Ti scrivo anch’io una lettera, caro fratello Vescovo; e magari fossi capace di ricambiarti con il fuoco delle tue lettere, di cui è composto questo tuo libro: un libro che vorrei diventasse un rogo, almeno un piccolo rogo che si accenda nel cuore di molti lettori e che irrompa dal cuore della Chiesa.
Ricorro anch’io alla forma di lettera, per bruciare tutte le distanze, per sollevarmi di tutti gli ingombri; e liberare anche voi vescovi dal vostro isolamento e dalla vostra solitudine; come appunto tu sei riuscito a fare: voi vescovi, pur tutti fratelli e padri, quasi tutti così lontani e soli!
Ti scrivo così perché voglio anch’io godere, e far godere i lettori – che mi auguro siano molti – della freschezza di queste pagine; per condividere con tutti la gioia degli aperti e franchi colloqui con i tuoi fedeli e figli, e amici: godere di questo tuo stato di confidenza, nell’immediatezza del luminoso cuore che parla; godere quanto tu godi nel sentirti fratello specialmente dell’umile gente; fratello di poveri che chiami sempre per nome, uno ad uno; come si chiama per nome un Altro – Lui solo! –; come Cristo chiama per nome una a una le sue pecorelle, il pastore buono pronto a dare anche la sua vita per esse. Gioia rara per tutti: perché di gente che ama in concreto, individualmente e nel modo giusto, come tu vuoi che si avveri, perché la stessa verità cristiana sia vera, e cioè nel modo pieno della condivisione; di gente simile, ripeto, ce n’è poca; o comunque troppo poca, anche nella Chiesa.
E insieme alla gioia condividere, con lo stesso empito della tua fede, il dolore e la vergogna, e i rimorsi per tutte le cose amare che denunci; per i drammi che descrivi, le solitudini e le disperazioni che ti distruggono dal di dentro, e ti assediano fino a far di te il Vescovo più braccato tanto dalla verità in cui credi quanto dalle condizioni così disumane in cui devi operare come padre di questi disgraziati fratelli che sono prima i poveri tuoi, della tua Chiesa, poi i poveri di tutte le Chiese, i poveri del mondo. Perché, non c’è nulla da fare, siamo tutti una umanità sola; e non ci può essere né Natale, né Pasqua, né Pentecoste, se non c’è per tutti un Natale vero e una Pasqua vera e una Pentecoste ancora più vera. E ciò è appena una parte del messaggio che tu affidi a queste tue infuocate lettere.
Grazie dunque del tuo coraggio; grazie delle cose e del modo in cui ci parli: questo stile che usiamo anche nella preghiera, nel dialogo con Dio; uno stile che ci rende più sinceri e umani.
Grazie per questo tuo incedere nel fiume della vita, a mani distese, a sentimenti dispiegati come bandiere; e nel contempo, con nulla di forzato, nulla di retorico; ma tutto fluisce allo stato spontaneo, come io penso fluiva il sangue dal costato aperto di Cristo; come dev’essere fluito il pianto dal cuore della Madre che sappiamo immagine vivente della Chiesa. E allora, non dovrebbe essere questo il sangue e il pianto che continuano a sgorgare dal cuore della stessa Chiesa?
Caro fratello Vescovo, vorrei quasi dirti paradossalmente: non inoltrarti troppo su queste strade di poveri. Vedrai quanto avrai da soffrire! Prima, perché i poveri quando sono presi tutti insieme, quando sono tanti, fanno veramente paura; ti producono dentro un ‘angoscia da cui non guarisci più. Poi, perché vedrai la gente come ti parlerà dietro, come ti farà l’anima a brani; quanti ti diranno di non esagerare, di essere prudente, di non lasciarti ingannare.
Ti grideranno di essere prudente, di non lasciarti ingannare.
Ti grideranno dietro: «Tanto più che sei Vescovo!»; rovesciando precisamente al completo la prima e fondamentale verità, perché così dovrebbe essere: «Proprio perché sei Vescovo!». E gli stessi tuoi confratelli, quasi tutti, ti giudicheranno un esaltato; la stessa gerarchia – quasi al completo! – sentirà il dovere di richiamarti, se non anche di isolarti, per la solita necessaria invocatissima prudenza eccetera.
