Assegnare alcune competenze, circa disposizioni codiciali volte a garantire l’unità della disciplina della Chiesa universale, alla potestà esecutiva delle Chiese e delle istituzioni ecclesiali locali, corrisponde alla dinamica ecclesiale della comunione e valorizza la prossimità. Un salutare decentramento non può che favorire tale dinamica, senza pregiudicarne la dimensione gerarchica.
Pertanto, tenendo presente la cultura ecclesiale e la mentalità giuridica propria di ciascun Codice, ho ritenuto conveniente apportare cambiamenti alla normativa finora vigente circa alcune specifiche materie, attribuendo le rispettive competenze. Si intende così innanzitutto favorire il senso della collegialità e della responsabilità pastorale dei Vescovi, diocesani/eparchiali o riuniti in Conferenze episcopali o secondo le Strutture gerarchiche orientali, nonché dei Superiori maggiori, e inoltre assecondare i principi di razionalità, efficacia ed efficienza.
In tali modifiche normative si rispecchia ancor più l’universalità condivisa e plurale della Chiesa, che comprende le differenze senza omologarle, con la garanzia, per quanto riguarda l’unità, del ministero del Vescovo di Roma. Nel contempo si incoraggia una più rapida efficacia dell’azione pastorale di governo da parte dell’autorità locale, agevolata anche dalla sua stessa prossimità alle persone e alle situazioni che la richiedono.
Tutto ciò considerato, dispongo ora quanto segue:
Art. 1
Il can. 237 § 2 CIC circa l’erezione di un seminario interdiocesano e i propri statuti sostituisce il termine approvazione con il termine conferma risultando così formulato:
§ 2. Non si eriga un seminario interdiocesano se prima non è stata ottenuta la conferma della Sede Apostolica, sia in ordine alla erezione del seminario, sia in ordine ai suoi statuti: da parte della Conferenza Episcopale, se si tratta di un seminario per tutto il territorio corrispondente, altrimenti da parte dei Vescovi interessati.
Art. 2
Il can. 242 § 1 CIC circa la Ratio di formazione sacerdotale emanata dalla Conferenza episcopale sostituisce il termine approvata con il termine confermata risultando così formulato:
§ 1. In ogni nazione vi sia una Ratio di formazione sacerdotale, emanata dalla Conferenza Episcopale sulla base delle norme fissate dalla suprema autorità della Chiesa e confermata dalla Santa Sede, adattabile alle nuove situazioni con una nuova confermazione della Santa Sede; in essa vengono definiti i principi essenziali e le norme generali della formazione seminaristica, adattate alle necessità pastorali di ogni regione o provincia.
Art. 3
Il testo del can. 265 CIC circa l’istituto dell’incardinazione aggiunge alle strutture atte ad incardinare chierici anche quella delle Associazioni pubbliche clericali che abbiano ottenuto dalla Sede Apostolica tale facoltà, armonizzandosi in tal modo con il can. 357 § 1 CCEO. Risulta così formulato:
Ogni chierico deve essere incardinato o in una Chiesa particolare o in una Prelatura personale oppure in un istituto di vita consacrata o in una società che ne abbia la facoltà, o anche in una Associazione pubblica clericale che abbia ottenuto tale facoltà dalla Sede Apostolica, in modo che non siano assolutamente ammessi chierici acefali o girovaghi.
Art. 4
Il can. 604 CIC circa l’ordine delle vergini e il loro diritto di associarsi include un nuovo paragrafo così formulato:
§ 3. Il riconoscimento e l’erezione di tali associazioni a livello diocesano compete al Vescovo diocesano, nell’ambito del suo territorio, a livello nazionale compete alla Conferenza episcopale, nell’ambito del proprio territorio.
Art. 5
Il can. 686 § 1 CIC e il can. 489 § 2 CCEO circa la concessione, per causa grave, ad un professo perpetuo dell’indulto di esclaustrazione, estendono a cinque anni il limite del periodo di tempo, oltre ai quali la competenza per una proroga o una concessione è riservata alla Santa Sede o al Vescovo diocesano, risultando così formulati:
CIC – 686 § 1: Il Moderatore supremo, col consenso del suo consiglio, per grave causa può concedere ad un professo perpetuo l’indulto di esclaustrazione, tuttavia per non più di cinque anni, previo consenso dell’Ordinario del luogo in cui dovrà dimorare se si tratta di un chierico. Una proroga dell’indulto, o una concessione superiore a cinque anni, è riservata unicamente alla Santa Sede, oppure al Vescovo diocesano se si tratta di istituti di diritto diocesano.
