Fiducia, antidoto al declino della nostra civiltà. “Il coraggio, uno se lo può dare. Per una pratica della fiducia” è il titolo del Discorso che ribalta le celebri parole del don Abbondio dei Promessi Sposi, nell’anno in cui si sono ricordati i 150 anni della morte di Alessandro Manzoni. Milano si ispira ad Ambrogio «per reagire alla mediocrità e alla rassegnazione», scandisce il presule. «Sentiamo la responsabilità di essere persone fiduciose nell’esercizio dei compiti che ci sono stati affidati e sentiamo il dovere di prenderci cura di quel bene comune che è la fiducia. Mentre don Abbondio crede di essere saggio pensando che il coraggio, uno non se lo può dare, specie in un contesto difficile di prepotenze, ingiustizie impunite, inaffidabilità delle istituzioni, noi crediamo che sia saggio darsi ragioni e condizioni per avere coraggio e praticare la fiducia». Ebbene: «La fiducia è un atteggiamento necessario per affrontare le sfide di oggi e per andare verso il futuro», è «il rimedio all’epidemia della paura» e «l’antidoto desiderabile per contrastare il declino della nostra civiltà» sottolinea Delpini – il quale, nella proposta pastorale 2023-2024 Viviamo di una vita ricevuta, aveva additato l’individualismo radicale come la «tentazione» che «sta portando al suicidio della nostra civiltà».
Confidare in Dio, fondamento irrinunciabile della fiducia. «Con la paura si invoca l’im-munità, per difendersi dall’altro. Con la fiducia invochiamo la co-munità, che è difesa dell’altro», fa sintesi il presule, prima di «dichiarare», in «questo momento solenne», che «l’umanità merita fiducia» e che «noi viviamo, sostanzialmente, di fiducia». Ecco dunque l’invito a ispirarsi ad Ambrogio e agli uomini e alle donne «che hanno segnato la storia della nostra terra», a guardare «con ammirazione alla testimonianza di uomini del nostro tempo che sono parola ed esempio di fiducia», «primo fra tutti, papa Francesco». E l’appello agli ambrosiani d’oggi: «Ci saranno ancora, a Milano, uomini e donne, che seminano fiducia perché meritano fiducia? Ci saranno uomini e donne che aiutano la città a cambiare aria perché sono onesti, sinceri, dediti al bene comune, affidabili nelle parole che dicono, trasparenti nel loro operare, virtuosi senza esibizionismi, costanti senza testardaggine, pronti alle responsabilità senza arrivismi? Ci saranno uomini e donne pronti a contribuire al presente e al futuro della città nella sua dimensione metropolitana praticando e promuovendo un umanesimo della fiducia, che non si curano per prima cosa di rendere attraente la città dando fiducia agli investitori, ma sono convinti che la città avrà un futuro se avrà abitanti, se avrà bambini, se custodirà rapporti di solidarietà, di buon vicinato, di corresponsabilità?». Delpini chiama i responsabili delle istituzioni a dire il loro «sì, noi ci siamo». E – parlando della fiducia, del coraggio, della speranza, delle virtù e del dovere di chi ha responsabilità, della «ragionevolezza del dialogo» e delle «alleanze costruttive» per il bene come «buona pratica» capace di unire anche quanti hanno idee e interessi diversi – chiama tutti a riscoprire il «fondamento trascendente» della fiducia: il «confidare in Dio», il «riferimento a Dio» che si è dimostrato decisivo per uomini e donne di ogni credo «che hanno segnato la storia dei popoli».
Educazione, crisi demografica, migrazioni: tempo di alleanze per il bene. La sanità, il lavoro, la pace, l’ambiente: molteplici le sfide che si offrono alle «alleanze» per il bene: Delpini ne ha parlato nelle sue recenti Sette lettere per Milano. Nel Discorso alla Città ne mette a fuoco tre, in particolare: «la problematica educativa», «la crisi demografica» («la responsabilità degli amministratori – scrive il presule – è creare le condizioni favorevoli, nella speranza che una rivoluzione culturale salvi la nostra società dal declino, che ora appare inevitabile. Noi abbiamo fiducia che si possano aprire nuove stagioni per questa vecchia, saggia, ricca, sterile Europa»). E «il fattore migrazioni», che i responsabili del bene comune devono affrontare «con fiducia» per «elaborare pensieri e non solo emozioni e paure». «Le nazioni d’Europa – insiste l’arcivescovo – hanno risorse e competenze per incisive opere di pace, per promuovere sviluppo umano e alleanze internazionali, per contribuire a rendere possibile il diritto di restare e il diritto di partire e contrastare quel migrare disperato che espone a inimmaginabili sofferenze. Noi vorremmo essere cittadini di una Europa protagonista nell’opera di pace e di sviluppo dei popoli. Perciò sentiamo il dovere di vivere anche l’appuntamento elettorale della prossima primavera con responsabile partecipazione».
Contro la paura: la parole di Renzo. E di papa Wojtyla. Chiudono il Discorso due citazioni. La prima, ancora dai Promessi Sposi: Renzo che, dando in elemosina gli ultimi soldi che ha in tasca, esclama «La c’è la Provvidenza». È l’affidamento a Dio che vince la paura e apre al farsi prossimo. Quindi, la «parola programmatica» con cui san Giovanni Paolo II aprì il suo pontificato: «Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo! Alla sua salvatrice potestà aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo. Non abbiate paura! Cristo sa “cosa è dentro l’uomo”. Solo lui lo sa!». «In conclusione – afferma Delpini – riconosciamo che la fiducia è la virtù doverosa di coloro che interpretano la vita come una vocazione. È un dovere per noi tutti e in modo speciale per coloro che hanno responsabilità per il bene comune. La fiducia è un dono che chiede di essere reciprocamente offerto. Significa: volgere lo sguardo con benevolenza verso l’altro. Fidarsi, avvicinandosi all’altro, mettere nelle mani dell’altro la propria speranza. Esprimere gratitudine, credere alla promessa che l’altro è per te».