Nei giorni scorsi è rimbalzata sui media l’affermazione del presidente francese Emmanuel Macron che ha proclamato la «fine dell’abbondanza», indicando, per la Francia e il contesto in generale, l’accadere dell’epoca di «un grande cambiamento o di un grande sconvolgimento». Tale fine riguarderebbe l’economia, i prodotti tecnologici, l’energia, le materie prime, l’acqua ecc. E a tale cupa analisi si accompagnava la denuncia di uno stile «spensierato» della Francia e dell’Europa di fronte alle minacce alla democrazia, ai diritti umani e al diffondersi di regimi illiberali e autoritari.
Questa uscita mediatica ha sollevato critiche severe e soprattutto l’indignazione di quanti si fanno voce dei poveri, che, anche nel cosiddetto tempo dell’abbondanza, aumentano a vista d’occhio. Mi sembra, tuttavia, che la preoccupazione che trapela da questo discorso riguardi innanzitutto le cosiddette classi medie, che molti osservatori ritengono destinate a scomparire, perché la povertà assoluta diverrà sempre più diffusa.
Nel momento in cui, accogliendo il suggerimento di Karl Barth, affianchiamo alla lettura dei giornali quella della Bibbia, lasciamo che in questo oscuro momento penetri la «luce gentile» della Parola di Dio, per lasciarci orientare non solo dalle opinioni diffuse, per quanto autorevoli e informate, ma da un messaggio che non tramonta e non ci illude. E di fronte alla «fine dell’abbondanza» ho aperto le pagine del capitolo 41 del libro della Genesi, dove Giuseppe è chiamato a interpretare i sogni del faraone, ma anche a fornire indicazioni perché il popolo attraversi la crisi senza subire troppi danni.
È una lezione di teologia della storia, che ci mette in guardia dall’enfasi che spesso siamo tentati a porre sull’idea di ‘progresso’. Un mito che un fine intellettuale come Gennaro Sasso, già negli anni 80 del secolo scorso, ci ha aiutato a relativizzare e che papa Benedetto XVI, nell’enciclica Spe salvi (2007), ha posto sotto la lente di un’acuta critica, ispirata dagli esiti della dialettica dell’Illuminismo teorizzata dalla scuola di Francoforte. Nell’attesa delle vacche magre, cosa dovremmo fare, visto che tra breve saremo tutti chiamati a scegliere chi dovrà governarci?
E anche l’astensione sarà una scelta, anche se non condivisibile. Nel racconto biblico Giuseppe invita il faraone a scegliere «un uomo intelligente e saggio» (Gen 41, 33) da mettere a capo della gestione della crisi, e inoltre a «istituire commissari sul territorio, per prelevare un quinto sui prodotti della terra d’Egitto durante i sette anni di abbondanza.
Essi raccoglieranno tutti i viveri di queste annate buone che stanno per venire, ammasseranno il grano sotto l’autorità del faraone e lo terranno in deposito nelle città. Questi viveri serviranno di riserva al paese per i sette anni di carestia che verranno nella terra d’Egitto, così il paese non sarà distrutto dalla carestia» (Gen 41, 34-36). Thomas Mann, nel suo capolavoro Giuseppe e i suoi fratelli, completa l’identikit di colui o colei [mi piace pensare che uomo nel racconto stia per essere umano e non per maschio] che dovrà governare nel tempo della carestia: «Un uomo accorto e saggio, in cui sia lo spirito dei sogni, lo spirito dello sguardo che tutto vede e sovrasta, lo spirito della previdenza […]». E poco prima: «Il signore dello sguardo che tutto vede e sovrasta diventi il disciplinatore dell’abbondanza.
Egli la domini severamente e, finché essa dura, tolga giorno per giorno tutto quel che occorre per poter padroneggiare in seguito la mancanza ». Insomma, per governare il tempo della povertà bisogna vigilare sul tempo del benessere. E, mentre ci accingiamo a scegliere chi dovrà gestire il tempo della povertà, siamo chiamati a prendere coscienza che quanti saranno chiamati a governare domani e governano l’oggi dovranno vigilare con attenzione e rigore sulle speculazioni in atto e combattere l’evasione fiscale, che, come Chiese, non possiamo non stigmatizzare e indicare come ‘peccato’ da non sottovalutare.
Quanto a ciascuno di noi, la resilienza dovrà correre su due binari: innanzitutto, fin da ora, quello della parsimonia o, se preferite, della sobrietà, con l’attenzione a evitare qualsiasi spreco alimentare, energetico, di acqua e direi persino di tempo; quindi, quello della solidarietà volgendo lo sguardo a quanti vivono la povertà con dignità e magari vergogna, non ritenendo neppure di dover chiedere aiuto e sostegno. La partecipazione alla vita politica e sociale del nostro contesto si alimenta di spiritualità concreta, quale quella che la Parola di Dio sa suggerire a chi voglia ascoltarla.