Maria madre della speranza (Michele Giulio Masciarelli)

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Meditando sulla seconda invocazione inserita da Papa Francesco nelle Litanie lauretane. Ritorno alla speranza in tempo di “policrisi”.

 

Inserendo l’invocazione Mater spei nelle Litanie lauretane, anche Papa Francesco, in consonanza con i Papi del novecento, indaga nello scrigno delle virtù teologali per trarne «cose nuove e cose antiche» (Matteo, 13, 52) per questo difficile brano di tempo che stiamo vivendo: in esso la crisi della speranza ingrossa l’ampio ventaglio dell’odierna «policrisi» (ecologica, economica, politica, sociale, culturale, spirituale e, aggiungiamo, identitaria a tanti livelli) di cui ha parlato Edgar Morin.

A questa crisi, che si diffonde a metastasi come un cancro, s’è aggiunto quest’anno il coronavirus, che ha allargato e approfondito quella crisi in modo mondialistico, tanto che lo stesso Morin, al primo di una serie di incontri pubblici via internet sul tema del futuro all’indomani del coronavirus avviati dal Parlamento europeo, ha affermato: «Ci troviamo in un’epoca estremamente pericolosa. […] Noi siamo oramai dipendenti dai pericoli che noi stessi abbiamo creato. Oggi siamo di fronte a una crisi della modernità. Non voglio parlare di post-modernità. Si tratta di come uscire da questa crisi, che è la crisi di una umanità che non riesce a farsi umana» (in «L’Osservatore Romano», 7 luglio 2020).

Maria di Nazaret lega il suo nome alla speranza da sempre, ma oggi questo legame si fa più forte perché per un’ora storica così drammatica il richiamo più conveniente del cristianesimo è quello di chiamare a tornare alla speranza, come fa Papa Francesco invitando la Chiesa a pregare di più Maria quale donna, stella e madre della speranza (per una contestualizzazione del tema di Maria in riferimento alla speranza cfr. M. G. Masciarelli, Maria icona di speranza per gli uomini e le donne del Terzo Millennio, Milano, Edizioni Paoline, 2000).

Maria Stella della speranza

Il bisogno di una Stella. Un inno mariano, molto usato dalla Chiesa, saluta Maria, la Madre di Dio, come “Stella del mare”: Ave maris stella. L’origine del titolo “Stella del mare”, dato a Santa Maria, sarebbe nei versetti di 1 Re, 18, 41-45. Su tale base scritturistica san Girolamo, sant’Isidoro di Siviglia, Alcuino, Pascasio Radberto e Rabano Mauro avrebbero incoraggiato l’uso di questo titolo. La vita umana è un cammino. Verso quale meta? Come ne troviamo la strada? Maria è la stella che sa orientare nella navigazione della vita e verso il porto ultimo della gloria (cfr. I. M. Calabuig, L’appellativo “Stella maris” da Girolamo a Bernardo: schede per un repertorio,  Roma, Marianum 44, 1992, pagine 411-428).

La Vergine è immaginata come guida del discepolo nel cammino verso la patria celeste: lei, quale “stella polare” (la guida tradizionale dei naviganti) assicura la speranza di un procedere sicuro (iter para tutum) verso la meta di una navigazione sui mari della storia. Non c’è da illudersi e da illudere: la storia degli uomini è una navigazione difficoltosa e perfino turbolenta.

La disperanza è non sapere quale strada prendere nel cammino della vita; è non possedere le forze per compiere un cammino di liberazione; è non potersi orientare nel deserto dell’esodo. Con immagine di mare, la disperanza è non conoscere alcuna rotta nella navigazione in cui ci si è avventurati; è non incontrare nessuna stele luminosa da terra e nessun segnale di luce dal cielo per prevedere un sicuro approdo. Perciò è necessaria una stella in alto a guidare la navigazione da cui non si può evadere. Il cristianesimo ha la certezza di fede che la “barca della Chiesa” ha una luminosa “Stella del mare” ed è Maria, una stella di speranza che può illuminare la grande barca dell’intera famiglia umana. La missione della Chiesa mostra questa Stella, che Gesù ha acceso in Cielo come «segno di consolazione e di sicura speranza» (Lumen gentium, 68).

