Francesco a San Pietro celebra la Domenica della Parola di Dio e conferisce il ministero dell’accolitato e del catechista a undici fedeli provenienti da vari parti del mondo: «Mentre la società e i social accentuano la violenza delle parole, noi stringiamoci alla mitezza della Parola che salva». E invita i fedeli a portare sempre in tasca o in borsa un Vangelo: «Nelle case dove abitiamo ci saranno libri, giornali, televisori, telefoni, ma dov’è la Bibbia? Tanti credenti non hanno mai letto un Vangelo per intero»
Papa Francesco nella Basilica di San Pietro presiede la solenne celebrazione eucaristica nella quinta Domenica della Parola di Dio da lui istituita nel 2019 e fissata alla terza domenica del Tempo ordinario, a cavallo della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani che si celebra, ogni anno, dal 18 al 25 gennaio.
Il Pontefice durante l’omelia invita i fedeli presenti a chiedersi quale posto ognuno riserva «alla Parola di Dio nel luogo dove abita. Lì», rimarca, «ci saranno libri, giornali, televisori, telefoni, ma dov’è la Bibbia? Nella mia stanza, tengo il Vangelo a portata di mano? Lo leggo ogni giorno per ritrovarvi la rotta della vita? Tante volte ho consigliato di portare sempre il Vangelo con sé, in tasca, nella borsa, nel telefonino: se Cristo mi è caro più di ogni cosa, come posso lasciarlo a casa e non portare con me la sua Parola? E poi chiede se abbiamo mai letto «per intero almeno uno dei quattro Vangeli. Il Vangelo», sottolinea, «è il libro della vita, è semplice e breve, eppure tanti credenti non ne hanno mai letto uno dall’inizio alla fine».
Durante la Messa, papa Francesco ha conferito, com’è consuetudine in questa Giornata, il ministero del Lettorato a due persone provenienti da Giamaica e Brasile e quello del catechista a nove persone: due della Corea del Sud, due del Ciad, una di Trinidad e Tobago, una del Brasile, una della Bolivia e due dalla Germania.
Nell’omelia, Francesco prende spunto dalle letture del giorno, in particolare dall’esperienza di Giona e dei discepoli chiamati da Gesù, per dire che «la Parola attira a Dio e invia agli altri, ecco il suo dinamismo. Non ci lascia chiusi in noi stessi, ma dilata il cuore, fa invertire la rotta, ribalta le abitudini, apre scenari nuovi, dischiude orizzonti impensati». Un’azione che la «Parola di Dio desidera fare questo in ognuno di noi. Come per i primi discepoli, che accogliendo le parole di Gesù lasciano le reti e cominciano un’avventura stupenda, così anche sulle rive della nostra vita, accanto alle barche dei familiari e alle reti del lavoro, la Parola suscita la chiamata di Gesù. Egli ci chiama a prendere il largo con Lui per gli altri. Sì, la Parola suscita la missione, ci fa messaggeri e testimoni di Dio per un mondo pieno di parole, ma assetato di quella Parola che spesso ignora. La Chiesa vive di questo dinamismo: è chiamata da Cristo, attirata da Lui, ed è inviata nel mondo a testimoniarlo».
Francesco più volte sottolinea una caratteristica della Parola: la mitezza. Ricorda che «non possiamo fare a meno della Parola di Dio, della sua forza mite che, come in un dialogo, tocca il cuore, s’imprime nell’anima, la rinnova con la pace di Gesù, che rende inquieti per gli altri».
E passa in rassegna le esperienze di alcuni santi, «gli amici di Dio e testimoni del Vangelo nella storia», nella storia, guardando ai quali si vede chiaramente come «per tutti la Parola è stata decisiva». Il Papa cita il «primo monaco, Sant’Antonio, che, colpito da un passo del Vangelo mentre era a Messa, lasciò tutto per il Signore. Pensiamo», prosegue, «a Sant’Agostino, la cui vita svoltò quando una parola divina gli risanò il cuore; pensiamo a Santa Teresa di Gesù Bambino, che scoprì la sua vocazione leggendo le lettere di San Paolo. E penso al santo di cui porto il nome, Francesco d’Assisi, il quale, dopo aver pregato, legge nel Vangelo che Gesù invia i discepoli a predicare ed esclama: «”Questo voglio, questo chiedo, questo bramo di fare con tutto il cuore!”».
Tutte «vite cambiate dalla Parola di vita», rimarca. Ma perché, chiede il Pontefice, «per molti di noi non accade lo stesso? Forse perché», risponde, «come ci mostrano questi testimoni, bisogna non essere “sordi” alla Parola. È il nostro rischio: travolti da mille parole, ci lasciamo scivolare addosso pure la Parola di Dio: la sentiamo, ma non la ascoltiamo; la ascoltiamo, ma non la custodiamo; la custodiamo, ma non ci lasciamo provocare per cambiare. Soprattutto», spiega, «la leggiamo ma non la preghiamo, mentre “la lettura della sacra Scrittura dev’essere accompagnata dalla preghiera, affinché si stabilisca il dialogo tra Dio e l’uomo”».
Francesco invita a non dimenticare «le due dimensioni fondanti della preghiera cristiana: l’ascolto della Parola e l’adorazione del Signore». Poi, ancora una volta, l’invito pressante a fare «spazio alla Parola di Gesù pregata e accadrà per noi come ai primi discepoli» raccontati nel brano del Vangelo di oggi, «che ci riporta due gesti che scaturirono dalla Parola di Gesù: “lasciarono le reti e lo seguirono”».
Lasciarono che cosa?, chiede il Papa. «La barca e le reti, cioè la vita che avevano fatto fino a quel giorno. Tante volte fatichiamo a lasciare le nostre sicurezze, le nostre abitudini, perché rimaniamo impigliati in esse come i pesci nella rete. Ma chi sta a contatto con la Parola guarisce dai lacci del passato, perché la Parola viva reinterpreta la vita, risana anche la memoria ferita innestando il ricordo di Dio e delle sue opere per noi. La Scrittura ci fonda nel bene, ci ricorda chi siamo: figli di Dio salvati e amati».
I discepoli, dunque, lasciarono; e poi seguirono. Ossia, spiega il Papa, «dietro al Maestro fecero passi in avanti. Infatti la sua Parola, mentre libera dagli ingombri del passato e del presente, fa maturare nella verità e nella carità: ravviva il cuore, lo scuote, lo purifica dalle ipocrisie e lo riempie di speranza».