Negli interventi al Sinodo del cardinale Zuppi, di padre Radcliffe, di suor Becquart e del vescovo Nin. Fraternità che unisce

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Ha rivolto anzitutto il pensiero alla città di Bologna, di cui è pastore, il cardinale Matteo Zuppi prima di riferire ai giornalisti di ciò che la Chiesa sta vivendo al Sinodo. Al capoluogo emiliano, provato dall’alluvione che l’ha colpito, il porporato ha voluto manifestare la propria vicinanza, per la grande sofferenza che la gente sta vivendo. Poi si è concentrato sull’esperienza di dialogo nell’Aula Paolo vi , un dialogo che «non è strumentale, ma fondativo della Chiesa stessa». Ne sono segno i tavoli attorno ai quali ci si siede per parlarsi, ascoltarsi, incontrarsi, in una dimensione che è sempre spirituale, non solo per le meditazioni e le riflessioni, ma anche perché tutto viene vissuto in una dimensione ampia, universale, perché al Sinodo c’è tutta la Chiesa e tutto il mondo.

Il cardinale Zuppi ha confidato di essere rimasto colpito, ad esempio, dall’intervento del vicario apostolico del Nepal, monsignor Paul Simick. Dinanzi alla difficoltà nel mondo d’oggi ad incontrarsi, al Sinodo «si cerca quello che ci unisce», ha detto il presidente dei vescovi italiani, di condividere sensibilità diverse, anche sulla base delle provenienze di ciascuno. «In questo c’è grande ricchezza — ha aggiunto —, è un segno di comunione in un mondo in cui raccontarsi sembra cedevolezza o rinuncia alle proprie idee». Per il porporato l’elaborazione stessa del testo del documento finale del Sinodo, che può apparire faticosa, è una indicazione di metodo, perché la Chiesa sta vivendo qualcosa che si spera il mondo possa sperimentare, poiché «siamo nella stessa casa» nella quale si aspira di trovare «una fraternità che unisce» ha detto ancora, considerando che anche la comunicazione del cardinale Fernández è frutto di un itinerario in cui non ci sono censure di argomenti, cosa «importante per andare avanti. Credo sia un metodo per tutti, in un mondo in cui molte cose vengono sottese o urlate» ha concluso Zuppi.

Al briefing è intervenuto anche padre Radcliffe, che si è soffermato sul cammino di rinnovamento che la Chiesa sta compiendo, il quale emergerà nel documento finale, dove non si dovranno cercare decisioni, titoli da lanciare. Dinanzi alla disintegrazione della società, alla guerra, a questo momento difficile che il mondo sta vivendo, la Chiesa ha come vocazione particolare quella di essere segno di Cristo, di pace, e di essere in comunione con Cristo, e attraverso questo Sinodo sta emergendo un nuovo modo di immaginare la Chiesa. Per il domenicano il documento finale offrirà delle immagini, così come Gesù per annunciare il regno offriva delle parabole. «La sfida di questo documento è come possiamo essere insieme in modi diversi, e questo sarà più chiaro attraverso immagini che non con dichiarazioni» ha specificato ricordando il Papa che ha lavato piedi ai detenuti, il sacerdote americano, conosciuto nel Pakistan del nord, pastore tra la gente, dall’odore delle pecore. Immagini attraverso le quali si può comprendere in che modo il Vangelo può toccare e rinnovare la Chiesa.

Padre Radcliffe ha evidenziato che questo è il modo per leggere il documento finale del Sinodo, guardando a nuovi modi di essere Chiesa, che consentono di essere in comunione «tra noi e con Cristo».

Suor Nathalie Becquart, sotto-segretaria della Segreteria generale del Sinodo, coinvolta nella commissione per l’ecumenismo, ha descritto il clima di fratellanza che si respira con i delegati fraterni. «Il sinodo ci dà una nuova immagine di essere Chiesa», come quella offerta dal Papa presente fra i tavoli ad ascoltare, o quella emersa durante la preghiera ecumenica, ha sottolineato, quando «tutti insieme abbiamo pregato ricordando il martirio di San Pietro», cosa che ha aperto una nuova fase per i rapporti ecumenici e per l’unità dei cristiani, perché in questo Sinodo c’è un nuovo modo di intendere l’esercizio del primato papale e la collegialità dei vescovi e di tutto il popolo di Dio. «Sono stata colpita dalle differenze rispetto allo scorso anno» ha detto ancora la religiosa saveriana riguardo ai lavori in Aula, «c’è tanta qualità di ascolto reciproco, partecipazione». E poi le donne stanno esercitando una sorta di autorità con i loro interventi e contributi, ha continuato, inoltre ci sono più donne a rappresentare i gruppi. «Sono piccoli passi» ha proseguito Becquart ribadendo, come detto dal cardinale Fernández, che, andando avanti passo dopo passo, le donne potranno avere determinati ruoli nella Chiesa. «Le cose cambiano attraverso la sperimentazione — ha terminato — e questo sinodo offre proprio una opportunità di sperimentazione perché tutti portano i propri doni e carismi». Così sta accadendo tra i delegati fraterni e con le donne presenti al Sinodo.

