Trenta premi Nobel riuniti insieme «per promuovere la pace e la giustizia tra i popoli»: un «segno di speranza per il mondo» lo ha definito il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, aprendo stamane l’incontro, nel Palazzo romano della Cancelleria, e dando inizio così al Meeting mondiale sulla fraternità umana dal titolo «Not alone» (#notalone), promosso dalla Fondazione Fratelli tutti.
Quello dei premi Nobel è stato il primo dei cinque gruppi di lavoro che si sono riuniti al mattino. Nel pomeriggio si tiene in piazza San Pietro l’evento finale del Meeting, che viene trasmesso in mondovisione sui media Vaticani e su Rai 1 e in streaming sulle piattaforme social della Fondazione Fratelli tutti. Vi partecipano personalità della scienza, della cultura, della società e dell’associazionismo internazionale, insieme a numerosi artisti, e in collegamento con otto piazze di tutto il mondo.
Rivolgendosi ai premi Nobel, il segretario di Stato ha sottolineato che nell’incontro si ritrova «la ricchezza di differenze e di esperienze, di cui ciascuno è portatore, per testimoniare ciò che unisce la nostra umanità e ci permette di riconoscerci fratelli tutti, come il Santo Padre Francesco insegna con il suo magistero».
Infatti, ha aggiunto, «operare con spirito di fraternità è una responsabilità cui non può sottrarsi chi è chiamato ad animare la cultura delle relazioni internazionali». In effetti, molti premi Nobel, attraverso «scelte e gesti compiuti in aree di conflitto, dimostrano con l’esempio della vita che nell’interruzione del dialogo i rapporti degenerano e che la fraternità che unisce è più forte del dolore che divide». Molti possono testimoniare «come tessere la paziente trama del dialogo sia faticoso, spesso tortuoso e non di rado inappagante», ma è quanto di più «nobile vi sia per il bene della comunità umana, sia a livello locale che internazionale».
Il porporato ha poi evidenziato che la ricerca della cooperazione tra Paesi, «l’affermazione del primato del diritto sulla forza, l’impegno per uno sviluppo umano integrale e per un’economia a misura delle aspirazioni di giustizia di tutti i popoli» costituiscono le molteplici espressioni di una «dedizione che ci spinge a lavorare senza sosta affinché nessuna donna e nessun uomo sulla Terra possano essere o sentirsi esclusi dalla famiglia umana».
Su questa strada ardua «ma ineludibile», ha detto ancora Parolin, getta luce l’enciclica Fratelli tutti, «sostenendoci nel proposito di muovere i nostri passi verso l’amicizia sociale tra i popoli e la ricomposizione dei conflitti, a partire dalla forza vitale, e solo apparentemente inerme, dell’incontro e del dialogo».
Proprio in tal senso, l’esperienza dell’incontro fraterno si propone «di prenderci per mano e portarci a comprendere le posizioni di chi non la pensa come noi», per poi aprire, nella reciprocità, «le porte alla speranza di condividere una direzione cui l’umanità possa tendere insieme, avendo cura di misurare il passo affinché nessuno che cerchi un cammino comune sia lasciato indietro». Questa sollecitudine «solidale e sussidiaria, per lo più silenziosa, parte dalla persona» per abbracciare «la dimensione familiare, quella sociale e delle nazioni, fino ad arrivare alla comunità internazionale».
In altre occasioni, il segretario di Stato aveva ribadito come il definirsi fratelli e il fare dell’amicizia sociale un ideale da perseguire probabilmente non basti. Allo stesso modo, «le relazioni internazionali non esauriscono il proprio fine nella pace intesa come assenza di guerra né nella sicurezza, nello sviluppo o nel rispetto teorico dei diritti fondamentali». Mentre l’azione diplomatica deve essere «potenziata nel ruolo degli organismi multilaterali, e questa è davvero una priorità nell’attuale orizzonte internazionale — ha sottolineato il cardinale —, credo sia imprescindibile, come primo passo, ritornare al significato che il Santo Padre riconosce alla fraternità» quando la propone come «fondamento effettivo, che sta al cuore delle agende internazionali». Il porporato ha fatto riferimento alla vocazione universale che si realizza «in concreto a cominciare da ciascuno». Da qui il cuore della motivazione: «la chiamata all’impegno di una prossimità da coltivare in prima persona, facendosene testimoni nei diversi terreni della vita, come semi che lentamente crescono, germogliano e portano frutto insieme, anche se all’esterno stagioni di aridità continuano ad alternarsi a uragani e bufere».