CCEO – Can. 489 § 2: Il Vescovo eparchiale non può concedere questo indulto se non per un quinquennio.
Art. 6
Il can. 688 § 2 CIC e i cann. 496 §§ 1-2 e 546 § 2 CCEO, inerenti il professo temporaneo che per grave causa chiede di lasciare l’istituto, assegnano la competenza del relativo indulto al Moderatore supremo con il consenso del suo consiglio, sia che si tratti, per il codice latino, di istituto di diritto pontificio, o di istituto di diritto diocesano, oppure di un monastero sui iuris; sia che si tratti, per il codice orientale, di un monastero sui iuris, o di un ordine, oppure di una congregazione.
Pertanto, il § 2 del can. 496 CCEO viene soppresso e gli altri canoni risultano così formulati:
CIC – Can. 688 § 2: Chi durante la professione temporanea per grave causa chiede di lasciare l’istituto può ottenere il relativo indulto dal Moderatore supremo col consenso del suo consiglio; per un monastero sui iuris, di cui al can. 615, l’indulto, per essere valido, deve essere confermato dal Vescovo della casa di assegnazione.
CCEO – Can. 496: Colui che durante la professione temporanea per una grave causa vuole separarsi dal monastero e ritornare alla vita secolare, presenti la sua domanda al Superiore del monastero sui iuris, il quale con il consenso del suo consiglio concede l’indulto, a meno che il diritto particolare non riservi ciò al Patriarca per i monasteri situati entro i confini del territorio della Chiesa patriarcale.
CCEO – Can. 546 § 2: Colui che durante i voti temporanei chiede per una grave causa di lasciare l’ordine o la congregazione, può ottenere l’indulto di separarsi definitivamente dall’ordine o dalla congregazione dal Superiore generale col consenso del suo consiglio e ritornare alla vita secolare con gli effetti di cui nel can. 493.
Art. 7
I cann. 699 § 2, 700 CIC e i cann. 499, 501 § 2, 552 § 1 CCEO vengono modificati, per cui il decreto di dimissione dall’istituto, per causa grave, di un professo temporaneo o perpetuo ha effetto fin dal momento in cui il decreto emesso dal Moderatore supremo con il consenso del suo consiglio viene notificato all’interessato, fermo restando il diritto di appello del religioso. Pertanto, i testi dei rispettivi canoni vengono modificati e risultano così formulati:
CIC – 699 § 2: Nei monasteri sui iuris, di cui al can. 615, la decisione circa la dimissione di un professo compete al Superiore maggiore con il consenso del suo consiglio.
CIC – Can. 700: Il decreto di dimissione emesso nei confronti di un professo ha vigore nel momento in cui viene notificato all’interessato. Il decreto tuttavia per avere valore, deve indicare il diritto, di cui gode il religioso dimesso, di ricorrere all’autorità competente entro dieci giorni dalla ricezione della notifica. Il ricorso ha effetto sospensivo.
CCEO – Can. 499: Mentre dura la professione temporanea, un membro può essere dimesso dal Superiore del monastero sui iuris col consenso del suo consiglio secondo il can. 552, §§ 2 e 3; ma perché la dimissione sia valida dev’essere confermata dal Patriarca, se il diritto particolare così prevede per i monasteri situati entro i confini del territorio della Chiesa patriarcale.
CCEO – Can. 501 § 2: Contro il decreto di dimissione, però, il membro può sia interporre ricorso entro quindici giorni con effetto sospensivo, sia postulare che la causa sia trattata per via giudiziaria.
CCEO – Can. 552 § 1: Un membro di voti temporanei può essere dimesso dal Superiore generale col consenso del suo consiglio.
Art. 8
Il can. 775 § 2 CIC circa la pubblicazione di catechismi per il proprio territorio da parte della Conferenza episcopale sostituisce il termine approvazione con il termine conferma risultando così formulato:
§ 2. Spetta alla Conferenza Episcopale, se pare utile, curare che vengano pubblicati catechismi per il proprio territorio, previa conferma della Sede Apostolica.
