Meditazioni di padre Pasolini per gli Esercizi spirituali della Curia romana. La vera guarigione è nell’affidarsi a Cristo

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“Morenti o viventi?” è stato l’argomento approfondito nella quinta meditazione proposta dal cappuccino Roberto Pasolini ai partecipanti agli Esercizi spirituali della Curia romana sul tema “La speranza della vita eterna”, che si svolgono in comunione spirituale con il Pontefice ricoverato al Policlinico Gemelli. Martedì pomeriggio, 11 marzo, dall’ospedale romano Francesco ha seguito in collegamento video con l’Aula Paolo vi la riflessione pronunciata dal predicatore della Casa pontificia. Ne pubblichiamo una sintesi.

La vera sfida del nostro cammino non è solo attraversare la morte, ma riconoscere che la vita eterna inizia già qui. Spesso ci illudiamo che esistano solo due categorie di persone: i vivi e i morti. Il Vangelo di Giovanni, con la risurrezione di Lazzaro, sfida questa visione: i veri morti non sono solo coloro che smettono di respirare, ma anche chi è bloccato dalla paura, dalla vergogna e dal controllo. Lazzaro, avvolto in bende che limitano ogni movimento, rappresenta tutti noi quando ci lasciamo soffocare da aspettative e schemi rigidi, perdendo il contatto con la nostra libertà interiore.

Marta e Maria, di fronte alla morte del fratello, esprimono una fede condizionata: «Se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto» (Gv 11, 21). Questa mentalità riflette l’idea di un Dio che dovrebbe intervenire sempre per risparmiarci il dolore. Ma Gesù non è venuto a eliminare la sofferenza, bensì a trasformarla: «Io sono la risurrezione e la vita» (Gv 11, 25). La vera domanda, quindi, non è se moriremo, ma se stiamo già vivendo veramente, nella fiducia in Cristo e nella sua parola.

Questa sfida emerge anche nell’episodio dell’emorroissa, una donna malata da dodici anni che, nonostante tutto, osa toccare il mantello di Gesù per cercare la guarigione (Mc 5, 25-34). La sua condizione rappresenta l’umanità intera: cerchiamo rimedi, cerchiamo vita, ma spesso ci affidiamo a falsi idoli che ci lasciano svuotati. Solo il contatto con Cristo può portare una guarigione vera, che non è solo fisica ma interiore: la capacità di affidarsi e di sentirsi accolti.

Gesù le dice: «Figlia, la tua fede ti ha salvata» (Mc 5, 34), mostrando che la salvezza non è un intervento esterno di Dio, ma si esprime nella capacità di aprirci alla sua presenza. Lo stesso vale per la confessione e per ogni esperienza di riconciliazione: non basta un atto formale, occorre che il nostro cuore riscopra la fiducia in un Dio che ci vuole veramente vivi.

Il segno di Lazzaro e la guarigione dell’emorroissa ci pongono una domanda radicale: siamo morenti che aspettano la fine o viventi che hanno già iniziato a sperimentare la risurrezione? La vita eterna non è solo un premio futuro, ma una realtà che possiamo scegliere già adesso, vivendo con libertà, speranza e fiducia nel Dio che ci chiama alla pienezza.

Rinascita come apertura all’azione dello Spirito

Stamane, mercoledì 12 marzo, il predicatore della Casa pontificia Roberto Pasolini ha tenuto la sesta meditazione nell’Aula Paolo vi in occasione degli Esercizi spirituali della Curia romana, che si svolgono in unione spirituale con il Papa ricoverato in ospedale. “Rinascere” il tema della riflessione odierna, di cui pubblichiamo la sintesi.

Il cammino della salvezza si manifesta come una rinascita spirituale, illustrata nel Vangelo di Giovanni attraverso il dialogo tra Gesù e Nicodemo. Gesù afferma che per vedere il Regno di Dio occorre «rinascere dall’alto», un concetto che sconcerta Nicodemo e che richiama la necessità di un cambiamento profondo e radicale. Questa trasformazione non è semplice e spesso suscita timore, poiché richiede di abbandonare certezze e schemi consolidati.

Gesù spiega che la rinascita avviene attraverso l’acqua e lo Spirito, non come un ritorno biologico all’infanzia, ma come una nuova apertura all’azione dello Spirito. Molti temono il cambiamento e cercano di aggrapparsi a esperienze passate, ma la vera rinascita implica fidarsi di Dio e lasciarsi condurre verso orizzonti inesplorati. Questo passaggio ricorda l’Esodo di Israele nel deserto, dove il popolo temeva la morte, ma trovava salvezza volgendo lo sguardo a un segno offerto da Dio. Oggi, il segno della salvezza è Cristo innalzato sulla croce.

Il battesimo rappresenta il simbolo di questa nuova vita: non un cambiamento immediato e visibile, ma l’inizio di un cammino di trasformazione. Tuttavia, nella storia, l’efficacia del battesimo si è affievolita, divenendo spesso un rito culturale più che una scelta di fede consapevole. Questo ha portato a una crisi della Chiesa, in cui la vita cristiana appare distante e astratta per molti.

Gesù invita a una scelta radicale: anteporre la relazione con Lui a ogni altro legame, non come negazione degli affetti, ma come riconoscimento che solo in Dio si trova la vera vita. Questo comporta il coraggio di «perdere la propria vita» nel senso biologico e psichico, per ritrovarla nella dimensione eterna.

Infine, Gesù usa la metafora del parto per spiegare che la rinascita spirituale è un passaggio doloroso ma necessario. Ogni persona è chiamata a uscire dai propri “grembi” di origine per accogliere la pienezza della vita eterna. San Francesco è un esempio di chi ha abbandonato ogni sicurezza per abbracciare pienamente la vita nuova in Cristo.

In definitiva, la vera rinascita non è un’illusione, ma una realtà accessibile a chi si lascia trasformare dallo Spirito, vivendo già ora la promessa dell’eternità.