La venuta di Dio nel mondo si rinnova ogni giorno, ora e sempre. Il Signore viene e sta sempre per venire di nuovo in chi lo attende e lo accoglie. Perciò il Natale, oltre a essere un compleanno storico, oltre a richiamare un evento universale, è un fatto personale, quotidiano per ciascuno di noi.
La contemplazione del mistero del Figlio di Dio, riproposto ogni anno dalla liturgia, ci invita a ricordare che Gesù vuole ritrovare casa nel nostro cuore, per renderci più umani. Il Figlio di Dio si fa Bambino, per mettere la sua “tenda” in mezzo alle nostre case, per lasciarsi coinvolgere nella nostra fatica di esistere, per rinnovare con la sua presenza, la vita e la speranza, portando con la sua stessa umanità, la bella notizia: Dio è Amore. Un Amore che rimane proposta, dentro il mistero della libertà umana. Libertà-dono di Gesù che ci fa essere come lui, che ha iniziato il suo cammino a Betlemme, per darsi a noi e al Padre fino alla morte; è la libertà di amare, di donarci, di servire, di trovarci bene dentro la nostra stessa vita, libertà di fidarci e di affidarci, libertà di lasciarci programmare almeno un poco da Dio. Libertà che non ci chiede di portare tutto il mondo sulle nostre spalle come peso insopportabile, ma che ci fa sapere che Dio porta questo peso con noi, rendendolo più leggero.
Quando il Figlio di Dio insegna ai suoi discepoli come rivolgersi al padre suo, li invita, in aramaico, a iniziare la preghiera con la parola “Abbà”, che, tradotta bene, significa “papà”. Si potrebbe, senza esagerazione, renderne il significato con quell’appellativo familiare che qualche figlio dà al proprio padre:” mio caro papi”.
Abbiamo un Dio che si dona come papà, e facciamo la pazzia di non prenderlo sul serio e di correggere il modo in cui ci si presenta. Tante volte non capiamo questo Dio, tutto tenerezza e amore. Lo abbassiamo all’altezza del nostro sguardo: incontriamo molte difficoltà a vivere in permanenza a quell’altezza, o a quella profondità, e fabbrichiamo un dio su misura.
E l’uomo fece Dio a sua immagine.
Ma Dio ci ama come un papà buono, ricco di misericordia. Ci ama con emozione, ci sorride mentre ci incoraggia. Ci tende le braccia quando tentiamo di camminare, avanza verso di noi quando vacilliamo, è felice, quando a nostra volta, gli tendiamo le braccia.
Dio ci insegna, è padre che rivela ciò che la nostra natura inquieta attende, ciò che le nostre piccole speranze sono incapaci di riconoscere.
Dio abita in me, anche se non lo so, anche quando non voglio saperlo, quando non arrivo a discernere il suo volto, quando sul suo volto la mia anima ha steso i veli dell’indifferenza o quelli della preoccupazione.
Se non distinguo il volto di Dio è perché l’ho ricoperto con la cenere delle mie disillusioni; oppure ho tappezzato la mia anima di specchi, per essere sicuro di trovarvi sempre il mio riflesso soddisfatto.
Sono l’uomo disperso in mille desideri e tra mille obblighi; uomo sbriciolato a forza di proseguire in mille direzioni. E sono incapace di contemplare ciò che, così ancorato in me, possiede una presenza altrettanto intensa. Dio è semplice da vedere, ma i nostri occhi sono complicati.
Poi finalmente, lo sguardo che si posa su di me, attira il mio sguardo, permette di sollevarmi.
Scopro che Dio mi guarda con un sorriso di bambino. Dio non è il giudice delle sue creature, è lo sguardo pieno di calore posto su ciascuno dei suoi figli. È sorriso di comprensione per l’uomo che si dibatte e vorrebbe essere migliore, infinita comprensione per colui che esita, si maltratta, si strazia sulle strade che vorrebbe percorrere e su quelle cui si rassegna. Sorriso pieno di pazienza infinita, mai vulnerabile ad alcun scoraggiamento, pronto ad allargarsi per accogliere colui che viene e che chiede.
Così incontro nuovamente Dio, come sguardo di tenerezza. Sono il figlio del Padre, il figlio di fronte al Padre: due presenze, due energie che si riconoscono.
Divento la mano di Dio stesso, la mano che guarisce, la mano che Dio sollecita perché sia la sua, quella di cui ha bisogno per reggere un po’ meglio il mondo, per disegnarlo con colori più ridenti, per riscaldarlo. Dio mi propone di essere la sua mano che protegge nel suo nome, che dà quiete con la sua tenerezza, che conforta con la sua forza.
Noi siamo le mani che Dio vuol mettere al servizio del bene e della felicità, le mani di Dio sulla terra, le mani che sostengono e tracciano le sue strade. Le mani di figli, che insieme al Padre abitano la stessa casa. Una ragione per saperci più vicini al cuore di Dio e al cuore del mondo.