Ho immediatamente iniziato la ricerca di un’abitazione adatta a me e alla persona che mi assiste, dove poter anche trasferire la vasta biblioteca necessaria al mio lavoro e l’ampio archivio personale. Dopo mesi di ricerca condotta anche da agenzie specializzate, ricerca complicata altresì dall’emergenza sanitaria del Covid-19, non ho trovato nulla di confacente alle mie esigenze. I costi per l’acquisto di una casa in campagna (sempre superiore a 500.000 euro) o di un affitto di un alloggio in città restavano eccessivamente elevati rispetto alle mie possibilità economiche e alla scelta di una vita sobria che ho sempre condotto”.
Prosegue: “A queste difficoltà si aggiungono la mia età avanzata e le precarie condizioni di salute: gravissime difficoltà di deambulazione causata da una seria sciatalgia, una grave insufficienza renale che non permette alcun intervento chirurgico risolutivo, ai quali si aggiunge una patologia cardiaca. É a seguito di questa situazione e non per altre ragioni, che non ho potuto lasciare l’eremo nel quale vivo da più di quindici anni e si trova dietro alla collina della Comunità di Bose. Alla consegna del Decreto ho da subito interrotto ogni rapporto con i membri della Comunità, incontrando soltanto un fratello incaricato dal priore per la mia assistenza quotidiana. Pertanto, l’allontanamento concreto l’ho realizzato ma non abbastanza lontano come indicato dal Decreto.
Nell’ottobre 2020, direttamente dal cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin mi è giunta la proposta di trasferirmi presso la fraternità di Bose a Cellole, sita in S. Gimignano (Si), insieme ad alcuni fratelli e sorelle che si sarebbero resi disponibili, così da attuare pienamente il Decreto e trovare una soluzione per la mia residenza fuori comunità.
A questa proposta, il priore di Bose, l’economo della comunità e il delegato pontificio hanno da subito posto alcune condizioni, tra le quali la perdita di tutti i diritti monastici per i fratelli e le sorelle che si sarebbero trasferiti a Cellole nella condizione di extra domum. Fu mia premura informare il Segretario di Stato che la condizione alla quale venivano ridotti questi fratelli e sorelle era in aperta contraddizione con il can. 665 com. 1 del Diritto canonico vigente, avvalorato dall’interpretazione data dal documento “Separazione dall’Istituto. Extra domum, esclaustrazione e secolarizzazione” redatto dal Gruppo Segretari/e di Roma del 12 novembre 2013.
Il 13 novembre del 2020, il Cardinale Parolin, in una lettera a me indirizzata, accoglieva le mie osservazioni, chiedendomi di trasferirmi a Cellole con alcuni fratelli e sorelle disponibili, da me scelti in intesa con il priore di Bose, i quali avrebbero vissuto come monaci extra domum ma conservando tutti i loro diritti monastici. Cellole non sarebbe stata più una fraternità di Bose ma comunque una fraternità monastica in cui era possibile la presenza di un fratello presbitero per la celebrazione eucaristica”.
Secondo quanto dichiarato dall’ex priore di Bose “Tuttavia, l’8 gennaio 2021 mi giungeva il decreto del delegato pontificio con le disposizioni per il trasferimento a Cellole, e in allegato un contratto di comodato d’uso gratuito precario che avrei dovuto firmare immediatamente. Il contratto, ideato e redatto dell’economo di Bose fr. Guido Dotti e approvato del priore di Bose fr. Luciano Manicardi e del delegato pontificio, poneva le seguenti condizioni:
- Il decreto del delegato pontificio ingiunge a fr. Enzo Bianchi di trasferirsi a Cellole senza sapere né identità né numero dei fratelli e delle sorelle che sarebbero andati a vivere con lui.
- Nel contratto di comodato si prevede che l’Associazione Monastero di Bose, nel suo rappresentante legale fr. Guido Dotti, può cacciare da Cellole in ogni momento, su semplice richiesta e senza motivarne le ragioni, fr. Enzo Bianchi e quanti vi risiedono con lui.