Oggi più di ieri, ha osservato il segretario di Stato, «nel mondo rapido e complesso che abitiamo, tanto globalizzato quanto inquinato», tutto si presenta «connesso e interdipendente, e questa è una ragione in più per confrontarci, allargare lo sguardo e unire le forze». Lo richiede «la causa della pace, lo richiede l’urgenza di uno sviluppo meno ingiusto e più integrale, lo richiede la casa che tutti abitiamo». Tutte le crisi che oggi il mondo attraversa, infatti, «siano esse geo-politiche, occupazionali, climatiche, sociali», sono accomunate dalla «necessità di cooperare per il bene comune, costruendo rapporti, regole e istituzioni in grado di guardare oltre gli interessi individuali». Esse «postulano, per così dire, una “ecologia della fraternità umana”».
Infine, rivolgendosi ai premi Nobel, Parolin ha evidenziato come la loro storia e il loro impegno testimonino che ciò è possibile. Confermando al mondo, in molti e diversi modi, che «nessuno si salva da solo», come afferma Papa Francesco nell’enciclica Fratelli tutti. La loro presenza all’incontro rende evidente che «la rassegnazione agli egoismi, personali e di sistema, si può superare e che, anzi, va superata». Il segretario di Stato ha concluso auspicando che in ognuna delle lingue rappresentate l’incontro «faccia echeggiare il suono della parola speranza». Una speranza di cui il mondo «è assetato, una speranza che sia concreta, una speranza che sia “audace”».
Voci in difesa della pace
Il mondo sta andando verso una direzione non giusta, perché è costruito su una “filosofia” sbagliata: fare soldi, infatti, è diventato l’unico obiettivo della vita umana. È la denuncia del bengalese Muhammad Yunus — che vinse il premio Nobel per la pace nel 2006 — raccolta questa mattina dai media vaticani durante l’incontro che ha aperto il Meeting mondiale sulla fraternità umana.
Yunus afferma che occorre costruire una civiltà basata sui valori, non sull’avidità e sull’accumulo di ricchezza. Si deve riprogettare la società sulla base della condivisione e della cura, per costruire la fraternità umana. È necessario, infatti, ripensare e andare in una direzione diversa. E in questo senso, il ruolo della Santa Sede e del Pontefice può essere molto incisivo.
Anche la yemenita Tawakkul Karman, premio Nobel per la pace 2011, sottolinea che è dovere di tutti sostenere e lavorare per la fraternità umana. Karman spiega che si dovrebbe dare un significato ben preciso alla pace: quello di stare insieme, lavorare insieme, sostenersi a vicenda. E questa è una grande responsabilità per quanti sono difensori dei diritti umani, affinché facciano sentire forte le loro voci in difesa di quelle persone che vivono sotto i regimi repressivi e autoritari.
Gli fa eco il colombiano, Juan Manuel Santos, premio Nobel per la pace nel 2016, il quale evidenzia che fare appello alla fratellanza e al dialogo costruttivo sia di grande attualità. La speranza è che i leader mondiali dei Paesi inizino a dialogare e a cooperare invece di competere per il potere, perché questo è l’unico modo per risolvere i problemi.
Da parte sua, il costaricano Oscar Arias Sánchez, che ha vinto il Nobel per la pace nel 1987, osserva che si stanno vivendo tempi difficili a causa dei molti conflitti in corso. Per questo ribadisce che la pace è necessaria e occorre dedicarvi più tempo e più risorse per edificarla.