«Non si ascolta bene che col cuore. L’essenziale è inaudibile all’orecchio!» Questa potrebbe essere una nuova versione della famosa frase del Piccolo Principe di Saint-Exupéry, comunque è l’espressione che mi sta risuonando nella mente dopo aver letto e meditato il messaggio di Papa Francesco per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali di quest’anno 2022.
Dopo l’“andare”, “vedere”, “riflettere”, “raccontare” – che ha caratterizzato il messaggio dello scorso anno – ora Francesco mette in evidenza un altro verbo fondamentale nella grammatica della comunicazione: “Ascoltare”. E ascoltare è molto più che udire, insiste il Papa, perché richiede vicinanza e porta al dialogo. L’udire è un atto fisico, ci lascia nell’apparenza, in superficie, nella semplice connessione; mentre l’ascolto è un atto interpretativo, simbolico, comunicativo, che ci conduce alla profondità delle questioni e delle relazioni. Spesso rischiamo di udire senza ascoltare, di parlare senza dialogare. «Solo facendo attenzione a chi ascoltiamo, a cosa ascoltiamo, a come ascoltiamo, possiamo crescere nell’arte di comunicare» perché, sottolinea il Papa, «l’ascolto, in fondo, è una dimensione dell’amore».
La vera comunicazione esiste solo quando si basa sull’ascolto, perché è nella capacità di ascoltare, cioè nel percepire realmente ciò che l’altro dice e pensa, che si basa la costruzione della prossimità, uno dei concetti chiave dell’intero pontificato di Francesco, insieme all’“incontro” e al “dialogo”. Ascoltando troviamo l’altro, usciamo da noi stessi, superiamo l’individualismo e diventiamo comunità/comunione. La vera comunicazione, quindi, dipende dall’ascolto; non è riducibile al semplice scambio di messaggi, non è un singolo trasferimento di informazioni o dati. Non basta trasmettere o pubblicare per comunicare, così come non basta stabilire un contatto con l’altro (un “mi piace”, ad esempio) per relazionarsi.
Non a caso nel suo messaggio il Papa parla di “apostolato dell’ascolto”. Un apostolato profondamente “paolino” aggiungerei. Non solo perché Paolo dice che «la fede viene dall’ascolto» (Rm 10,17), ma soprattutto perché questa è stata una delle sue strategie fondamentali nel processo di evangelizzazione. Prima di parlare, Paolo ascoltava. Prima di fondare una comunità, incontrava e ascoltava i suoi interlocutori. Prima di dare indicazioni, ascoltava i bisogni dei battezzati. Prima di scrivere le sue lettere, ascoltava i problemi concreti che affliggevano le comunità. Noi Paolini abbiamo per molti versi perso la capacità di ascoltare. Preferiamo “parlare”, pubblicare, produrre contenuti che spesso non corrispondono ai veri bisogni della Chiesa e della società. Siamo troppo attaccati alla logica massmediale – la comunicazione orizzontale e unidirezionale – e abbiamo difficoltà ad abbracciare le nuove forme e grammatiche della comunicazione odierna, molto più dialogiche ed interattive. Il processo sinodale in atto, ovvero, l’“ascoltarsi nella Chiesa” di cui parla Francesco, deve renderci consapevoli che anche nella nostra Congregazione (e nella Famiglia Paolina) «c’è tanto bisogno di ascoltare e di ascoltarci». Il nostro prossimo Capitolo Generale potrebbe essere una buona occasione per questo.
Il Papa ci avverte inoltre del fatto che il dialogo che scaturisce dall’ascolto è il punto di partenza per superare l’intolleranza, un’altra forte caratteristica della nostra società che ha perso la capacità di ascoltare. Solo attraverso il dialogo possiamo crescere e conseguentemente cambiare la nostra opinione o atteggiamento, solo attraverso il dialogo (aprendo il nostro cuore all’“altro”, al diverso, al migrante…) possiamo migliorare, evolvere, superare noi stessi, arricchirci culturalmente, intellettualmente e spiritualmente.
Oltre ad essere aperti agli altri, il Papa ricorda che «l’ascolto richiede sempre la virtù della pazienza, insieme alla capacità di lasciarsi sorprendere dalla verità». Quante volte preferiamo le fake news che ci fanno comodo piuttosto che la verità che ci interroga! Per costruire una comunicazione autentica è necessario accettare la verità che scaturisce dal dialogo, anche se è scomoda e non ci piace. San Paolo è un grande esempio anche in questo aspetto e può insegnarci molto. Il modo in cui ascoltava e interrogava le sue comunità – e anche gli altri apostoli, come vediamo nell’episodio del Concilio di Gerusalemme –, con l’obiettivo di una crescita reciproca, può illuminarci nelle nostre relazioni. «Infatti – dice il Papa – la comunione non è il risultato di strategie e programmi, ma si edifica nell’ascolto reciproco tra fratelli e sorelle. Come in un coro, l’unità non richiede l’uniformità, la monotonia, ma la pluralità e varietà delle voci, la polifonia. Allo stesso tempo, ogni voce del coro canta ascoltando le altre voci e in relazione all’armonia dell’insieme. Questa armonia è ideata dal compositore, ma la sua realizzazione dipende dalla sinfonia di tutte e singole le voci.»