LUIGINO BRUNI: «LE SANZIONI? HO DELLE PERPLESSITÀ E VI SPIEGO PERCHÉ»

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L’economista cattolico analizza il sistema di ritorsioni economico-commerciali contro gli oligarchi e le banche russe e chiarisce perchè qualcosa non torna

C’è una guerra parallela alla barbarie della guerra militare in atto in Ucraina. Ed è la guerra economico-finanziaria innescata dall’Occidente contro l’invasore Putin. «Il grande messaggio di questo conflitto», spiega l’economista Luigino Bruni «è che veramente la globalizzazione ha cambiato il mondo. Venti anni fa non si sarebbero mai potuti usare gli strumenti finanziari ed economici come stiamo facendo oggi».

E perché?

 «Perché i Paesi erano meno interconnessi. Il mercato globale ha creato un mondo in cui tutti dipendono da tutti.

Il “mercato globale” è diventato dunque lo “scacchiere mondiale”.

«Esattamente. Nessuno oggi può pensare di far quel che vuole nel mondo avendo le proprie riserve valutarie, la propria economia, la propria finanza. Perché non ci sono più muri di protezione, nemmeno simbolici, intorno ai confini finanziari ed economici. Basta un clic dall’altra parte del mondo e le tue finanze si polverizzano o vengono congelate».

Come sta avvenendo per gli oligarchi russi amici di Putin. Come funziona questa guerra parallela?

«Attraverso manovre finanziarie commerciali e bancarie, potremmo dire l’esercito, la marina e l’aviazione di un conflitto economico. Quelle finanziarie hanno visto il congelamento dei patrimoni degli oligarchi russi all’estero».

Sembra che funzioni a giudicare dai malumori e dalla fuga dei loro yacht in mare aperto per paura che vengano loro sequestrati. Vedere la gente ricca che mette al riparo la sua “roba” fa sempre una certa impressione….

«Funziona, ma fino a un certo punto, perché questi personaggi i soldi li hanno nei paradisi fiscali anche se con l’adesione della Svizzera un qualche effetto si riesce a ottenere. Poi c’è l’isolamento commerciale, che esattamente quello che veniva fatto nel seicento, ai tempi di Colbert, in chiave moderna. Pensiamo al blocco  dell’export delle componenti per macchine,  delle centrali, del petrolio, dell’automotive. Chiudendo i rubinetti della componentistica i danni sono notevoli».

In campo bancario l’Europa ha escluso la Russia dal sistema dei codici Swift. Che significa?

«Significa che se si riescono a bloccare le transazioni interbancarie si rendono inutili buona parte delle carte di credito russe soprattutto a livello internazionale. Non si possono fare bonifici o pagamenti all’estero. Le carte dei russi funzionano solo se hanno circuiti locali ma se un cittadino di Mosca o di San Pietroburgo vuol comprare un prodotto su una piattaforma internazionale non può farlo. Il codice infatti te lo impedisce. Si tratta di operazioni che arrivano al cuore della vita delle persone. Non è un caso che il rublo abbia perso il 30 per cento. Il sistema Paese isolato crea una debolezza della sua moneta nazionale. La domanda dei rubli, per l’impossibilitò di effettuare pagamenti e transazioni, cala, e di conseguenza il loro valore». 

Questa offensiva economico-finanziaria produrrà i suoi effetti secondo lei? Arriveremo alla rabbia del popolo e alla caduta del tiranno?

«In un mondo del genere, dove l’economia è così interconnessa si può usare l’economia per fare sanzioni ed è meglio delle bombe, del massacro cui assistiamo. Però … ci sono due però».

E cioè?

«La storia economica e politica insegna che tutte le volte che i governi hanno usato le sanzioni contro un Paese hanno finito per affamare i poveri di quel Paese e aumentare il consenso dei dittatori, dei re, dei capi di regime. Un po’ come le famigerate “inique sanzioni” del 1936 dopo la presa dell’Etiopia. Mussolini se ne è giovato per aumentare il consenso intorno al fascismo. La gente si stringe intorno al monarca o al dittatore di turno e dice: ci stanno affamando, viva il re. Nessun dittatore è stato mai fatto fuori con le sanzioni commerciali.  La gente le percepisce come ingiuste e sbagliate e non fa che rafforzare il regime. Dunque creano un effetto collaterale, fanno vittime di altro tipo, affamando soprattutto la povera gente. Tra l’altro in un momento in cui si sta ancora cercando uno spiraglio per il dialogo: esasperare la situazione economicamente, affamare la gente e non farla ragionare può essere svantaggioso»

Il secondo “però”?

«Il secondo però, lo dico da economista, riguarda la natura dell’economia, che ha lo scopo di procurare benessere attraverso la produzione e le transazioni, di  creare valore. Se la uso per affamare anziché per arricchire io l’economia la snaturo. Un po’ come usare le medicine per procurare l’eutanasia o l’aborto anziché per curare. Come economista so bene che l’economia è per la vita, esattamente come per il medico la medicina. Utilizzare l’economia come strumento di guerra come accadeva nel 600 col mercantilismo alla Colbert o come con la Compagnia delle Indie, significa semplicemente adoperare un’arma in più accanto alle armi militari, è uno dei mezzi dell’arsenale a disposizione, con gli stessi effetti devastanti».

Meglio una sanzione commerciale che una guerra atomica, non crede?

«Non c’è dubbio, il problema è che le sanzioni non scongiurano una guerra. Se avessero portato in piazza milioni di russi sarei stato molto felice, ma non è così. I miei amici che lavorano in Russia mi dicono che gli europei non hanno capito la società russa. In Russia la maggioranza ei cittadini è convinta che la reazione è di Putin è giustificata dal fatto che la Nato gli ha messo i missili sotto casa. Del resto vivono in un regime di propaganda da vent’anni. Il popolo russo ha una sindrome di accerchiamento da sempre. “Il mondo non ci capisce”, pensano, “siamo considerati il nemico dell’occidente”.

E allora che fare secondo lei, come fermiamo la barbarie di Putin?

«Più che con le sanzioni, con la politica, il dialogo e la diplomazia. Dialogo, dialogo, dialogo. Sono questi a mio parere gli strumenti più efficaci».