- Che cosa si intende per spiritualità?
“Spiritualità” è un termine astratto che non rende bene l’aspetto dinamico e relazionale dell’espressione “vita secondo lo Spirito Santo”, “Vita animata e guidata dallo Spirito Santo”: “coloro che sono guidati dallo Spirito di Dio sono figli di Dio (Rm 8,14); “Giacché viviamo grazie allo spirito, camminiamo anche nello Spirito” (Gal 5,25). La vita spirituale cristiana è, anzitutto, vita: non un’altra vita, ma la nostra umanissima vita vissuta nella fede in Cristo, ri-significata in Cristo. Nessun dualismo, con la vita nel corpo e nella materia, nel pieno delle relazioni familiari, sociali e politiche; nella storia e nella compagnia degli uomini, ma questa unica nostra vita posta sotto la signoria dello Spirito ricevuto dal Risorto. Il cristo stesso, del resto, “ci insegna a vivere” (Tt 2,12), a entrare più profondamente nella nostra umanità e ad essere all’altezza della nostra umanità che è stata voluta, creata e amata da Dio.
Non si dimentichi che nel cristianesimo, che al suo cuore confessa l’incarnazione di Dio, ciò che è autenticamente spirituale è anche autenticamente umano e viceversa. Lo Spirito Santo conforma il credente a Cristo, lo rende più somigliante a Cristo, fa splendere sul suo volto la luce del volto di Cristo; cioè conduce l’uomo alla santificazione.
E la santità non si misura anzitutto in termini morali o culturali, ma sulla relazione vissuta personalmente e comunitariamente con il Cristo vivente. Occorre essere lucidi e non confondere ogni sussulto mistico con la spiritualità cristiana né il calore fusionale del gruppo affettivo con la profondità dell’esperienza spirituale, e occorre anche evitare di dissolvere lo spirituale nello psicologico o nello spontaneismo: la vita spirituale, che è adattamento alla vita di Cristo, chiede ascolto, obbedienza, ascesi, disciplina.
Di fronte alla tentazione oggi “facile” di sincretismi, di intendere lo spirituale come ricerca del benessere interiore, della pace con sé, dell’annullamento di sé, dell’annullamento di sé nell’Oceano dell’Essere, che null’altro è se non regressione narcisistica che dilata i confini dell”‘io” ma all’interno di questo “io” resta asfitticamente e intimisticamente chiusa, la vita spirituale cristiana conduce il credente a un esodo da sé per incontrare e amare gli altri in Cristo, per costruire una comunità e vivere la fede nella storia; è realizzazione della propria unicità come essere-davanti-a-Dio, il Dio rivelato dalla vita-per-gli-altri di Gesù e fatto conoscere interiormente a noi dallo Spirito Santo.
Questa vita è essenzialmente vita filiale: “Lo Spirito attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio” (Rm 8,16). La confessione di fede, la preghiera con cui ci si rivolge a Dio chiamandolo “Abbà, Padre”, la vita comunitaria e di relazione in cui si riconosce l’altro come fratello in Cristo, l’ascolto della parola di Dio contenuta nelle Scritture che ci danno la conoscenza di Gesù, il Signore, la carità intelligente che ascolta la sofferenza dell’altro e comunica con lui con discernimento, sono tutte operazioni dello Spirito che guidano il credente a crescere alla statura di Cristo (cf. Ef 4,13), a vivere da figlio di Dio.
2. La Spiritualità e le spiritualità
Se questa è la vita spirituale cristiana, allora è chiaro che essa coincide con la vita cristiana tout court: certo, una vita cristiana assunta con conoscenza e maturità come responsabilità propria. Essa coincide con la vita del battezzato: unica, infatti, e inalterabile è la spiritualità cristiana nella sua essenza, e si sintetizza nell’espressione paolina: “una sola fede, un solo battesimo, un solo Signore, un unico Spirito, un unico Dio salvatore di tutti” (Ef 4,5-6). Le differenze di carismi, di ministeri, di inculturazioni, di realizzazioni e di modi di vivere la fede a cui lo Spirito dà vita nei diversi contesti storici, culturali e geografici, ma anche nelle diverse fasi della vita di una persona, si collocano tutte sul piano secondario delle applicazioni, per cui è fuori luogo parlare di “spiritualità” al plurale: laicale e presbiteriale, francescana e domenicana, mariana e del Sacro Cuore, del servizio e della missione, di un movimento, dei giovani e dei vecchi, dei malati e dei sani, dei giornalisti e delle casalinghe (sì, si giunge fino a questa deriva corporativa!) …I grandi santi non sono mai stati interessati alla “loro” spiritualità, ma hanno sempre cercato di tradurre nell’oggi storico “l’evangelico eterno” (Ap 14,6), ” il Cristo che è lo stesso ieri, oggi e sempre” (Eb 13,8).
