È ormai risaputo che il linguaggio non verbale riveste la parte più consistente della comunicazione e che solo una piccola percentuale è affidata alle parole. Secondo gli studiosi infatti la comunicazione non verbale, e in particolare quella legata al corpo e alla mimica facciale, ha un’influenza del 55%, mentre la comunicazione paraverbale, ossia il tono e il ritmo della voce, influisce per il 38%. Solo alla fine troviamo le parole, il contenuto verbale che – stando almeno agli studiosi – conta solo per il 7%. Dobbiamo quindi concludere che parliamo in mille modi, con il modo di vestire, con la scelta della macchina da comprare, con gli sguardi, con i silenzi e con i sorrisi. Tutto il nostro corpo e i nostri ambienti sono un linguaggio.
Se applichiamo queste considerazioni al nostro mondo ecclesiale ci rendiamo subito conto della discrepanza tra parole e realtà evocate soprattutto quando andiamo a scomodare categorie evangeliche quali l’amore e la prossimità. Per evitare di fare solo elucubrazioni generiche, basta considerare gli ambienti che utilizziamo per fare accoglienza o per organizzare una semplice riunione parrocchiale con i giovani. Ambienti per lo più asettici, spogli e anonimi che rimandano più alla sala d’attesa di una stazione ferroviaria piuttosto che una casa accogliente; o ambienti deposito e impolverati, dove puoi trovare i pastorelli del presepe accanto alle quinte della recita di fine Grest e magari l’incontro di formazione verte poi sull’ordine morale o sulla maturità delle scelte!
L’ambiente influisce moltissimo sulla comunicazione, può fungere da cassa di risonanza così come da cassa funebre. È interessante notare lo stile di Gesù per annunciare il Vangelo e i luoghi scelti da lui per raccontare le parabole o per annunciare il perdono o per istituire l’Eucarestia. Ambienti e situazioni sono sempre messi in correlazione e vengono evocate dal Signore come pretesto per l’annuncio della buona novella. Il Vangelo non è ideologia, è Parola fatta carne che viene ad abitare in un tempo e in una storia ben concreta. Il procedimento inverso, ossia la dis-incarnazione del messaggio, la concettualizzazione e la fredda analisi sono solo elementi che servono ad un certo sistema di pensiero.
Si tratta semplicemente di dare anima ai luoghi che abitiamo e di parlare a partire dagli ambienti che viviamo; il problema è se i nostri luoghi sono abitati realmente dalla totalità delle nostre persone o soltanto dai nostri corpi, mentre il nostro cuore sarebbe altrove o ancor peggio anestetizzato. Gli estremi sarebbero il troppo formalismo così come la sciatteria.
Per parlare di accoglienza dovremo creare ambienti accoglienti – anche quelli fisici fatte di mura, mobili e libri- e per parlare di amore dovremmo attivare ambienti relazionali che sappiano di umanità e di vita iniziando dall’offrire un caffè o un bicchiere d’acqua alle persone che ci vengono a trovare o che invitiamo per una riunione, evitando di invitarli a servirsi autonomamente al distributore automatico di alimenti e bevande con tanto di prezzo imposto (sicuramente scontato per carità)! Nessuno di noi si sognerebbe di invitare il proprio ospite a servirsi al bar più vicino per avere un bicchiere d’acqua, eppure molte nostre riunioni regionali e nazionali iniziano così! Per poi riflettere magari, nelle varie relazioni, sull’umanizzazione dei rapporti o sulla crisi di umanità.
Trovandomi a visitare molte case religiose, in occasione di predicazioni o corsi di aggiornamento vari, si capisce subito la crisi di speranza che abita molte comunità; lo si capisce dagli ambienti senza vita e senza cura, dai poster anni 90 con i vari slogan vocazionali dell’epoca appesi lungo i corridoi, scoloriti e con i vetri impolverati. Si capisce dalle pubblicazioni incellofanate e mai aperte. Non si tratta solo dell’età media molto alta e neanche di assoldare un interior designer che arredi meglio la struttura, si tratta invece di guardarci intorno con attenzione e renderci conto che parliamo di speranza e di vita abitando cimiteri. Come potrebbe un giovane essere attirato da un ambiente simile? Se, come dicevano i vecchi padri spirituali, la stanza è lo specchio dell’anima, ebbene allora le anime di buona parte dei nostri ambienti ecclesiali, sono messi davvero male!
Entrando nella Missione Speranza e Carità di fratel Biagio Conte, recentemente scomparso e in fama di santità, si capiva subito che l’accoglienza praticata in quel posto era reale. Si capiva dai filari di biancheria appesa tra i vari porticati della Casa e dall’odore di pane appena sfornato che quotidianamente viene impastato e cotto dagli stessi ospiti. Il ricordo invernale che ho di mia nonna è quello delle scorze di mandarini abbrustolite sopra la stufa a legna rovente che riscaldava profumando tutte le stanze. “Nonna ma perché lo fai?” – chiedevo incuriosito a mia nonna – “perché così a chi entra sembra che mangi i mandarini del giardino. È come mangiare ma attraverso il profumo”. Queste erano le sagge parole della mia anziana nonna che a stento sapeva leggere e scrivere e che però aveva la delicatezza di accoglierci a casa sua con il profumo dell’olio essenziale del mandarino. Una lezione di umanità per noi che sappiamo scrivere libri e che ci pensiamo formatori: non basta aprire le porte, non basta neanche dare solo da mangiare, occorre accogliere con la delicatezza e la fragranza del profumo!