“47Ancora, il regno dei cieli è simile a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. 48Quando è piena, i pescatori la tirano a riva, si mettono a sedere, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. 49Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni 50e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti.
È la seconda volta nella stessa giornata che Gesù parla di un raccolto che avverrà alla fine dei tempi: la prima l’abbiamo avuta con l’esempio dei mietitori, del fatto che ci sarà una selezione tra grano e zizzania, di una fornace, di “pianto e stridore di denti”. Qui, nel secondo racconto, cambiano gli elementi, ma non il risultato anche se qualcosa di profondamente diverso c’è. Da sempre i commentatori hanno posto la parabola della rete in connessione a quella delle zizzanie, ma le azioni in cui le due si svolgono sono in altrettanti ambienti opposti: nel primo, il campo, abbiamo la Chiesa nella quale purtroppo si annidano seme e operatori estranei alla Parola di Dio e la inquinano; nel secondo, la rete, è raffigurato il mondo esterno, nel quale operano ogni sorta di elementi, positivi e negativi, utili e inutili.
Prima di fare le necessarie conclusioni, guardiamo i componenti del racconto a partire dalla “rete gettata nel mare” che non va intesa come una normale da pesca, ma del tipo a strascico: il greco “saghéne” indica infatti quella rete che veniva gettata nell’acqua a semicerchio e poi trainata dalle barche per i due capi fino a quando non si riempiva di ciò che riusciva a raccogliere, non solo di pesce. Nei versi in esame della nostra versione abbiamo una traduzione non proprio corretta, ma che piuttosto cerca di orientare il lettore costringendolo a fare riferimento alla parabola della zizzania cui è indubbiamente collegata. Il testo originale infatti non riporta “ogni genere di pesci”, ma semplicemente “(cose) di ogni genere” esattamente come i pescatori non “raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi”, ma “raccolgono le cose buone nelle loro ceste e buttano via ciò che non vale nulla”, quindi l’attenzione degli addetti non si concentra solo sulla selezione dei pesci commestibili o meno, ma anche su quanto viene raccolto nello strascico, che viene valutato per essere tenuto o gettato.
Da sottolineare la posizione dei pescatori che “si mettono a sedere” prima di operare, con la quale Gesù dà all’immagine un senso di calma, di lavoro di persone esperte, di gesti studiati e di conoscenza, attenzione e cura perché nulla deve andare sprecato: quelle persone cercano ciò che è utile e buttano via “ciò che non vale nulla”, quindi valutano elemento dopo elemento più che “i pesci cattivi”; il testo greco usa il termine “saprà”, cioè “ciò che è guasto, corrotto”. Credo che mettere assieme tutti questi dati contribuisca a dare un senso molto più ampio e completo alla parabola che altrimenti renderebbe un’idea, per quanto efficace, non altrettanto precisa.
Riassumendo: abbiamo la descrizione di un altro aspetto del regno dei cieli, di ciò che avverrà nel futuro, “alla fine del mondo”, non prima. Ci sarà un tempo, che vedremo tra breve per quanto possibile, in cui tutti gli uomini, qui paragonati ai pesci, verranno vagliati con tutte le loro azioni e verrà fatta una selezione accurata in mezzo a tutto quell’ammasso di esseri e cose rappresentato dalla parabola. Ancora oggi i pescatori di professione selezionano pesce per pesce e lo mettono in ceste in base alla loro specie, spesso mentre sono in mare. E buttano via tutto ciò che non vale nulla. L’uomo che oggi sente parlare di Cristo da persone che glielo presentano in base ai doni ricevuti, non pensa che gli viene offerta la possibilità di incontrarLo in salvezza anziché in giudizio: in quel momento può conoscere il Figlio dell’uomo “mansueto e umile di cuore” anziché l’entità di fronte alla quale l’apostolo Giovanni e altri profeti, abbagliati e spaventati dalla Sua potenza e santità quando la videro, ebbero dei mancamenti per lo spavento. E così sarebbero rimasti senza che una voce amica e amorevole li invitasse a rialzarsi e a non temere.
