Madre, padre, fratello minore accoltellati a morte dal figlio diciassettenne. La strage di Paderno Dugnano in apparenza senza un motivo ci disorienta e ci spaventa. Abbiamo chiesto alla psicopedagogista Barbara Tamborini di aiutarci a trovare un perché, come comportarsi come genitori, e se davvero gli adolescenti mostrano atteggiamenti sempre più violenti
Un ragazzo di 17 anni uccide nella notte uno dopo l’altro, prima nel sonno il fratello di 12 anni che dormiva nella sua camera, poi la madre e il padre accorsi dopo essere stati svegliati dal rumore della colluttazione. Con un coltello da cucina ha menato fendenti con una tale forza da non lasciare scampo neppure a un uomo alto e robusto come suo padre. E subito dopo quello stesso ragazzo, con un ultimo brandello di feroce lucidità, o forse di disperazione, ha anche provato a scagionarsi, telefonando ai carabinieri e dicendo che aveva uccio il padre dopo che l’uomo aveva accoltellato a morte moglie e figlio. Quando, dopo poche ore di interrogatorio, ha confessato tra le lacrime di essere stato lui a commettere la strage, ha semplicemente detto che sentiva un vuoto dentro, che si sentiva un estraneo in quella famiglia, e che uccidendoli tutti si era illuso di smettere di soffrire.
Una famiglia normale, un ragazzo normale, nessun problema apparente, nessun disagio manifesto. Una notizia che più di altre ci ha raggelato, ci ha fatto istintivamente pensare che potrebbe accadere a chiunque, e sì, anche a noi. E anche il popolo dei social, di solito così pronto a lanciare invettive, emanare verdetti, accuse, proporre soluzioni, è rimasto pietrificato. In attesa che possano emergere altri dettagli sulla vicenda, ne abbiamo parlato con la psicopedagogista Barbara Tamborini che si occupa da anni di problematiche adolescenziali ed educazione alla genitorialità. «Anche il mio primo pensiero di fronte a questo evento terribile è stato quello di cercare una spiegazione. Al momento non ce ne sono di manifeste e capisco che ciò può suscitare disorientamento nelle famiglie. Perché, da un lato, può alimentare il dubbio che se rimprovero mio figlio, se gli do dei limiti, se genero in lui delle frustrazioni, potrei rischiare di scatenare in lui un risentimento che prende direzioni estreme. Dall’altro posso invece pensare che anche se faccio tutto il possibile, se sono amorevole, non giudicante, può accadere comunque una tragedia come questa. Allora mi sento di dire due cose: da un lato un evento come questo non deve mettere in discussione le basi di una buona pratica educativa fatta di ascolto ma anche di limiti, di dialogo ma anche di contenimento. E che la paura non è mai un sentimento utile nella relazione. Esiste in ogni aspetto della vita una parte di imprevedibilità, e nel momento in cui diventiamo genitori un margine di rischio è ineliminabile. I figli inoltre sono persone altre da noi, e anche se siamo stati amorevoli con loro potrebbero volersi separare da noi, prendere le distanze, anche senza materialmente a ucciderci».
Quello che differenza questa strage familiare da parte di un ragazzo e rispetto ad altre in apparenza analoghe (pensiamo a Pietro Maso, a Erika e Omar per citare solo due delle più note) è la totale gratuità. In quella villetta di Paderno Dugnano alle porte di Milano non c’erano – per quello che hanno affermato i testimoni – conflitti, litigi, ripicche, assunzione di droghe, avidità economica, nulla che possa aver innestato la miccia. Come avrebbe potuto essere evitato se né la famiglia né le altre agenzie educative o relazioni (il ragazzo aveva amici, una fidanzata, giocava a pallavolo frequentava un liceo, viveva vicino a nonni e zii) avevano notato un malessere, una crisi? Se solo la sera prima c’era stata una festa di famiglia per il compleanno di papà Fabio, 51 anni, e il futuro omicida aveva partecipato con tutti gli altri, semplicemente, come spesso faceva, solo un po’ in disparte e taciturno? «Quello che un genitore dovrebbe fare prima di ogni altra cosa», continua Barbara Tamborini, «è mantenere quel contatto profondo con i figli, un sentire emotivo che inizia dal primo giorno di vita e che rimane inalterato anche se si vive una relazione conflittuale. È il filo che permette di ritrovarsi, genitore e figlio, anche dentro alla rabbia, grazie a uno sguardo, a un gesto. Non possiamo sapere se questo contatto ci fosse, o se si fosse perso a un certo punto, o se i genitori, a fronte del fatto che in apparenza andasse tutto bene, hanno fatto finta di non vederlo, oppure di rimandare il momento per affrontarlo. Ma bisognerebbe anche capire di che cosa si nutriva quel ragazzo, nel senso di quali pensieri, contenuti…».
Episodi di violenza che hanno come protagonisti i giovani se ne verificano sempre più spesso. Anche se questo è particolarmente terribile, ci chiediamo se possa esserci anche una parte di spiegazioni in questo aumento generalizzato nell’adolescenza della rabbia e dell’aggressività. «L’istintività e le pulsioni, l’agire senza pensare è evolutivamente sano, fa parte del processo normale di un adolescente» conclude Tamborini; «quello che è cambiato è che l’ambiente, che mette benzina sul fuoco di questa energia incontenibile con sollecitazioni massicce e spesso precoci. L’istinto rischia così di debordare e fare danni se non è contenuto, aiutato a metabolizzare da figure adulte con mille strumenti che possono andare da una carezza a essere semplicemente da esempio. E purtroppo, se da un lato questa benzina è sempre di più, le figure adulte sono sempre più deboli, mentre dovremmo fare di tutto per recuperare terreno sul versante della fiducia, dell’autorevolezza, dell’essere punto di riferimento e mediatori. Di fronte a una notizia come questa, invece di trasformarla in uno show morboso dell’orrore che sicuramente riempirà ogni tipo di media, dovremo indirizzare il disagio che ci provoca nello studio, nel farsi domande nel cercare risposte».