E lo Spirito di Dio non è spirito di parzialità, ma è memoria del Christus totus, attualizzazione della pienezza e della totalità di Cristo: esso insegna tutto e ricorda tutto ciò che Gesù ha detto (Gv 14,26), guida tutta la verità e dice tuttociò che ha udito (Gv 16,13); insomma, interiorizza la presenza di tutto il Cristo nel credente. Le cosiddette “spiritualità del genitivo” privilegiano ciò che è parziale rispetto all’intero mistero di fede, ciò che è secondario rispetto a ciò che è basilare, mentre oggi vi è necessità di ritrovare il centro e l’essenziale nella vita di fede: siamo in un contesto di avanzata scristianizzazione, in cui ogni gesto e parola cristiana devono essere motivati in modo convincente nell’oggi perché il richiamo alla tradizione ha perso forza di convinzione; uscito dalla cristiantià, cioè da un “mondo cristiano” anche nelle sue espressioni istituzionali civili e politiche in cui era comprensibile la differenziazione fra cristiani e “spiritualità”; ora il cristianesimo è minoritario e il problema è la conservazione e la trasmissione della fede. Anche perché ci troviamo di fronte a cristiani sempre più analfabeti spiritualmente: occorre dunque riandare all’essenziale, alla semplicità e all’irrinunciabile della fede, e questo ci conduce a riscoprire il battesimo come fondamento della vita spirituale cristiana. Non a caso all’ingresso di molti antichi battisteri si leggono le parole janua vitae spiritualis: “porta d’ingresso nella vita spirituale”. Vi è sostanzialmente equivalenza fra battesimo, vita cristiana e santità. E dal battesimo emergono come elementi essenziali della vita spirituale cristiana il primato della fede (aderire a Gesù come Signore); la dimensione pasquale (quotidiana partecipazione alla morte di Cristo per vivere da con-risorti con Lui); l’orientamento trinitario (al Padre, per mezzo del Figlio nello Spirito Santo) che è anche il movimento della preghiera personale e liturgica; la tensione continua alla conversione, dunque al discernimento degli idoli e alla lottaspirituale; la dimensione comunitaria ed ecclesiale.
III La forma della spiritualità cristiana: quale stile di vita essa ispira?
Questa visione essenziale della vita spirituale cristiana può aiutarci a configurare in modo realistico e semplice il cristiano come un uomo che nella Bibbia (soprattutto i vangeli) trova il quotidiano nutrimento della sua fede; che vive l’eucarestia, soprattutto nel giorno di domenica, come momento sacramentale della manifestazione del corpo di Cristo nella storia; che pensa la propria vita davanti a Dio nella preghiera per arrivare a vivere in modo più conforme alla volontà di Dio. Questo aiuta a demolire quell’immagine di “riuscita spirituale” rivestita oggi dalla figura del “laico impegnato”; anzi superimpegnato in molteplici attività organizzative o pastorali. C’è un enfasi posta oggi sul servizio che rischia di far dimenticare che l’essenziale per i cristiani è divenire servi non fare dei servizi: ovvero la conversione del cuore. Lì si gioca la qualità spirituale dell’uomo: nella sua interiorità. E oggi è più che mai urgente, affinché la vita spirituale possa svilupparsi, educare alla vita interiore, aiutare le persone, soprattutto i giovani, ad attivare uno spazio interiore per elaborare interiormente i vissuti, riflettere, pensare, discernere e così arrivare a decidere e scegliere.
La vita spirituale cristiana suscita uno stile di vita improntato essenzialmente alla gratitudine: esso pone il credente di fronte alla gratuità di Dio, al dono di Dio non contraccambiabile perché consiste nel Figlio stesso, nell’amore di Dio effuso nel cuore dell’uomo dallo Spirito Santo (Rm 5,5).
Questo significa che la vita spirituale cristiana non propone ricette su attività da svolgere, ma afferma il primato del ricevere sul fare, del dono sulla prestazione, dell’essere sull’avere. L’eucarestia appare così il magistero essenziale della vita spirituale: il credente è un uomo capace di ringraziamento, di gratitudine di gratuità. Questo l’uomo plasmato dalla vita spirituale cristiana: l’uomo eucaristico (cf. Col 3,15), l’uomo che vive l’eucarestia nel quotidiano dell’esistenza e si pone davanti a Dio, al mondo e agli altri con attitudine di ringraziamento, di discernimento del dono di Dio che sempre precede e fonda la sua vita.