Abbiamo letto che Gesù disse “Così avverrà alla fine del mondo” e ho precisato “non prima” perché si tratta della fine dell’ambiente che conosciamo, la conclusione dell’esistenza della terra con l’universo che la circonda, fatto accennato dagli antichi profeti, ma che solo all’apostolo Giovanni fu concesso vedere nei dettagli per trasmetterne ai credenti le modalità. Qui occorre fare necessariamente riferimento al libro dell’Apocalisse, o Rivelazione, l’unico scritto con lo scopo preciso di “mostrare ai suoi servi le cose che dovranno accadere tra breve” (1.1). Ebbene la “fine del mondo”, anticipata da molte sette, Testimoni di Geova in particolare, che hanno voluto indicare più volte una data precisa dell’avvenimento poi chiaramente smentita dai fatti, arriverà dopo tutta una serie di eventi che avranno nel millennio un periodo di tregua tra la “gran tribolazione” e la fine del creato che conosciamo.
Chi è interessato ad intravedere gli eventi futuri, perché “Beato chi legge e beati coloro che ascoltano le parole di questa profezia e custodiscono le cose che vi sono scritte” (1.3), nonostante si trovi di fronte ad una lettura apparentemente ostica perché non scritta secondo una logica umana, trova abbastanza agevole individuare una linea temporale che parte dalla Chiesa primitiva per arrivare alla “fine del mondo” e alla creazione di uno nuovo, passando attraverso sette avvenimenti identificabili negli altrettanti sigilli, parte dei quali si sono già aperti, descritti nei capitoli 7 e 8. È fondamentale il fatto che quei sigilli siano a protezione del libro su cui sono scritti i nomi dei salvati e vengano tolti uno ad uno fino alla fine: “E vidi, nella mano destra di colui che sedeva sul trono, un libro scritto sul lato interno e su quello esterno, sigillato con sette sigilli. Vidi un angelo forte che proclamava a gran voce: «Chi è degno di aprire il libro e scioglierne i sigilli?». Ma nessuno, né in cielo, né in terra, né sotto terra, era in grado di aprire il libro e di guardarlo. Io piangevo molto, perché non fu trovato nessuno degno di aprire il libro e di guardarlo. Uno degli anziani mi disse «Non piangere; ha vinto il leone della tribù di Giuda, il Germoglio di Davide, e aprirà il libro e i suoi sette sigilli»” (5.1-5).
Identificato il libro ed il perché nessuno potesse aprirlo salvo l’Unico degno di farlo, è anche agevole riconoscere, nel corso della lettura, la presenza di una linea ascendente delle forze avverse alla Parola di Dio fino all’instaurazione di un impero mondiale che soffocherà qualunque rifiuto ad aderirvi anche solo formalmente: si tratta di quel richiamo all’impossibilità di comprare e vendere senza avere il “marchio della bestia” sulla fronte o sulla mano destra. Alla distruzione di quel sistema seguirà il periodo in cui Satana verrà incatenato dando inizio al “millennio”, cioè quel tempo in cui Gesù e i credenti regneranno sulla terra: “Poi vidi un angelo che scendeva dal cielo e che aveva la chiave dell’abisso e una gran catena in mano. Egli prese il dragone, il serpente antico, che è il diavolo e Satana, e lo legò per mille anni, poi lo gettò nell’abisso che chiuse e sigillò sopra di lui, perché non seducesse più le nazioni finché fossero compiuti mille anni, dopo i quali dovrà essere sciolto per poco tempo” (Apocalisse 20.1-3).
Ecco, sempre in questo libro si trovano anche i riferimenti alla mietitura e alla vendemmia, anch’essi da non confondere con la selezione finale. Tenendo presente la parabola della zizzania leggiamo 14.14,15: “Un altro angelo uscì dal tempio, gridando a gran voce a colui che era seduto sulla nube: «Getta la tua falce e mieti; è giunta l’ora di mietere, perché la messe della terra è matura». Allora colui che fu seduto sulla nube lanciò la sua falce sulla terra e la terra fu mietuta. Allora un altro angelo uscì dal tempio che è nel cielo, tenendo anch’egli una falce affilata. Un altro angelo, che ha potere sul fuoco, venne dall’altare e gridò a gran voce a quello che aveva la falce affilata: «Getta la tua falce affilata e vendemmia i grappoli della vigna della terra, perché le uve sono mature». L’angelo lanciò la sua falce sulla terra, vendemmiò la vigna della terra e rovesciò l’uva nel grande tino dell’ira di Dio”.
