Come negli anni scorsi anche il Messaggio per la Giornata Mondiale per le Comunicazioni Sociali pubblicato lo scorso 24 gennaio si rivela un testo ricco di spunti che meritano sviluppi e approfondimenti. A partire dal tema scelto, l’ascolto, che, come è stato annunciato in occasione della pubblicazione del Messaggio, sarà al centro dell’attenzione di questo giornale come “parola dell’anno” per il 2022. In particolare oggi pubblichiamo la riflessione di monsignor Domenico Pompili, vescovo di Rieti e di padre Gaetano Piccolo, decano della Facoltà di Filosofia della Pontificia Università Gregoriana.
Nel Messaggio per la Giornata delle Comunicazioni Sociali il Papa riflette sul fatto che ogni cristiano in quanto tale è un “comunicatore”, una persona abitata, quasi “investita” da una notizia che sente urgentemente il bisogno di ritrasmettere agli altri suoi fratelli. Una buona notizia. Il cristiano quindi può comunicare in quanto prima è Dio che comunica con lui, sempre che egli sia disposto all’ascolto. Da qui la centralità, in questo Messaggio per il 2022, del tema dell’ascolto.
Il primo aspetto su cui vale la pena riflettere, dice il Papa, è lo stile comunicativo di Dio, uno stile umile: «Tra i cinque sensi, quello privilegiato da Dio sembra essere proprio l’udito, forse perché è meno invasivo, più discreto della vista, e dunque lascia l’essere umano più libero. L’ascolto corrisponde allo stile umile di Dio […] Da una parte, quindi, c’è Dio che sempre si rivela comunicandosi gratuitamente, dall’altra l’uomo al quale è richiesto di sintonizzarsi, di mettersi in ascolto. Il Signore chiama esplicitamente l’uomo a un’alleanza d’amore, affinché egli possa diventare pienamente ciò che è: immagine e somiglianza di Dio nella sua capacità di ascoltare, di accogliere, di dare spazio all’altro».
Si tratta quindi di sintonizzarsi; si potrebbe dire che Dio preferisca parlare attraverso la radio anziché apparire in televisione. Quest’ultima infatti è un mezzo di comunicazione più forte e violento rispetto alla radio, la televisione si impone. La radio invece è discreta, resta sempre sullo sfondo e richiede attenzione, lascia insomma l’uomo alla sua libertà. Tanto è vero che, tra i tanti suoni che arrivano al nostro orecchio, noi possiamo scegliere a quale dare ascolto. Avverte il Papa che «tutti abbiamo le orecchie, ma tante volte anche chi ha un udito perfetto non riesce ad ascoltare l’altro. C’è infatti una sordità interiore, peggiore di quella fisica. L’ascolto, infatti, non riguarda solo il senso dell’udito, ma tutta la persona». Emerge una dimensione paradossale dell’udito per cui da una parte l’uomo è costitutivamente “uditore”, aperto all’ascolto, può chiudere gli occhi e la bocca ma non può “chiudere” le orecchie (su questo punto è preziosa la riflessione del teologo Karl Rahner nel suo celebre saggio Uditori della Parola), ma dall’altra parte questo non basta perché ascoltare veramente non è solo una questione di timpani ma appunto di cuore, cioè di tutta la persona: sensibilità, intelligenza, affettività, volontà. Lo stile umile di Dio, che interpella la libertà dell’uomo, è continuamente riproposto nel testo biblico, come nel caso dell’episodio della teofania di Elia sul monte Oreb, che ci ricorda che Dio non parla negli eventi più evidenti e fragorosi ma attraverso il sussurro di un vento leggero (1 Re 19, 9-13). È questa “voce di silenzio” che l’uomo deve riuscire a cogliere, questo stile discreto di Dio, perfettamente incarnato dal Figlio: «Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui e cenerò con lui ed egli con me» (Apocalisse 3, 20).
