Il volto di Dio è un volto di padre. E se il padre è colui che ci dà il nome, cioè colui che ci conosce e ci colloca nel mondo, è attraverso la relazione col volto del Padre che possiamo trovare la nostra verità. Insomma è attraverso il volto del Padre che io posso conoscere davvero me stesso e diventare capace di ricevere amore, di amarmi e quindi di amare. Potrebbe essere questo, anche se parziale, il senso di questo lungo colloquio con don Fabio Rosini che prende spunto dal suo ultimo libro edito da San Paolo (San Giuseppe. Accogliere, custodire, nutrire), ma che soprattutto guarda a questo nostro tempo in cui la sempre più sfumata figura del padre ha finito per privare i giovani (i figli) di efficaci punti di riferimento in una società via via più confusa. Don Rosini è prete nella diocesi di Roma e ne è direttore del Servizio per le vocazioni. Noto per la feconda attività pastorale con i giovani attraverso i percorsi di ‘spiritualità vissuta’ su I Dieci Comandamenti e su I Sette Segni del Vangelo di Giovanni, insegna ‘Bibbia e comunicazione della fede’ all’Università della Santa Croce e ha scritto, sempre per San Paolo, libri di successo come Solo l’amore crea (2016) e L’arte di ricominciare (2018).
La figura di san Giuseppe consente di parlare del ruolo del padre, ma in realtà il Gesù dei Vangeli ha due padri…
L’esperienza di Gesù di avere un padre terreno e uno celeste è l’esperienza alla quale siamo chiamati tutti noi in quanto figli di Dio. E più queste due paternità sono sintonizzate, più la nostra umanità e la nostra vita spirituale crescono in bellezza e pienezza.
Quale è il ruolo di Giuseppe nei Vangeli?
Certamente quello di accogliere. Tutte le volte che l’angelo gli parla gli chiede di «prendere con sé» prima Maria in sposa, poi Maria e Gesù per fuggire in Egitto… Accogliere è l’attività fondamentale da fare con Dio: la grazia si accoglie, il perdono si accoglie, la provvidenza si accoglie, il suo volto si accoglie. Allo stesso modo chiede di accogliere il prossimo e di accogliere noi stessi, così come Lui fa con noi: ci accoglie.
Cosa vuol dire accogliere per un padre?
Giuseppe ci viene in aiuto. Per prima cosa dà un nome a Gesù: chi mi accoglie mi fa capire chi sono. Tutti noi abbiamo bisogno di sapere chi siamo e il nostro nome lo conosce solo chi ci ama e ci comprende. Noi sentiamo di essere accolti solo quando ci sentiamo amati. In questo senso solo Dio sa davvero chi siamo e quanto valiamo al punto di dare il figlio per amore nostro. Così il compito di un padre umano è fare in modo che un figlio, una figlia capiscano la loro preziosità, la bellezza profonda del loro volto, chi sono veramente.
Un padre deve anche proteggere.
Questo è il secondo atto di accoglienza che fa Giuseppe: proteggere e custodire. Chi ci ama si cura di noi perché ci conosce anche nelle nostre fragilità. Un padre sa chi è il figlio e conosce i pericoli della vita. Giuseppe conosce Gesù e conosce Erode, che poi è l’essenza del combattimento spirituale: difendere il bene e dribblare il male.
Però Giuseppe è aiutato dai sogni…
Certo, ma in fondo i sogni sono la nostra vita interiore, la nostra profondità di sguardo, la capacità di vedere il volto di Dio nella nostra vita. Questa intensità spirituale consente a Giuseppe di educare e nutrire (il terzo atto di accoglienza) Gesù secondo la logica di una vita scandita dalla spiritualità ebraica.
Una vita regolare?