Tuttavia, la storia degli uomini, guardandola con occhi credenti, non è stata mai allo sbando o in balia di sé, perché è stata sempre guidata da esperti nocchieri, orientata sia da vivide stelle che Dio ha fatto brillare per essa, si potrebbe dire, anche ad altezza d’uomo. Ha scritto brillantemente Papa Benedetto XVI nella sua enciclica sulla speranza: «La vita è come un viaggio sul mare della storia, spesso oscuro ed in burrasca, un viaggio nel quale scrutiamo gli astri che ci indicano la rotta. Le vere stelle della nostra vita sono le persone che hanno saputo vivere rettamente. Esse sono luci di speranza» (Spe salvi, 49). Ma, in assoluto, la prima stella che guida la navigazione della Chiesa verso il futuro di Dio è il Cristo, stella mattutina della fine dei tempi. Pietro ricorda ai fedeli la parola dei profeti, che come una lampada brilla in luogo oscuro, «finché non spunti il giorno e la stella del mattino si levi nei vostri cuori» (2 Pietro 1, 19).

“Maria, Stella della speranza, una ‘stella bassa’”. Fra le «luci vicine» che illuminano l’esistenza e il cammino degli uomini c’è senza meno la luce di Maria, stella della speranza, che riflette la luce di Cristo: quella di Maria, detta in termini diversi, è una speranza radicata in Cristo. Dopo Gesù e a fianco a lui, quale persona potrebbe più di Maria essere per noi stella di speranza? Nessuna se non lei perché con il suo “sì” aprì a Dio stesso la porta del nostro mondo. Così lei è stata la vivente Arca dell’alleanza, in cui Dio si è fatto carne e ha piantato la sua tenda in mezzo a noi (cfr. Giovanni, 1, 14). Maria, al massimo credente e al massimo amante di Dio e degli uomini, è anche al massimo la Madre della speranza. Lei, perciò, è esemplare per tutti «come la donna docile alla voce dello Spirito, donna del silenzio e dell’ascolto, donna di speranza, che seppe accogliere, come Abramo, la volontà di Dio “sperando contro ogni speranza” (Romani, 4, 18)» (Giovanni Paolo II, lettera apostolica Tertio millennio adveniente, 48).

La Madre della speranza una sola esperienza a tappe crescenti

“Maria madre della speranza: un ‘climax’ di grazia”. Per tante ragioni Maria è madre della speranza e, in diversi modi, realizza questo aspetto del suo mistero di Madre messianica. Anzitutto per la fede suscitata in lei dalla Parola accolta e meditata: la sua prima maternità dalla fede, lo è anche dall’amore e dalla speranza, poiché queste tre parole sorelle, di per sé mai divisibili, in Maria sono annodate nel modo più forte. La speranza è un filo forte che ha retto l’esistenza mariana nelle tappe dei misteri di Cristo, a cominciare dall’Annunciazione, quando insieme all’inizio della sua esperienza materna comincia anche l’esperienza della speranza che il piano di Dio si sarebbe realizzato ascensivamente.