Queste immagini si riferiscono al rapimento della Chiesa, quando alla mietitura la zizzania non verrà raccolta, lasciando alla fine il gettarla nel fuoco, e sarà tenuto solo il grano. Lo stesso per la vendemmia, dove i credenti, in riferimento alla “vite” e ai “tralci”, verranno finalmente radunati e, con questo, cesserà la presenza dei giusti sulla terra per cui potranno avere luogo tutte le nefandezze della Bestia e i giudizi su di lei. Ricordiamo che la distruzione di Sodoma avvenne quando Lot e i suoi se ne andarono dalla città, non prima.
È un’immagine terribile quella che descrive Giovanni sulla sorte che seguiranno coloro che avranno aderito al sistema perverso della Bestia subito dopo la sua caduta: “Chi adora la bestia e la sua statua, e ne riceve il marchio sulla sua fronte o sulla mano, anch’egli berrà il vino dell’ira di Dio, che è versato puro nella coppa della sua ira, e sarà torturato con fuoco e zolfo al cospetto degli angeli santi e dell’Agnello. Il fumo del loro tormento salirà per i secoli dei secoli, e non avranno riposo né giorno né notte quanti adorano la bestia e la sua statua e chiunque riceve il marchio del suo nome” (14.9-11).
Un intermezzo necessario in questa brevissima panoramica sugli eventi futuri accennati da Gesù, è un’altra nota alla traduzione della parabola della rete: al verso 49 leggiamo “verranno gli angeli”, anche qui tradotto così per semplificare, essendo corretto “usciranno” anche perché l’uscita dei messaggeri va a collegarsi alla stessa azione compiuta in Apocalisse. Gesù stesso lo predisse: “E allora apparirà nel cielo il segno del Figlio dell’uomo e tutte le nazioni della terra faranno cordoglio e vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nuvole del cielo con potenza e grande gloria. Ed egli manderà i suoi angeli con un potente suono di tromba, ed essi raccoglieranno i suoi eletti dai quattro venti, da un’estremità dei cieli all’altra” (Matteo 24.30,31).
La nostra parabola però ci parla di separazione tra ciò che ha valore e ciò che è inutile e l’adempimento lo troviamo ancora in Apocalisse 20.11-14: “Poi vidi un gran trono bianco e colui che vi sedeva sopra, dalla cui presenza fuggirono il cielo e la terra, e non fu più trovato posto per loro. E vidi i morti, grandi e piccoli, che stavano ritti davanti a Dio, e i libri furono aperti; e fu aperto un altro libro, che è il libro della vita, e i morti furono giudicati in base alle cose scritte nei libri, secondo le loro opere. E il mare restituì i morti che erano in esso, la morte e l’Ades restituirono i morti che erano in loro, ed essi furono giudicati, ciascuno secondo le sue opere. Poi la morte e l’Ades furono gettati nello stagno di fuoco. Questa è la morte seconda. E se qualcuno non fu trovato scritto nel libro della vita, fu gettato nello stagno di fuoco”. Dopo di che, verrà “Un nuovo cielo e una nuova terra. perché il primo cielo e la prima terra erano passati, e il mare non c’era più” (21.1).
Ecco, visto per sommi capi, il piano di Dio per l’uomo che ha creduto in Lui. E, altrettanto per sommi capi, il destino che si saranno scelti quelli che lo avranno rifiutato: rinviando quando erano in vita l’incontro con Lui, non potranno comunque sottrarsi a quello in condanna. Gesù in questa parabola va direttamente alla selezione finale omettendo tutti quei passaggi intermedi che i discepoli non avrebbero potuto capire e che allora non erano necessari, come il rapimento della Chiesa, la costituzione di distruzione di “Babilonia la grande”, la triade composta dalla Bestia, dal Falso Profeta e dal Dragone la cui esistenza rimane velata fino a quando a Giovanni non fu detto “Quello che vedi, scrivilo in un libro e mandalo alle sette Chiese” (1.11), figure della Chiesa nella storia, ciascuna appartenente ad un’epoca precisa.
Per i discepoli era urgente conoscere altro, come le verità basilari contenute nelle parabole del regno oppure, più avanti, al loro stupore per la magnificenza delle costruzioni del Tempio in Gerusalemme, che non sarebbe lasciata “pietra su pietra che non sia diroccata”. Perché, nonostante il senso di magnificenza di fronte alle opere dell’uomo, non ne resterà nulla. Amen.