Sì, e si tratta di un’arte di educazione che ben emerge dal capitolo secondo del Vangelo di Luca: una regolarità di a- bitudini, un’ordinarietà quotidiana che forma ad accogliere le straordinarietà quando queste arrivano. Mi occupo da tanti anni di giovani e so che quello che manca loro maggiormente è un Giuseppe capace di fornire punti di riferimento nella normalità della vita. I ragazzi sono confusi da troppi padri latitanti e troppe madri arrabbiate.
Questa è la pedagogia di Dio?
Il volto di Dio che appare nella paternità di Giuseppe è un volto di padre. Una pedagogia che apre al mistero divino attraverso l’esercizio della genitorialità umana. In questo senso, anche se può sembrare strano, il volto di Dio in Giuseppe appare splendidamente nel suo diventare invisibile. Il compito del padre non è risolvere i problemi ai figli, ma insegnare ai figli come risolverli da soli. In questo senso la meta del padre è diventare invisibile, privo di ogni forma di possessività.
Un padre costruttore di libertà?
Dio ci dà fiducia, ci vuole liberi. A Dio possiamo dire di no, possiamo insultarlo… lo abbiamo persino crocifisso e lui ci ha amato lo stesso. Dio sa sparire mille volte dalla nostra vita per lasciarci liberi di tornare da soli. Senza libertà non c’è amore, non c’è nulla.
Eppure il desiderio di vedere Dio pervade tutta la Scrittura e prima o poi si fa sentire in ogni uomo…
L’uomo desidera vederlo quando tocca il fondo. Pensiamo al figlio prodigo… solo se sono povero divento capace di cercare Dio veramente. Dio mi stima e mi attende. E se mi capita qualcosa che mi fa tornare da Lui è perché, per dirlo alla romana, ‘Dio mena da fermo’, nel senso che non mi dà uno schiaffone dall’alto, ma se agisco come se fossi Dio, prima o poi vado a sbattergli contro, perché Lui è sempre al suo posto.
A lei come si è mostrato il volto di Dio?
Certamente nella mia famiglia e poi, poiché crescendo ero diventato ateo, nei cristiani, veri, che ho incontrato e mi hanno rimandato alla bellezza che avevo conosciuto da bambino. Vedendo la loro serenità ho aperto il cuore al Vangelo, a una bellezza fatta di misericordia. L’ho visto anche in tante persone che mi sono state vicine. L’ho visto nella potenza che ha la Parola di liberare il cuore delle persone. E poi mi si è manifestato nelle malattie: come sapienza che mi conduceva alla libertà attraverso il dolore. So che il suo volto conduce la mia vita e mi salva da me stesso.
Com’è il volto di Dio nella sofferenza?
Un volto di misericordia, di tenerezza infinita, come di colui che sta dalla tua parte sempre: un padre. Una volta mi hanno chiesto quale potrebbe essere una frase in grado di salvare l’umanità. Io ho risposto: ‘Dio è mio padre’. Ho imparato ad avere tenerezza per me stesso attraverso la sua tenerezza per me. Oggi il disprezzo per se stessi sembra pervadere l’umanità.
Tanti giovani sono cupi, nascondono il volto sotto cappucci, si coprono di tatuaggi dai colori tetri…
Quando il serpente dice a Eva: «sarai come Dio» in sostanza le dice che è sbagliata, instilla l’ossessione a essere diversi da quello che si è. Lo stile di padre che è in Giuseppe è educare per tirare fuori il bene che è in me, il volto di Dio che è in me, cioè quello che sono veramente. In questo senso il disprezzo per se stessi è la vera cifra delle menzogne che ci hanno instillato. Avere disprezzo per me è l’immagine distorta di Dio che mi è stata mostrata: un Dio che pretende, rapace e menzognero. Così il modello per me stesso diventa quello del rapace e vincente a tutti i costi. E questo mi lancia in una visione deteriore e infelice della vita: quando penso male di Dio penso male di me stesso. Invece del volto di Dio inseguo quello di un idolo, e tutte le idolatrie chiedono il sacrificio dei figli: la carriera, la bellezza, il potere, la sicurezza, l’assolutizzazione delle proprie paure…