Stiamo parlando di Maria che è presente e partecipa al darsi di tutti i misteri di Cristo Salvatore. «La connessione del mistero mariano col mysterium salutis è tale che l’esistenza della Vergine Madre è segno di tutti i misteri cristiani: del mistero trinitario (per essere figlia eletta del Padre, madre santa del Figlio, sposa amorosa dello Spirito); del mistero dell’incarnazione (per la sua maternità divina); del mistero pasquale-pentecostale (per il suo essere stata “socia del Salvatore” sotto la croce e compagna degli apostoli nel cenacolo); del mistero della Chiesa (per essere sua madre e suo modello); del mistero della fine (per essere già assunta nella gloria trinitaria)» (M. G. Masciarelli, Maria icona di speranza, Milano, Edizioni Paoline, 2000, pagina 50). Ebbene, la maternità di Maria è una vocazione evolutiva che si svolge di volta in volta che lei attraversa i vari misteri di Cristo ed è una grazia espansiva che si sviluppa e si colora in modo policromo di mano in mano che il mistero della sua persona e della sua maternità messianica si realizza.

Le tappe evolutive ed espansive della sua maternità sono caratterizzate dalla speranza che lei vive ed esprime legandosi a quanto Gesù spera e fa sperare: la speranza di Maria è la stessa speranza di Gesù, come insegna un grande teologo del novecento, indimenticabile “maestro di teologia” dell’Università Gregoriana, Juan Alfaro, nella seconda parte di un suo aureo libro di teologia mariale: Maria. Colei che è beata perché ha creduto, Casale Monferrato, Edizioni Piemme, 1983).

Maria, futura madre del Messia, è aurora di speranza. Con ogni ragione viene salutata dal popolo cristiano aurora del giorno di Cristo (cfr. 2 Pietro, 1, 19), stella del mattino che annuncia il vero sole di giustizia (cfr. Malachia,  3, 20), alba radiosa della speranza piena. Maria è stata immacolata in vista del suo diventare Madre di Gesù, il Messia che, di fatto, ci ha donato la speranza dei beni futuri, definitivi, che il Padre ha affidato alle mani di Gesù sommo sacerdote (cfr. Ebrei, 9, 11).

In Maria immacolata risplende la forma vera e pura della bellezza senza menzogna né turbamento; bellezza come splendore della verità e riverbero della bontà; bellezza quale perfezione e armonia, semplicità e trasparenza. Di conseguenza, la natività di Maria è annuncio di speranza perché prelude e garantisce il sorgere del Sole; perché vede in lei già presenti i «cieli nuovi e la terra nuova» (2 Pietro, 3, 13).

“Maria, Madre di speranza, all’Annunciazione”. Il “sì” dell’Annunciazione è dedicato al Padre, il quale «volle […] che l’accettazione della predestinata madre precedesse l’incarnazione» (Lumen gentium, 56); tuttavia, esso è anche il primo sì di Maria alla speranza di Cristo: mediante il suo sì (Luca, 1, 38) lei ha collaborato a iniziare i tempi nuovi, anzi una «creazione nuova» (cfr. Efesini, 1, 10). Quel sì ha espresso anzitutto una forza performatrice, con un effetto trasformatore nel momento in cui è stato pronunciato: permettendo la santificazione di quel frammento di alba nazaretana, ha consentito alla svolta decisiva dell’intera storia degli uomini.

Nell’economia della salvezza tutti i tempi sono degni, ma il giorno dell’Annunciazione è uno dei punti più alti della storia salvifica, dal momento che in esso è stato posto un misterioso atto di misericordia, così radicale e forte, da rovesciare il corso degli eventi umani, soprattutto rendendo vicino Dio a noi. «Dio non è legato alle pietre — ha scritto Joseph Ratzinger — ma si lega a delle persone viventi. Il Sì di Maria gli apre lo spazio in cui può innalzare la propria tenda» (Il Dio vicino. L’Eucaristia, cuore della vita cristiana, Cinisello Balsamo, Edizioni San Paolo, 2003, pagina 18). L’innalzamento di quella santa “tenda” coincide con l’elevazione dell’inabbattibile stele della speranza di Gesù sulla terra degli uomini.