Il mondo, e il mondo della comunicazione ancora di più, non ha questo stile discreto; viviamo oggi una società satura di suoni, voci, grida, immagini, clamori e fragori ed è difficile “ascoltare il silenzio”. Ne era ben consapevole Federico Fellini che nell’ultima scena del suo ultimo film, Le voci della luna, del 1990, mostrava il protagonista, Roberto Benigni, che di notte guarda la luna e si accosta ad un pozzo come se volesse udirne la voce e invita tutti ad un maggiore silenzio, condizione per ascoltare e comprendere qualcosa più di quel “guazzabuglio” che è il mondo e il cuore dell’uomo.
Quello stile umile di Dio, fatto di parole ma anche di silenzio, che si propone senza imporsi, è lo stile che si deve adottare se si vuole avere una comunicazione cristianamente ispirata. Il comunicatore cristiano non alza la voce, non si impone con arroganza ma si china umilmente sulla realtà e si sforza, lì dove si trova, a cercare Dio in tutte le cose anche quelle più nascoste, più sorprendenti e spiazzanti. Cercare la voce di Dio vuol dire anche sforzarsi di ascoltare e dare voce a chi non ha voce, perché ogni storia umana possiede una dignità incommensurabile. Bello e nobile quindi il lavoro di comunicare per un cristiano, ma anche rischioso. In questo il Messaggio del Papa è chiaro e attento a sottolineare che anche l’ascolto è qualcosa di umano che può degenerare, essere deviato: «C’è un uso dell’udito che non è un vero ascolto, ma il suo opposto: l’origliare. Infatti, una tentazione sempre presente e che oggi, nel tempo del social web, sembra essersi acuita è quella di origliare e spiare, strumentalizzando gli altri per un nostro interesse. Al contrario, ciò che rende la comunicazione buona e pienamente umana è proprio l’ascolto di chi abbiamo di fronte, faccia a faccia, l’ascolto dell’altro a cui ci accostiamo con apertura leale, fiduciosa e onesta». Ancora una volta è l’umiltà la via di salvezza, l’umiltà che risiede nel modo giusto, umano, non strumentale ma affettuoso di accostarsi all’altro. Lo esprime bene lo scrittore inglese C.S. Lewis quando suggerisce di cambiare la nostra immagine dell’uomo veramente umile che non è quello «che dichiara a ogni piè sospinto di non essere nessuno. Probabilmente vi troverete di fronte un uomo vivace e intelligente, che si interessa davvero a ciò che voi gli dite. Se vi riesce antipatico, sarà perché vi sentite un po’ invidiosi di uno che sembra godersi così facilmente la vita. Costui non pensa all’umiltà: non pensa affatto a se stesso».
Questa è la grande sfida dell’umiltà, soprattutto in un’epoca come quella contemporanea contrassegnata da un forte individualismo. Si tratta infatti di sgonfiare il proprio ego e lasciar spazio agli altri, altrimenti il rischio è alto, perché se non ascoltiamo l’altro non ascoltiamo neanche l’Altro. Lo ricorda il Papa citando il teologo protestante Dietrich Bonhoeffer che nel saggio La vita comune afferma che «il primo servizio che si deve agli altri nella comunione consiste nel prestare loro ascolto. Chi non sa ascoltare il fratello ben presto non sarà più capace di ascoltare nemmeno Dio». Se si fa spazio all’altro, se si è umili nell’ascolto allora la relazione fa un salto di qualità e si diventa generativi, più simili a Dio che, come coglie il poeta tedesco Hoelderlin, genera il mondo con un gesto di umiltà: «Dio ha creato il mondo come il mare i continenti: ritirandosi».
Il Messaggio del Papa quindi, oltre ad offrire consigli pratici per una buona comunicazione, pone questo interrogativo preliminare alla coscienza cristiana: siamo in grado di questa umiltà?
Perché su questa virtù si gioca la possibilità reale di una vera, libera ed efficace comunicazione tra esseri umani.
di ANDREA MONDA