- Il contratto di comodato d’uso concede gli edifici del priorato di Cellole stralciando però intenzionalmente i terreni annessi all’edificio e necessari per la coltivazione, per l’orto e per la provvigione dell’acqua durante l’estate.
- Si dichiara che ai monaci e alle monache di Bose che vivranno a Cellole è vietato non solo fare riferimento a Bose, ma anche affermare di condurre vita monastica o cenobitica: potranno semplicemente definirsi come coloro che danno assistenza a fr. Enzo Bianchi, pertanto ridotti a meri “badanti”.
Anche alla mia richiesta che a Cellole ci fosse un fratello idoneo designato a guidare la comunità, il delegato pontificio ha risposto che “non c’è alcun priore, né responsabile, né presidente del gruppo a Cellole, né vita monastica né vita cenobitica”. Ai monaci e alle monache di Bose presenti con me a Cellole ai quali erano riconosciuti dal Segretario di Stato tutti i diritti monastici era tuttavia espressamente vietata la vita monastica. Con tutta evidenza, questa imposizione risulta lesiva della dignità personale e dei diritti monastici fondamentali di questi fratelli e sorelle che vivono a Bose anche da quarant’anni. Se a Cellole è loro vietato di condurre vita monastica, essi cosa vivono? Vengono loro riconosciuti i diritti monastici ma è loro espressamente vietata la sostanza della vita monastica.
A queste condizioni, che non sono mai state rese note alla comunità, io non ho mai dato il mio assenso, perché mi sembrano disumane e offensive della dignità dei miei fratelli e delle mie sorelle. Il decreto del delegato pontificio pone con tutta evidenza me e quanti con me vivono a Cellole in una condizione di radicale precarietà, obbligandoci a vivere perennemente nell’angoscia di essere cacciati in ogni momento e per qualsiasi ragione. Se alle indicazioni del Segretario di Stato avrei sempre potuto ubbidire, alle modalità di realizzazione dettate in particolare da fr. Guido Dotti non ho mai potuto dare il mio assenso”.
In conclusione: “Per queste ragioni, per la quarta volta, il 2 febbraio scorso ho comunicato al delegato pontificio e al priore, tramite lettera consegnata nelle sue mani, la mia decisione di non trasferirmi a Cellole alle condizioni poste da loro. Inoltre, per amore della Chiesa e in particolare della diocesi di Volterra, del suo vescovo Alberto Silvagni padre veramente premuroso, di tutte le persone che da otto anni frequentano l’eucaristia domenicale e la liturgia delle ore quotidiana e che hanno tessuto vincoli ecclesiale e spirituali con la fraternità di Cellole, non posso in coscienza accettare che una fraternità di così grande valore monastico fosse chiusa al semplice scopo di diventare una casa privata destinata a me e a chi mi assiste. Ribadisco tutto il mio dolore per una chiusura decisa improvvisamente e in questa modalità e non certo per volontà mia. Il delegato pontificio e il priore di Bose, ignorando questa mia decisione a loro tempestivamente comunicata per iscritto di non trasferirmi a Cellole, hanno ugualmente pubblicato il 9 febbraio 2021 i rispettivi comunicati ufficiali, omettendo gravemente di rendere nota la mia decisione, anzi dicendo che io avevo accettato di trasferirmi a Cellole, alterando in tal modo la verità dei fatti. Per questo, dall’inizio di febbraio, ho ricominciato la ricerca di una dimora in cui poter vivere la vita monastica e praticare l’ospitalità come sempre ho fatto tutta la mia vita a Bose: alla mia vocazione non intendo rinunciare.
Non ho nulla in più da comunicare almeno PER ORA. GIUDICATE VOI! Di quanto qui scritto sono disposto a mostrare i documenti che lo provano”.