“Maria, Madre di speranza, al Natale del Figlio”. Maria, coinvolta efficacemente nella storia della salvezza già dalla germinazione della sua maternità nell’Annunciazione, è passata a esplicitarla in modo essenziale nell’evento natalizio del Figlio. Con l’Incarnazione iniziano i tempi nuovi e con questi il cristianesimo stesso, che — religione di speranza per eccellenza — nasce proprio nel seno della Vergine-Madre, dal momento che il cristianesimo, nella sua essenza, è la persona stessa di Gesù (cfr. R. Guardini, L’essenza del cristianesimo, Brescia, Morcelliana, 1962, seconda parte). In modo fortissimo, Maria è Madre della speranza perché è fisicamente Madre di Cristo. Con Lui la speranza vera, quella dagli orizzonti infiniti, quella che ci fa intravedere la pochezza di questa vita facendo brillare, forse solo a sprazzi, un’altra vita, più reale della vita “reale”, è entrata nel mondo nascendo da donna, cioè da lei (cfr. Galati, 4, 4).

Maria, con la luce della sua fede verginale, ha illuminato la grotta della Natività, impedendo che la nascita del Salvatore avvenisse nelle tenebre, come sarà la luce della sua fede e della sua speranza a illuminare la grotta del Sepolcro di Gerusalemme: davvero a Maria, la credente e la sperante, si può applicare l’immagine di essere «come una lampada che brilla in luogo oscuro» (2 Pietro, 1, 19). Proprio questo è la speranza cristiana e mariana: illuminare il luogo oscuro, vedere dove il buio copre cose, persone ed eventi. La speranza, come la fede, è luce che rischiara l’intera via dell’esodo, non solo brevi tratti di essa; perciò, Maria — la credente e la sperante per antonomasia — è una donna e una madre lungimirante, di cui possiamo assolutamente fidarci, perché ha vista lunga e s’intende di umanità e di Mistero.

“Maria, Madre di speranza, sotto la Croce del figlio”. Il compito di Maria sotto la Croce, quale madre credente e di speranza, è quello di stare, di starci (Stabat Mater… iuxta crucem). La Dolorosa, sotto la Croce anzitutto testimonia la fedeltà al Figlio Gesù che sta morendo, insegnando che non si abbandona mai nessuno, meno ancora nell’ora più fragile e dolorosa della vita, che è la morte. Lo ricorda Papa Francesco proprio in una sua catechesi su «Maria, Madre della speranza»: «Le madri non tradiscono — afferma il Pontefice — e in quell’istante, ai piedi della croce, nessuno di noi può dire quale sia stata la passione più crudele: se quella di un uomo innocente che muore sul patibolo della croce, o l’agonia di una madre che accompagna gli ultimi istanti della vita di suo figlio. I vangeli sono laconici, ed estremamente discreti. Registrano con un semplice verbo la presenza della Madre: lei “stava” [Giovanni,  19, 25], lei stava» (Udienza generale del 10 Maggio 2017).

Maria stava presso la Croce a fare cos’altro? Rappresentando tre popoli (del genere umano, del resto santo d’Israele, della Chiesa nascente), stava a celebrare le nozze martiriali con Gesù, che lì era anche il suo Sposo divino. Lei stabat iuxta crucem, con la lucidità di una Madre credente e sperante, interpretava la morte del Figlio non come una morte servile, ma come la celebrazione di un patto nuziale fra Lui e sé, fra Lui e il suo complesso popolo: un patto infrangibile perché sigillato dal sangue. Maria sotto la Croce celebra la sua speranza credente.

Maria, Donna e Madre che «serbava queste cose meditandole nel suo cuore» (Luca, 2, 19), era certamente  scossa da queste terribili domande: Colui che ha pronunciato la profezia della salvezza è stato smentito dalla sua morte? La speranza è morta con lui? Che credibilità resta a un profeta di speranza che non può difendere più la sua profezia? Che possibilità ha la profezia della speranza di realizzarsi senza od oltre il profeta della speranza? È possibile sperare sotto la Croce? Maria, quale eroina del Calvario, ha collaborato con Cristo, a istituire il principio-speranza, che è consistito nell’«escatologizare la storia» (M. G. Masciarelli, Maria icona di speranza per gli uomini e le donne del Terzo Millennio, Milano, Edizioni Paoline, 2000, pagine 46-50).

