Nella vertigine del “Quinto evangelio” di Mario Pomilio (I 50 anni del capolavoro).

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Gioco intellettuale e spirituale, per via del fingersi apocrifo è la finzione nella finzione. Ma che tocca le verità più intime dell’essere umano e del credente
Trattato spirituale per interposta persona. Riflessione continuamente rinascente, variata, ribadita sull’insufficienza della propria fede, in cerca di continue conferme. Il libro comincia con una lunga lettera. Vi si parla della ricerca su cui il mittente, Peter Bergin, spenderà tutta la vita: di un quinto evangelio appunto, del quale ha trovato in archivi e biblioteche di mezza Europa molte tracce. L’ufficiale statunitense Peter Bergin si trova a Colonia, la guerra è finita. Alloggiato in una canonica della città, tra i volumi del prete che la reggeva trova i primi strani semi dell’ipotesi. Li trova anzi tra le carte del sacerdote: esiste o è esistito un quinto evangelio, monaci e studiosi di varie epoche ne parlano, vi si riferiscono, ne citano versetti. E Bergin regolerà la sua esistenza intera sull’investigazione, otterrà borse di studio, poi un incarico universitario, appassionerà allievi alla stessa totalizzante indagine. Nella lettera si annunciano questi segni ritrovati, che formano il resto del libro. Avrà avuto un risposta, la sua lunga lettera, ci chiediamo leggendola? Se sì, sarà verso il finale. Vi si trova infatti una “risposta a una risposta”. Il destinatario scrive – a due mesi distanza – ma non trova più il mittente. Gli risponde così una tale Ann Lee dicendo che Peter Bergin è morto, con altro che per noi è presto per leggere. Troviamo aprendo a caso, però, nella sezione che la stessa Lee è andata componendo, “la mappa del cielo”, un frammento: «Ma ciò che facciamo in parole e opere / è l’evangelio che si sta scrivendo».

Come il destinatario su cui Bergin riponeva le sue ultime speranze, il segretario della Pontificia Commissione Biblica, ora leggeremo in ordine anche noi quei documenti, attentissimi dilettanti filologici. Già presi nella rete dell’esitante ossessione di Bergin fin dalle prime pagine, temevamo di doverla seguire, soggiogati ad essa noi stessi, fino alla fine del libro. Altri autori reali o d’invenzione si alterneranno a scriverlo, e ora la voce del tenace e titubante, deluso e speranzoso Bergin ci manca. La ritroveremo nelle brevi presentazioni premesse a ogni ogni documento. E molte altre lettere vi troviamo, di invio e di risposta. Il mittente il più delle volte riferisce con entusiasmo dell’evangelio intravisto e di cui ha raccolto qualche briciola, il destinatario a volte condivide l’entusiasmo, altre si sforza di sedarlo. Le tracce passano dalle epistole alle leggende medievali, al trattato e al testo di memoria, alla breve biografia… E il quinto evangelio diventa, anche, la ricerca del quinto evangelio. Tra i primi autori troviamo Cassiodoro. Ha per le mani il controverso testo. Ne conosce il contenuto e lo teme. Sembrerebbe un presunto vangelo di Giovanni giovane, più ampio e con altre notizie relative a Cristo, parole sue che non compaiono nei vangeli canonici. Sull’autenticità, sostiene che è possibile, ma è vecchio e non si sente le forze di studiare, meditare. Ha paura di riferire su contenuti che già nei quattro vangeli, dice, sono stati motivo di controversie e divisioni.

Alcune ultime riflessioni. La finzione si ricorda magari a ogni nuova presentazione dei testi e si dimentica leggendoli. Il quinto evangelio è un pezzo di bravura lungo 400 pagine e discorso di estrema finezza spirituale variato in decine di forme e stili, ma anche qui il secondo aspetto fa sparire il primo. Infine: dove esiste, il quinto evangelio affascina, e dove no, lo stesso. Si manifesta in tanti modi anche nell’inesistenza. Per esempio qui dove, a commento dell’agire dei Viandanti in Cristo, Romualdo vescovo di Todi scrive: «questi Viandanti seguono in fondo il Vangelo di sempre, ma lo seguono così fedelmente, da farlo parere irriconoscibile».