Lo scrittore e insegnante Eraldo Affinati ragiona sui temi sollevati dalla “Lettera sul ruolo della letteratura nella formazione” divulgata dal Pontefice domenica scorsa. Francesco l’ha indirizzata ai candidati al sacerdozio, e a tutti i cristiani, per sottolineare il «valore della lettura di romanzi e poesie nel cammino di maturazione personale» e come agevolino il pastore «a entrare in un fecondo dialogo con la cultura del suo tempo»
“Un buon libro è un compagno che ci fa passare momenti felici”, sosteneva Leopardi. Dice questo, e anche molto altro, sul ruolo della lettura nella vita Papa Francesco, che con la “Lettera sul ruolo della letteratura nella formazione”, vergata il 17 luglio e pubblicata il 4 agosto, chiede di risvegliare «l’amore per la lettura». Con un tema del genere abbiamo interpellato con Eraldo Affinati, scrittore, critico letterario, saggista, docente in un istituto superiore e finalista dei premi Strega e Campiello.
Francesco indirizza la sua lettera ai candidati al sacerdozio, ma anche agli operatori pastorali e a tutti i cristiani. A loro propone «un radicale cambio di passo»: che valore ha il fatto che il Pontefice, questo “cambio” debba avvenire attraverso la lettura di opere letterarie?
Eraldo Affinati: «Mettere la letteratura al centro della formazione dei futuri sacerdoti, ovviamente insieme alla conoscenza dei testi sacri, ritengo sia fondamentale. Come potremmo pensare, ad esempio, che un giovane seminarista non abbia letto I promessi sposi o I fratelli Karamazov»?
Francesco sottolinea gli effetti benefici di un libro che, “spesso […] nel caldo e nella solitudine di alcuni quartieri deserti, può essere un’oasi che ci allontana da altre scelte che non ci fanno bene”: con la scuola che secondo i dati non è più un’ascensore sociale, la lettura può arrivare anche laddove povertà educativa e abbandono scolastico colpiscono più duramente?
«Sarebbe bello se fosse così. I romanzi e le poesie possono salvare la vita: lo dico per esperienza diretta, pensando alla solitudine della mia adolescenza. Un ragazzo senza libri è preda del suo istinto, rischia di non avere altre prospettive che non siano quelle offerte dall’ambiente in cui cresce. Se la scuola riuscisse a fargli scoprire il gusto della lettura, avrebbe fatto già molto».
In un’epoca di muri, guerre e conflitti tra vicini, la lettura dei libri è “un esercizio libero e umile della propria razionalità” e utile al “riconoscimento fecondo del pluralismo dei linguaggi umani”. Secondo lei da dove partire per provare a mettere tra le mani ai giovani, ma anche agli adulti, libri anziché smartphone?
«Abbiamo bisogno di passioni incarnate. Il docente non dovrebbe limitarsi ad assegnare, come semplice compito scolastico, un libro da leggere, uguale per tutta la classe. Prima bisogna conoscere gli studenti, comprendere i loro desideri profondi, quello che Sant’Agostino definiva il maestro interiore, poi consigliare un testo adatto alla sensibilità, al carattere di ognuno».
«Leggere fa bene nei momenti di stanchezza, di rabbia, di delusione, di fallimento, e quando neanche nella preghiera riusciamo a trovare ancora la quiete dell’anima», scrive ancora il Pontefice. Cosa le suscita quel “passo oltre” che secondo il pontefice la lettura può compiere nell’anima di ognuno, andando anche più a fondo della preghiera?
«Se consideriamo la preghiera come una domanda che reca in sé la possibile risposta, direi che nella lettura entrano in gioco gli stessi meccanismi spirituali. Quando il Papa accenna al ‘discernimento’ che ogni testo dovrebbe provocare nell’animo del lettore, in fondo pensa a questo».
Il Pontefice avverte anche che non bisogna «leggere qualcosa per obbligo», semmai si devono selezionare le proprie letture «con apertura, sorpresa, flessibilità». Il riferimento è alla scuola: è d’accordo nel far sentire ai più giovani la necessità di leggere, più che imporla come dovere? Magari anche attraverso linguaggi lettarari come quello degli albi illustrati o dei fumetti?
«Questo è il punto che più di tutti mi trova d’accordo. La lettura non dovrebbe essere imposta. Dovremmo creare le condizioni affinché essa avvenga, con un lavoro di preparazione da fare insieme allo scolaro. A parte rari casi, il lettore non esiste in natura, è necessario crearlo. Prima bisogna suscitare l’interesse del ragazzo, in modo che poi lui possa ‘personalizzare’ l’esperienza della lettura. Su questo aspetto la lettera del Papa è molto innovativa».
Il Papa parla del «potere empatico dell’immaginazione, attraverso cui scopriamo che ciò che sentiamo non è soltanto nostro, è universale, e così anche la persona più abbandonata non si sente sola». Perché secondo lei i libri hanno questa forza di aprire nuovi spazi interiori, arricchiscono, aiutano ad affrontare la vita e a capire l’altro?
«È questo il potere della letteratura: farci scoprire la vita intensa, senza precetti o formule, bensì attivando le nostre capacità cognitive: fantastiche e razionali. Leggi Guerra e pace e, dopo averlo fatto, non sei più la persona che eri prima. A parere di alcuni un’esperienza così forte della letteratura oggi sembra essere ostacolata dalla rivoluzione digitale, ma secondo me un buon maestro potrebbe utilizzare le nuove tecnologie in modo tale da renderla ancora più potente e formativa».