Il turno di guardia nella notte è quello più pesante per una sentinella, specialmente quando il nemico minaccia ed è in agguato. Il profeta Isaia, sette secoli prima di Cristo, riecheggia una domanda angosciosa che il popolo rivolge a lui come “sentinella” di Dio: “quanto resta della notte?” (Is 21,11). La gente è oppressa, non trova pace, sperimenta fame e sete, passa da un lutto ad un altro: è un popolo “calpestato e trebbiato” (21,10), ormai sull’orlo della disperazione. All’uomo di Dio, dunque, chiedono quanto deve ancora durare questa tortura. Arriverà mai l’alba? Si vedrà di nuovo la luce del giorno?
La risposta del profeta-sentinella è misteriosa: “viene il mattino, poi anche la notte; se volete domandare, domandate: convertitevi, venite” (21,12). Quarant’anni fa il cantautore Francesco Guccini pubblicava il brano “Shomèr Ma Mi-Llàilah”, cioè proprio la domanda “Sentinella, quanto resta della notte?” nell’originale ebraico di Isaia. E rendeva così la risposta: “La notte, udite, sta per finire, ma il giorno ancora non è arrivato; sembra che il tempo nel suo fluire resti inchiodato. Ma io veglio sempre, perciò insistete, voi lo potete, ridomandate. Tornate ancora se lo volete, non vi stancate”. La vita umana sembra un immenso sabato santo, una richiesta di luce sospesa nel vuoto, un grido di senso immerso nel buio. Per Guccini infatti: “una risposta non ci sarà… la risposta sull’avvenire è in una voce che chiederà”.
Non si profilano all’orizzonte spiragli di luce. Ci sentiamo come le donne ai piedi della croce di Gesù, quando “si fece buio su tutta la terra, da mezzogiorno fino alle tre del pomeriggio” (cf. Mc 15,33). È come se la storia ci avesse convocati tutti e contemporaneamente sul Golgota, in quelle tre ore di oscurità dove si danno appuntamento i mali della terra: dalle miserie alle ingiustizie, dalle guerre alla distruzione delle specie viventi, dalle malattie alle violenze di ogni sorta, dagli sconvolgimenti naturali agli attentati contro la vita… Lì, ai piedi dell’innocente crocifisso, la domanda risuona: “quanto resta della notte?”. È difficile oggi parlare al futuro, tanto che gli anziani coniugano i verbi quasi solo al passato e i giovani quasi solo al presente.
Eppure Isaia uno spiraglio lo apre: “convertitevi, venite”. Qualcosa possiamo fare, allora. “Convertitevi” significa “cambiate rotta”, “orientatevi diversamente”. L’umanità non è mai stata sfidata così a fondo come oggi – perché mai c’è stata una consapevolezza tanto vasta dei problemi del mondo – a “cambiare rotta”, a orientare diversamente la propria navigazione; se non vuole andare a sbattere contro gli scogli, deve effettuare una decisa virata dall’individualismo alla fraternità. Non c’è alternativa. Solo così arriverà l’alba, che per noi cristiani è il mattino della domenica di Pasqua, quando il buio del Golgota e del sepolcro lascia posto alla luce della risurrezione. Chi crede che Cristo non è stato inghiottito dalla pietra, ma l’ha ribaltata, non può lasciarsi inghiottire dalla disperazione, ma deve lasciar trasparire la luce della speranza. La “conversione” che affretta l’alba del mondo è l’impegno, insieme con gli uomini e le donne di buona volontà, ad inserire già ora nei solchi della storia i semi della risurrezione. Ogni volta che semino giustizia dove c’è violenza, perdono dove c’è vendetta, accoglienza dove c’è rifiuto, cura dove c’è malattia, pane dove c’è carestia, immetto una vena di risurrezione nel corpo dell’umanità ferita.
“Sentinella, quanto resta della notte?” Resta poco, se vivete da fratelli e sorelle; resta molto, e forse non vedrete l’alba, se vivete da estranei e nemici. Il Signore risorto ha inaugurato l’alba: perché dovremmo ancora annaspare nel buio?