vita aveva desiderato diventare Vescovo. In gioventù, partecipando a qualche ordinazione episcopale, durante il rito si univa al candidato, rispondendo «sì, lo voglio!» alla domanda del consacrante. Passavano gli anni, e la nomina non arrivava. Sempre durante il rito di consacrazione, cominciava a rispondere: «Sì, lo vorrei!». Ormai anziano, sconsolatamente si trovava a rispondere: «Sì, l’avrei voluto!».
E si racconta di un Offciale che scalpitava per diventare Vescovo. Il suo Superiore aveva coniato un consiglio bonario che dava ai collaboratori: «Dategli quello che chiede, per non dargli quello che vuole!». E il diretto interessato, vedendo ormai sfumare il suo desiderio, andava ripetendo: «Mordere non posso, lasciatemi abbaiare!».
Risuonano le parole che Paolo VI dirà alla Curia Romana ancora agli inizi del suo pontificato: «Non sia pertanto la Curia Romana una burocrazia, come a torto qualcuno la giudica, pretenziosa ed apatica, solo canonista e ritualista, una palestra di nascoste ambizioni e di sordi antagonismi, come altri la accusano; ma sia una vera comunità di fede e di carità, di preghiera e di azione» (21 settembre 1963).
La Chiesa è servizio; l’autorità è servizio: non vi può essere posto per il desiderio di carriera e di onorificenze.
Recentemente, Papa Francesco, parlando a sacerdoti novelli, raccomandava: «… un tempo si parlava della “carriera ecclesiastica”… Questa non è una “carriera”: è un servizio!» (25 aprile 2021).
Paolo VI individua due maggiori difficoltà che oggi incontra il ministero episcopale. La prima è quella dell’esercizio del magistero. È richiesto un serio sforzo perché la dottrina della fede conservi la pienezza del suo contenuto, e del suo significato.
Nella crisi che investe il linguaggio e il pensiero, spetta al Vescovo curare attentamente che questo sforzo necessario non tradisca mai la verità e la continuità della dottrina della fede.
Per guidare i presbiteri, per formare i seminaristi, per parlare ai laici di oggi, non basta il fascino, non bastano le adunate oceaniche; ci vuole una dottrina! Ci vuole un esempio e una parola autorevole.
La seconda difficoltà è l’esercizio dell’autorità.
Il Papa stesso era convinto che «per chi ne sperimenta il grave peso, e non ne ambisce l’onore, non è facile farne l’apologia» (17 febbraio 1969). «L’autorità è un dovere, è un peso, è un debito…» (8 luglio 1970)…
E invitava alla fiducia. Una fiducia che «non ignora le difficoltà del tempo presente, né le delusioni, che possono abbattere il nostro ottimismo» (11 aprile 1970).
Fiducia in Cristo. Sì, in lui, fiducia immensa, personale e totale. «In Cristo dobbiamo assai confidare. Lui lo vuole». Fiducia nella loro vocazione e nella loro elezione. «Siate forti e siate felici di essere ciò che siete, come Cristo, dati alla Chiesa». Fiducia e fedeltà nei sacerdoti e nei laici.
Fiducia e fedeltà non impongono un’adesione passiva, non sono docile pigrizia. Sorretta dalla fiducia, la fedeltà è coesione, è coerenza, è difesa, è collaborazione. Ed è anche relativa partecipazione e corresponsabilità. Tutto questo deve saper e voler suscitare un buon pastore!
Quale cuore è necessario!
Questi, e altri pensieri, sono riportati nei discorsi di Paolo VI a Vescovi, presentati in questo libro. Numerosi sono gli interventi sul ministero dei Vescovi: durante le ordinazioni episcopali da lui presiedute sia da Arcivescovo di Milano (8 Vescovi ordinati), sia durante il pontificato (95 Vescovi ordinati a Roma, e durante i viaggi in Australia, in India e in Uganda). E, ancora, interventi alle varie Conferenze episcopali in Visita “ad limina Apostolorum”; durante i Sinodi dei Vescovi, e in discorsi occasionali.
Costante è stata la cura di Paolo VI nella scelta dei nuovi Vescovi. Si calcola che durante i quindici anni del suo pontificato sono state erette 496 nuove Diocesi, e nominati 4.546 nuovi Vescovi…
La rilettura di queste parole infonda nei Vescovi rinnovato ardore nel loro ministero. In modo che non sia più un «Povero cuore d’un Vescovo» ma, come concludeva Paolo VI : «No, povero! Felice piuttosto il cuore d’un Vescovo, che è destinato a plasmarsi sul cuore di Cristo, e a perpetuare nel mondo e nel tempo il prodigio della carità di Cristo. Sì, felice così!» (30 giugno 1974).
di Leonardo Sapienza