“Maria, Madre della speranza pasquale-pentecostale”. A Pasqua si compone una sintassi di gioia, come una tessitura di bellezza gaudiosa i cui fili, forti e lievi, sono tutti i misteri di Cristo ai quali Maria ha preso parte attiva, a cominciare dall’Annunciazione e dall’Incarnazione. Benedetto XVI, nella sua ricordata enciclica, presenta Maria come una creatura intrisa di gioia che irradia speranza, perché soprattutto la risurrezione ha pervaso la sua vita, l’ha resa madre lieta dei discepoli. «La gioia della risurrezione ha toccato il tuo cuore e ti ha unito in modo nuovo ai discepoli, destinati a diventare famiglia di Gesù mediante la fede. Così tu fosti in mezzo alla comunità dei credenti, che nei giorni dopo l’Ascensione pregavano unanimemente per il dono dello Spirito Santo (cfr. Atti degli apostoli, 1, 14) e lo ricevettero nel giorno di Pentecoste. Il “regno” di Gesù era diverso da come gli uomini avevano potuto immaginarlo» (Spe salvi, 50).

La gioia pasquale diventa gioia pentecostale e questa impasta in un unico sentire gaudioso il credere e lo sperare di Maria, cucendoli dentro lo stesso perimetro della sua maternità. La Vergine Madre, per così dire, ci invita a stare con lei nei due eventi di Cristo — Pasqua-Pentecoste — che, alla fine, sono con l’Incarnazione, gli unici in grado di fondare la speranza. Afferma Papa Francesco nella sua ricordata catechesi sulla Madre della speranza: «[Maria] la ritroveremo nel primo giorno della Chiesa, lei, madre di speranza, in mezzo a quella comunità di discepoli così fragili: uno aveva rinnegato, molti erano fuggiti, tutti avevano avuto paura (cfr.  Atti degli apostoli,  1, 14). Ma lei semplicemente stava lì, nel più normale dei modi, come se fosse una cosa del tutto naturale: nella prima Chiesa avvolta dalla luce della Risurrezione, ma anche dai tremori dei primi passi che doveva compiere nel mondo».

Quel giorno la speranza di Maria diventa, in modo specifico, la speranza della Chiesa in missione e in uscita. Lei però dalla sala alta del Cenacolo non ci consegna un principio astratto di speranza, ma ha scelto di far missione con la Chiesa e di starle accanto per incoraggiarla e consolarla proprio con la sua carica di speranza e col suo potere di infonderle la forza che proviene dalla vittoria pasquale di Gesù. «Nel suo faticoso incedere nella storia, tra il “già” della salvezza ricevuta e il “non ancora” della sua piena realizzazione, la comunità dei credenti sa di poter contare sull’aiuto della “Madre della Speranza” che, avendo sperimentato la vittoria di Cristo sulle potenze della morte, le comunica una capacità sempre nuova di attesa del futuro di Dio e di abbandono alle promesse del Signore» (Insegnamenti di Giovanni Paolo II, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 1998, volume XVIII/2, pagina 1182).

Già sicura era la nostra speranza da quando Gesù, nostro fratello necessario, ha deciso di stare con noi tutti i giorni fini alla fine del mondo (Matteo, 28, 20). Ma dal giorno di Pentecoste, quando Maria ha preso la stessa decisione di Gesù e ha preso a incamminarsi, come umile pellegrina, sulle tracce del nostro esodo, è più dolce praticare la difficile speranza perché ha preso i colori del cuore e dei passi della Madre. Adesso capiamo anche perché la Pentecoste ha meritato di chiamarsi la «metropoli delle feste» come la definì san Giovanni Crisostomo.