Infine il Sinodo sta offrendo la possibilità di conoscersi, come ha specificato monsignor Manuel Nin Güell, esarca apostolico per i cattolici di rito bizantino in Grecia, alla guida di una piccola comunità nata circa cento anni fa quando, dopo la guerra turco-greca, tanti profughi greci sono arrivati ad Atene. L’esarcato ha anche una Caritas che lavora con ortodossi e musulmani, e c’è pure una fondazione per malati autistici. Non tutti sanno cosa siano le Chiese orientali cattoliche, ha fatto notare l’esarca, e il Sinodo ha offerto la possibilità di conoscerle: hanno le stesse liturgie, la stessa teologia, la stessa spiritualità, le stesse discipline canoniche «delle nostre Chiese sorelle ortodosse», con le quali si vuole avere un dialogo ecumenico, per essere ponti.

Pace, responsabilità dei laici nei processi sinodali e ruolo delle donne nella Chiesa sono stati i temi principalmente dibattuti nel corso della sessione dedicata alle domande dei giornalisti.

Della pace, ha esordito il cardinale Zuppi, «il Sinodo si è occupato sia in maniera esplicita sia come visione: la mia missione — in relazione alla sua recente vista a Mosca, come inviato del Pontefice, nell’ambito della crisi tra Russia e Ucraina, ndr — è nata proprio perché la Chiesa è, come tante volte ha detto Papa Francesco, un ospedale da campo, spirituale otre che materiale, e quindi deve stare dove la gente soffre ed è nel bisogno».

Preoccupazione da alcuni rappresentanti della stampa è stata espressa circa la possibilità che, terminata l’assise, possano rimanere ostacoli o difficoltà nei processi sinodali all’interno delle diocesi di appartenenza. Ma in realtà, ha detto suor Becquart, «occorre avere presente che in concreto c’è sempre la libera iniziativa dei laici, come peraltro previsto nel Diritto canonico».

Infatti, ha spiegato richiamando la meditazione della mattina di Radcliffe, «tutti sono invitati a contribuire a tale processo secondo il proprio carisma». Inoltre, «siamo chiamati a credere che tutti possano cambiare, anche coloro che oggi sono magari più renitenti ad accogliere il percorso del Sinodo». E, citando la testimonianza di un vescovo statunitense, ha sottolineato come in molti «l’esperienza di queste settimane stia cambiando il modo di vedere la Chiesa, grazie all’opera dello Spirito Santo».

Perciò, «ciascuno è responsabile, ciascuno ha la possibilità di trovare un modo per dialogare e discernere. Durante le sessioni dell’assemblea si è visto come chi viva la sinodalità direttamente, poi finisca per adottarla» ha chiosato, portando l’esempio della riunione preparatoria dello scorso anno, nel corso della quale molti parroci, arrivati con scetticismo, alla fine siano ripartiti entusiasti e cambiati. In tal senso, ha aggiunto con riferimento al lavoro del Gruppo 5, che ha la particolarità di affrontare un argomento (il diaconato femminile) non direttamente oggetto del Sinodo, «la sinodalità è in azione in ciascun gruppo di lavoro».

E proprio sul ruolo della donna si è concentrata la parte conclusiva del briefing. Su questo punto, Radcliffe ha invitato a non focalizzarsi solo sugli ordini sacri, considerando invece «le posizioni più alte che hanno acquisito nei secoli di storia le tante donne diventate dottori della Chiesa. Se non teniamo presenti che fondamentali sono i sacramenti e gli insegnamenti della Chiesa, misurando tutto con il metro dell’ordinazione rischiamo di scivolare solo in posizioni molto clericali».

«È vero — ha aggiunto monsignor Güell — leggendo i testi dei padri della Chiesa, si vede come molti “apoftegmi” appartengano a madri del deserto, con una profondità teologica, umana e psicologica notevolissima: evitiamo la tentazione di sottolineare il ruolo della donna con il clericalismo».

A far loro eco, la stessa sotto-segretaria Beqcuart, che ha evidenziato come sia importante la prospettiva con cui si guarda la Chiesa. «Oggi ci sono già donne in ruoli apicali, presidenti di università cattoliche, di organismi come le Caritas o di sezioni di Conferenze episcopali». Dunque, «ci sono tanti modi per promuovere la leadership femminile, basti pensare anche ai tanti vescovi che stanno nominando donne come delegati generali diocesani, con la possibilità quindi di concorrere nella governance dell’istituzione». Quando si affronta questo argomento, ha aggiunto Zuppi, «si ha la sensazione che nella prassi, già oggi e non solo nella storia del pensiero cristiano e cattolico, ci sia molto di più di quanto comunemente si vede».

Dopo di che, occorre anche dire, ha proseguito Becquart, «che permangono tuttora ostacoli e difficoltà, rinvenibili soprattutto a livello culturale e sociale. Perché la Chiesa fa parte della società. Lo riscontro, per esempio, parlando anche con vescovi di fede anglicana o ambasciatrici. Se in un consesso diplomatico interviene un uomo, a quel discorso si dà un peso, se interviene una donna, la considerazione è minore: spesso è un qualcosa di inconscio. Ma ciò mi convince del fatto, ha concluso, che è necessaria una vera conversione della mentalità, e ci vuole tempo: perché noi la mentalità la ereditiamo non solo dalla Chiesa ma anche dalla società in cui viviamo».

Infine, sul timore richiamato da Radcliffe nella sua meditazione della mattina relativamente alla delusione che alcuni potrebbero provare nel momento dell’approvazione del Documento finale, il teologo domenicano ha invitato a «superare la difficoltà a capire la vera natura del Sinodo», che — come detto più volte dal Papa — «non è un parlamento, ma un luogo di ascolto nella comunione».