Che cosa cercano, dunque? I 50mila (e passa) adolescenti che hanno aderito sinora alla proposta di incontrare il Papa in piazza San Pietro il Lunedì dell’Angelo sono una sorpresa per tutti, forse anche per sé stessi. Quand’era partita l’idea di invitarli a un pomeriggio di dialogo, preghiera e festa insieme al Santo Padre, la previsione arrivava a meno della metà della cifra che ora è in mano agli organizzatori del Servizio Cei per la Pastorale giovanile. E l’ipoteca psicologica era ‘solo’ la pandemia… Conosciamo purtroppo bene cos’altro si è aggiunto a tirare il freno, a ogni età, a sogni e progetti collettivi.
Ora però sappiamo che quando Francesco entrerà nella piazza gremita come da molto tempo non si vedeva, ad accoglierlo non sarà uno sparuto applauso, ma un boato di gioia, malgrado la tristezza del tempo che viviamo. Impensabile, incredibile. Ma tutto vero. Cosa cercano questi ragazzi e queste ragazze? E cosa non abbiamo sinora compreso di una generazione nomade – la credi in un punto, inquadrata dalle nostre categorie adulte, e invece è già altrove – che in una sua parte non trascurabile sta per mettersi in spalla uno zaino di aspettative e desideri affidati a un viaggio a Roma? E quale segno arriva agli educatori, cioè alle famiglie, alla scuola, alle parrocchie? Perché è davanti a un segno che ci troviamo, ed è bene coglierlo. Per la società, è una svolta: i ragazzi sembravano diventati tutti invisibili ai radar, con una libertà confinata ai soli riti della movida e del disimpegno. Ma non è così, o almeno non è solo così. Per le famiglie, è un messaggio: pareva che proporre esperienze capaci di allargare lo sguardo oltre l’orizzonte individuale fosse più o meno tempo perso. Ma non è così. Ed è un segno anche per la Chiesa, di più, un germoglio di tempi nuovi che si annunciano ben oltre le previsioni di ripiegamento e di decrescente attrattiva del Vangelo tra chi tesserà il mondo di domani. Si credeva che col passare delle generazioni la proposta cristiana trovasse un terreno solo sassoso. Ma non è così. C’è, come sempre (e un po’ di più), lavoro da fare. Della ‘gente di poca fede’ descritta dalle analisi sociologiche fa più parte certo amaro scetticismo piuttosto che il cuore giovane in cerca, anche tumultuosa, di una compagnia affidabile per le proprie grandi domande, proporzionate all’enormità delle sfide attuali. Domande sul mondo dopo la pandemia. Sulle relazioni che ha senso coltivare quando tutto si fa incerto. Sulla risposta umana alla crisi climatica e alla guerra «ripugnante» sulla quale il solo Francesco pare avere parole adeguate alla portata di ciò che lacera le coscienze, di ragazzi e adulti. Forse, le categorie con le quali pensavamo di aver compreso gli adolescenti sono inadeguate. Forse, il solo approccio onesto è mettersi in ascolto.
Già sappiamo che tra liceo e primi anni dell’università c’è un’umanità giovane che è la componente sociale più interiormente provata dai due anni di emergenza Covid. Quante volte i figli ce lo hanno fatto capire: questi due anni a loro – che li hanno ‘persi’ tra lockdown, Dad e vincoli soffocanti all’esplorazione della vita – pesano infinitamente più che a noi che contiamo ormai i decenni. Notizie e immagini angosciose che ora piovono dall’Ucraina fanno pensare che – assieme alle crisi ecologica e pandemica – gli sta toccando una prova che noi genitori non abbiamo conosciuto, allargando una distanza che l’era digitale aveva già reso amplissima, quasi che non una ma tre generazioni passassero tra loro e noi.
Visto che non è più tempo di mobilitazioni ‘facili’ per raduni a sfondo religioso, occorre mettere da parte quel che in troppi si pensava di aver capito. E accogliere questo vento di primavera. «#seguimi» è la parola chiave per l’incontro di Pasquetta col Papa, con l’hashtag a far da targa generazionale. Disponiamoci noi a seguirli: perché c’è molto da imparare.