A questo punto io sarei tentato di fermarmi, caro Don Tonino, ma ti chiedo ancora un po’ di pazienza: di lasciarmi dire ancora un grazie molto più importante: per il modo con cui sei riuscito a stabilire il continuo confronto tra realtà e fede, tra verità e realtà; sempre in virtù di quella tua passione di voler essere uomo e cristiano: quel tuo avvertire lo scontro continuo, feriale, anche dentro gli ori del Natale e della Pasqua; uno scontro che cresce di violenza fino a scorticarti. E allora che appare il tuo sogno (che poi è il sogno di Dio; sogno che invece noi chiamiamo utopia): il sogno di vedere la verità farsi realtà; una identità che è reale almeno nella vita vissuta del Cristo; e tale dunque dovrebbe essere anche la nostra vita, poiché tale è la idealità che predichiamo, il senso e i contenuti della stessa fede. Perciò Cristo, almeno lui, ha potuto dire di se stesso: «Io sono la verità».
La verità è una vita e non una teoria. Tra la realtà di Cristo e la realtà del mondo non ci deve essere né dualismo né contrapposizione. Cioè la realtà cristiana dovrebbe essere la stessa realtà dei poveri, divenuta una cosa sola: è quel momento, quella vita, e non un’altra. Diversamente non avrebbe nulla di reale; come per natura non ha niente a che fare con la cosiddetta cultura cristiana, con la cosiddetta civiltà cristiana; perfino può non aver nulla a che fare, sotto molti aspetti, con la stessa cristianità. Come dire: Cristo è là, da quella parte! Dio è di là; sia pure in attesa di abbracciare tutti, senza esclusione di nessuno. Di là, ad attenderci a quelle condizioni! E la croce è il trono da cui ci invita, con le braccia allargate sul mondo; ad accoglierci, se passati finalmente anche noi da quella parte. Diversamente non ci stiamo! E dirci perfino cristiani sarebbe un ‘illusione. Non per nulla, oltre che verità, Cristo dice di essere anche la via e la vita. Il merito di queste tue lettere, caro don Tonino, è di aver bruciato ogni pregiudizio in fatto di divisioni ideologiche; come del resto deve fare una fede che si rispetti: il merito di avere annullato, oltre che le astrattezze, anche le solite nostre distanze fra verità e vita; e di avere proclamato che la comunione di Cristo col mondo dei poveri è l’unico spazio umano, lo spazio dove avviene la sua unica vera incarnazione; la «comunione», che poi significa unica salvezza possibile. E perciò il realizzarsi dell’unica «ecclesia» credibile.
Di altre cose dovrei ringraziarti: del fatto che ti firmi sempre, alla fine di ogni lettera, don Tonino Vescovo; cosa che vorrei fosse mantenuta, proprio a ogni pagina, nella stessa pubblicazione: è come stringerti la mano, come rinnovare a ogni pagina la bellezza di sentirti amico. Vorrei ringraziarti perché «non benedici mai», ma dici bene di tutti i poveri; perché finalmente sei un Vescovo che non ama «la letteratura edificante»; perché a ogni pagina riesci a folgorarci sulle nostre banalità e a scuoterci dalle nostre distrazioni, dal «belvedere delle nostre contemplazioni panoramiche»; e ci inviti a «metterci in ascolto del futuro»; dopo aver denunciato «la croce che pende dal collo, ma non sulle nostre scelte»: e poi, per tutto il resto che il lettore sarà certo più bravo di me a scoprire.
Per finire, ora mi basta aggiungere un particolare: grazie come parli della pace; di ciò che dici della pace come cammino: un vero manifesto! Grazie per come proponi di intrecciare la Trinità con la nostra vita. Anch’io sento che questo mistero deve farsi fonte di luce per tutta la nostra predicazione: se vogliamo ritornare all’essenziale! Infatti io temo di quelli che credono solo in Dio! Mentre godo con tutti coloro che credono in Dio-Padre…
David Maria Turoldo