In rete c’è un video che rappresenta per me l’emblema delle Olimpiadi di Tokyo. Sono pochi secondi allo Stadio d’atletica Paolo Rosi di Roma. Lì Marcell Jacobs e Fausto Desalu provano e riprovano il passaggio del testimone nella staffetta 4 x 100. Si scoprirà poi che quei cambi perfetti sono stati forse l’ingrediente fondamentale della vittoria. Le immagini contengono la lezione di quell’allenamento che è necessario per tutto, dal lavoro allo studio, dall’amore alla vita spirituale. Penso allo sforzo metodico, quotidiano, tenace. Si scopre che le parole dette da san Paolo duemila anni fa sono più che mai attuali. «Non sapete che nelle corse allo stadio tutti corrono, ma uno solo conquista il premio? Correte anche voi in modo da conquistarlo! Io dunque corro, ma non come chi è senza mèta» (1Cor 9,24.26). Sforzo dei muscoli, sforzo della mente.
Mai come in questa Olimpiade pesantemente segnata dalla piaga della pandemia i mental coach sono stati determinanti: ne sanno qualcosa Benedetta Pilato e Simone Biles. È importantissimo scoprire che il lavoro sistematico e metodico, anche se è ripetitivo, è il contrario della noia. Non esclude la creatività, l’invenzione, perfino l’azzardo.
Tutt’altro. All’indomani dell’oro nella 4×100 alle Olimpiadi di Tokyo, lo ha spiegato Filippo Di Mulo, il 61enne catanese referente del progetto 4×100 e del settore della velocità azzurra. Di Mulo ha detto alla ‘Gazzetta dello Sport’ che la chiave di tutto è stato un (giusto) azzardo. «Siamo arrivati all’ultimo atto dopo aver realizzato il quarto tempo nelle semifinali del giorno prima quindi, per provare ad arrivare sul podio, avremmo dovuto azzardare qualcosa. E quel qualcosa, in staffetta, non possono essere altro che i cambi». Il passaggio del testimone può avvenire entro un’area di trenta metri e la nostra squadra ha deciso di correre il rischio di farsi raggiungere dal compagno un po’ più avanti di quanto sarebbe stato ‘prudente’ perché in quel modo avrebbe sfruttato al massimo l’accelarazione che aveva costruito nei metri precedenti. I nostri atleti sono arrivati più vicini al limite rischiando di essere squalificati. Così hanno vinto. È la prova che l’allenamento sistematico, ordinato, disciplinato contrariamente a quanto si crede superficialmente non castra l’inventività e l’immaginazione, ma le potenzia perché, con la propria routine, consente di stare concentrati sul proprio focus esistenziale.
Quando stiamo bene e siamo in situazione di normalità tutti noi, anche senza rendercene conto, tendiamo al nostro focus, cioè cerchiamo di dedicare il nostro tempo a ciò che ci sta a cuore: il Vangelo dice che «dov’è il tuo tesoro là anche il tuo cuore» (Mt 6,21) ed è proprio così. Ciò significa, in termini di organizzazione del nostro tempo e della nostra giornata, che se non ci sono disturbi tendiamo a distribuire i nostri impegni in modo da dedicare più spazio a ciò che ci sta più a cuore. Questo avviene, quando siamo padroni di noi stessi e della nostra vita: quando siamo liberi davvero, le nostre giornate si organizzano da sole nel modo giusto. Vale il detto per cui il fiume scava il proprio letto con il suo semplice scorrere.
Ma questo accade poche volte. Esistono molte forze che ci spingono lontani da quanto ci sta veramente a cuore, basta pensare agli smartphone e alla pervasiva pressione dei social. I nostri atleti ci hanno insegnato che il modo per recuperare l’attenzione su noi stessi e sui nostri obiettivi è prendere delle decisioni che vadano ad incidere sul nostro modo di vivere quotidiano e facciano bene anche ad altri. Pur se temporaneamente, hanno lasciato la casa dove abitavano, gli affetti, tanti interessi, e hanno vissuto intere giornate che diventavano settimane e mesi concentrandosi sul loro focus esistenziale, attraverso delle metodiche che li hanno portati a vincere le Olimpiadi. Questi metodi sono mezzi e non fini: però sono necessari perché ci restituiscono il nostro tempo, cioè la nostra vita. L’estate è un buon momento per pensare se c’è qualcosa da rivedere nella disciplina della nostra vita.