Art. 9
Il can. 1308 CIC e il can. 1052 CCEO circa la riduzione degli oneri delle Messe modificano la competenza risultando così formulati:
CIC – Can. 1308 § 1: La riduzione degli oneri delle Messe, da farsi soltanto per causa giusta e necessaria, è riservata al Vescovo diocesano e al Moderatore supremo di un istituto di vita consacrata o di una società di vita apostolica clericali.
§ 2. Il Vescovo diocesano ha la facoltà di ridurre a causa della diminuzione dei redditi e fintantoché tale causa perduri, le Messe dei legati che sono autonomi, secondo l’elemosina legittimamente vigente in diocesi, purché non vi sia persona obbligata e che possa essere efficacemente coatta a provvedere all’aumento dell’elemosina.
§ 3. Al medesimo compete la facoltà di ridurre gli oneri o legati di Messe che gravano su istituti ecclesiastici, se i redditi siano diventati insufficienti a conseguire convenientemente le finalità proprie dell’istituto ecclesiastico stesso.
§ 4. Ha le stesse facoltà di cui ai §§ 2 e 3 il Moderatore supremo di un istituto di vita consacrata o di una società di vita apostolica clericali.
CCEO – Can. 1052 § 1: La riduzione degli oneri di celebrare la Divina Liturgia è riservata al Vescovo eparchiale e al Superiore maggiore degli istituti religiosi o delle società di vita comune a guisa dei religiosi, che siano clericali.
§ 2. Al Vescovo eparchiale compete la potestà di ridurre, a causa della diminuzione dei redditi, finché perdura la causa, nella misura delle offerte che sono legittimamente in vigore nell’eparchia, il numero delle celebrazioni della Divina Liturgia, purché non vi sia nessuno che ha l’obbligo e che può essere efficacemente costretto a provvedere all’aumento delle offerte.
§ 3. Al Vescovo eparchiale compete anche la potestà di ridurre gli oneri di celebrare la Divina Liturgia, che gravano su istituti ecclesiastici, se i redditi sono diventati insufficienti a conseguire quelle finalità che, al tempo dell’accettazione degli oneri, potevano essere raggiunte.
§ 4. Le potestà di cui nei §§ 2 e 3, le hanno anche i Superiori generali degli istituti religiosi o delle società di vita comune a guisa dei religiosi, che siano clericali.
§ 5. Le potestà di cui nei §§ 2 e 3, il Vescovo eparchiale le può delegare soltanto al vescovo coadiutore, al vescovo ausiliare, al Protosincello e ai Sincelli, esclusa ogni suddelegazione.
Art. 10
Il can. 1310 CIC e il 1054 CCEO circa gli oneri annessi alle cause pie e alle pie fondazioni modificano la competenza e risultano così formulati:
CIC – Can. 1310 – § 1: La riduzione, il contenimento e la permuta delle volontà dei fedeli a favore di cause pie possono essere attuate soltanto per causa giusta e necessaria dall’Ordinario, uditi gli interessati e il proprio consiglio per gli affari economici e rispettata nel miglior modo possibile la volontà del fondatore.
§ 2. Nei rimanenti casi si deve ricorrere alla Sede Apostolica.
CCEO – Can. 1054 § 1: La riduzione, il contenimento e la commutazione delle volontà dei fedeli cristiani che hanno donato o lasciato i loro beni per cause pie, possono essere fatte dal Gerarca soltanto per una causa giusta e necessaria, dopo aver consultato gli interessati e il consiglio competente, e rispettata nel modo migliore la volontà del fondatore.
§ 2. In tutti gli altri casi su questa cosa si deve ricorrere alla Sede Apostolica o al Patriarca che agirà col consenso del Sinodo permanente.
Quanto deliberato con questa Lettera Apostolica in forma di Motu Proprio, ordino che abbia fermo e stabile vigore, nonostante qualsiasi cosa contraria anche se degna di speciale menzione, e che sia promulgato tramite pubblicazione su L’Osservatore Romano, entrando in vigore il 15 febbraio 2022 e quindi pubblicato nel commentario ufficiale degli Acta Apostolicae Sedis.
Dato a Roma, presso San Pietro, il giorno 11 febbraio dell’anno 2022, Memoria della Beata Vergine Maria di Lourdes, nono di pontificato.
FRANCESCO