Nel dibattito sorto tra G. Lorizio (qui) e F. Ferrario (qui), che muove dalla interpretazione di un testo di Zollner, e su cui sono già intervenuto (qui), appaiono alcune evidenze che meritano una riflessione.
È interessante che le distinzioni cattoliche ed evangeliche, che servono ad offrire un’interpretazione plausibile al testo di Zollner, ruotano con accuratezza intorno al termine sacramento, che però è assente in Zollner. Per Lorizio, sacramento è il concetto-chiave per garantire la diversità dell’ordine dal potere sacro, mentre per Ferrario sacramento è propriamente il termine che identifica in senso cattolico tale potere sacro.
Correlazione al battesimo
Non vi è dubbio che un sovraccarico di significato del termine sacramento, come frutto della contrapposizione cattolica alla teologia protestante, è la causa di questa divergenza. Una certa esasperazione positiva (da parte cattolica) e negativa (da parte protestante) della nozione è l’eredità moderna (tridentina e antitridentina) con cui abbiamo ancora a che fare.
Io ritengo che questo modo di impostare la lettura del testo di Zollner conduca a inevitabili cortocircuiti, perché, da un lato, suppone che una «concezione sacramentale del ministero» escluda per principio la sua riduzione a potestas (il che non è), d’altro canto, una concezione «non sacramentale», ma «funzionale» del ministero sarebbe inattingibile, al cattolicesimo, per principio (e anche questo non è).
Per uscire dall’impasse, a mio avviso occorre problematizzare diversamente il termine «sacramento», uscendo da una versione rigida e univoca che neppure il Concilio di Trento ha sostenuto.
Bisogna ricordare, infatti, che, nel linguaggio tridentino, costruito per «canoni di condanna», il fatto che i sacramenti siano né più né meno di sette, non implica affatto che siano tutti della medesima dignità. Essendo condannata anche la proposizione che li equipara, rimane uno spazio per comprendere, anche nel ministero ordinato, in quale misura questo «sacramento» sia funzione del battesimo e dell’eucaristia (che sono gli unici sacramenti maggiori).
Proprio il modo di intendere questa «correlazione strutturale al battesimo» esige una teoria del sacramento non monolitica e non univoca, così come è stata in effetti per tutto il primo millennio, fino agli inizi della teorizzazione scolastica, poi esasperata nelle controversie moderne.
Il contenuto del sacramento
Circa le parole di Zollner, nelle quali la denuncia della relazione tra abusi e struttura gerarchica è affermata con grande forza, non è inutile ricordare che il «sacramento», in tutto questo, c’entra solo fino a un certo punto.
Anzitutto, per il fatto che ciò che ricorda Ferrario, ossia che il sacramento dell’ordine ha nell’episcopato, presbiterato e diaconato la sua struttura piramidale, è un effetto del Vaticano II, che per molti secoli non è stato così. Se si riflette sul fatto che il «vertice della piramide» (papato ed episcopato) per quasi un millennio non sono stati «sacramenti», ma solo «uffici», si capisce che un’eccessiva enfasi sulla «differenza sacramentale» è il frutto di una proiezione piuttosto che di una realtà.
Perciò, la concreta determinazione di che cosa sia il «ministero ordinato» non si lascia definire soltanto dall’affermazione che sia sacramento e non lo sia: la sua natura di «ufficio» è stata per secoli preponderante.
Per la teologia cattolica, un’eredità imbarazzante di lettura «gerarchico-burocratica» dell’episcopato deriva da una duplice causa che oggi è rimessa in discussione (in teoria, ma non nella prassi): dalla natura «non sacramentale» dell’episcopato e dalla riduzione della sua autorità a potestas iurisdictionis. Solo così è stato possibile, ad esempio, che il «potere della parola» diventasse «potere sulla parola» e si riducesse all’indicazione dettagliata dei libri da mettere all’indice.
La concreta determinazione di episcopato, presbiterato e diaconato non più in termini di potestas, ma in termini di munus (regendi, docendi e sanctificandi) in continuità con i tre munera che riguardano tutti i battezzati, non si lascia comprendere soltanto con la «differenza di essenza», espressione che utilizza un linguaggio ontologico, ma che non impone necessariamente una visione medievale e moderna di questa differenza essenziale.
La specificazione attuale del «sacramento dell’ordine» non avviene in una lettura puntuale e immediata, ma secondo un processo di recezione della nuova impostazione che il Vaticano II ha dato all’intera materia. Qui, a me pare, resta il buon diritto di una «denuncia cattolica», come quella di Zollner, che rileva la contraddizione tra un’impostazione generale nuova, e singole prassi ufficiali proposte secondo la mentalità vecchia.
Come ho cercato di mostrare nel mio precedente contributo al dibattito, una serie di «immunizzazioni» del ministero ordinato (dalla teologia, dalla donna e dalla riforma liturgica) sono stati il tentativo postconciliare, solo parzialmente arginato finora, di assicurare al ministero ordinato quell’«immunità» che lo qualifica, inequivocabilmente, come «potere sacro».
Se questo è il contenuto del sacramento, hanno ragione coloro che dubitano che la parola sia solo lo schermo formale per tenere per sé tutto il potere. Cattolicamente lo nego, ma non nego che evangelicamente lo si possa sostenere, tanto più quanto più numerosi sono i casi che concretamente lo avvalorano.